“LA GUERRA DEI SANTI” E’ TRAMONTATA

L’articolo dal titolo “ Inesattezze storiche iblee” a firma di Francesco Garofalo pubblicato lo scorso 13 gennaio mi dà l’occasione di aggiungere ad esso, a mò di commento, alcune personali considerazioni.

Premetto anzitutto che non è mia intenzione alimentare sterili discussioni sull’opportunità d’istituzionalizzare la ricorrenza del terremoto del 1693 né tanto meno indulgere ad anacronistiche polemiche su pretese primogeniture che, a mio parere, non hanno alcun valore  neppure sul piano del buon senso.

A me pare che i tempi della verghiana “ Guerra dei Santi” possano considerarsi definitivamente tramontati  e che qualsiasi resipiscenza contrasti  con l’attuale contesto storico che, come tutti dovremmo sapere, richiede ben altri impegni volti a consolidare, da parte di ciascuno,  il senso civico dell’appartenenza ad un’unica comunità.

In realtà se, per fare un esempio, le interminabili controversie tra le due maggiori Chiese di San Giorgio e

di San Giovanni Battista potevano avere un senso solo in epoche  lontane se non altro come esteriorizzazione “ ad usum populi” di rivalità di stampo religioso mentre altro non erano che aspetti di una lotta di potere tutta interna alle classi dirigenti, di svariata e trasversale origine e collocazione sociale, per il controllo e la gestione anche delle leve finanziarie ( benefici ecclesiastici, legati testamentari, opere pie , ecc) riconducibili all’autorità ecclesiastica.

E’ del tutto evidente che tutto ciò appartiene al passato e che, semmai, può essere oggetto di serena ricerca storica.

Detto questo, nel condividere pienamente quanto affermato da Francesco Garofalo che ha fatto riferimento all’antichissima Chiesa  di origine medievale conosciuta sotto il nome di Santa Marie delle Scale, mi sembra errato affermare che quello che ora potremmo definire come il centro storico della parte superiore di Ragusa si presentasse, all’indomani del terremoto del 1693, come una landa deserta  o più o meno ricca di alberi di carrubbo.

Basti pensare che, in prossimità della suddetta Chiesa, già si annoveravano la Chiesa di Santa Veneranda ( ora Santa Lucia) risalente alla prima metà del ‘500 e il Convento del Carmine fondato nell’ultimo ventennio di tale secolo con l’annessa  e ad esso preesistente Chiesa dedicata a Santa Maria “ di li malati” .

Intorno a tali realtà sorgevano e si sviluppavano, sia pure in modo discontinuo, abitazioni in gran parte modeste ma, in ogni caso, indicati che di un’ espansione urbanistica che interessava tutta l’area sovrastante e sottostante la Chiesa di Santa Maria delle Scale.

Innumerevoli fondi di varia natura sia pubblica ( i cosidetti “ riveli” ) che ecclesiastica e privata ( memoriali, descrizioni topografiche, documenti notarili) mostrano chiaramente che, soprattutto in forza di concessioni enfiteutiche di piccoli appezzamenti di terreni dei primi anni del ‘600, venivano realizzate abitazioni in numero modesto nella zona del Carmine, “ Dammusi” e “ Inferno” e in numero considerevole nelle zone denominate “ Timpone di Santa Venera” , “ Pagliarelli” , “ Pezza” e “ Cartellone”.

Tutto questo ci lascia pensare non tanto alla creazione  di una nuova realtà urbana o allo sdoppiamento di quella esistente prima del 1693  quanto alla sviluppo ulteriore di un’espansione urbanistica che aveva avuto il suo avvio da oltre un secolo da tale data.

Come peraltro è impensabile che il “ duplice” centro storico della nostra città sia sorto d’un colpo come Minerva dalla testa di Giove ma piuttosto esso è il risultano, tra battute di arresto e accelerazioni, di un processo urbanistico che continuò per tutto il ‘700 e che vide l’impegno indimenticabile di almeno due generazioni di discendenti dei sopravissuti al terremoto del 1693.

Lo testimonia il fatto che i più importanti edifici privati ed ecclesiastici risalgono alla seconda metà del ‘700.

In ogni caso lasciamo che queste discussioni si svolgano sul piano della ricerca storica senza farne in alcun modo oggetto o pretesto per anacronistici campanilismi su chi venga prima e chi venga dopo, chi sia o no sia il Santo protettore della Città e occupiamoci invece e  in primo luogo se ne occupino seriamente e concretamente  le autorità comunali di misure di prevenzione antisismica in termini di adeguamento delle strutture edilizie sia pubbliche che privati, d’individuazione delle aree critiche attraverso accurate indagini geologiche e interdisciplinari ( gli storici locali potrebbero, perché no, essere di aiuto al riguardo)nella varie aree cittadine e delle vie di fuga e aree di soccorso, dell’avvio di opportune campagne informative ecc.

La maggior parte dei ragusani non saprebbe esattamente cosa fare in tali casi anche perché mancano adeguate informazioni al riguardo da parte di ci ha il dovere di darle.

Tutto il resto, celebrazioni si o celebrazioni no,a me sembra essere del tutto secondario. 

 

   

 

 

 

 

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