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L’AVARO DI MOLIÈRE
13 Gen 2015 09:45
E’ nero. Assorbe colori, amore, giovinezza. E’ un amore troppo grande che lo isola, lo rende vivo, gli impedisce di amare qualcun altro. Un amore frivolo, inquietante al tempo stesso. I sentimenti non hanno più nessun valore. Il possedere e l’avere, non l’essere. Il denaro è ciò che lo rende vivo. E’ il suo figlio prediletto.
Arpagone è vecchio, vecchissimo. Troppo vecchio per poter capire che quel morbo che lo allontana dai suoi affetti, dalla sua famiglia è l’avarizia. L’avarizia, il sentimento che rappresenta il tema dominante nell’opera.
” L’ Avaro ” di Molière, messo in scena dal regista Arturo Cirillo al Teatro Massimo di Cagliari, rappresenta pienamente questo concetto. Il ”vecchio avaro”, Arpagone, è disposto a tutto pur di colmare il suo inesauribile amore per il denaro e per la sua cassetta. Una cassetta per la quale sottrae e rapina la giovinezza ai suoi unici figli, Elisa (interpretata da Antonella Romano) e Cleante (interpretato da Michelangelo Dalisi). La scenografia rispecchia l’animo dell’avaro. Cinque quadri la rappresentano, come per dare l’idea di un lungo corridoio di cui è impossibile costare la fine. I costumi, ispirati al pittore contemporaneo Rothko, danno ai personaggi una maggiore pesantezza. Il loro colore è sfumato, come se il nero dell’animo di Arpagone avesse assorbito pure questo. Dispute, amori intrecciati, tradimenti ed ingiurie. L’unico amore autentico è quello fra l’avaro e la sua cassetta. Il regista, nonché interprete di Arpagone, definisce la commedia ”contemporanea perché dà più valore all’avere che all’essere. Si brama al potere e al denaro”. E in questa avarizia voleva coinvolgere anche noi, la nostra società. Perché in fondo ciascuno di noi ha un po’ di Arpagone nel proprio animo.
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