UN BAMBINO E DUE PAPÀ

Ancora una volta i tribunali sono piu’ veloci dei legislatori in tema di diritti civili.

Se la stepchild adoption e’ stata eliminata dal ddl sulle unioni civili approvato alla Camera e ora sotto osservazione al Senato, un’altra sentenza riconosce proprio questa adozione che il Parlamento non ha voluto inserire nella legge.

Questa volta, pero’, si tratta di un pronunciamento importante perche’ e’ il primo che riguarda una coppia di padri gay.

A intervenire, e’ il Tribunale per i minorenni di Roma, con la sua ex presidente Melita Cavallo. Prima di andare in pensione nel gennaio scorso, il giudice Cavallo ha fatto  una serie di pronunciamenti riguardanti due coppie di donne lesbiche, dove una delle due ha chiesto di adottare il figlio biologico della partner.

Nella sentenza di ieri, invece, è stato riconosciuto ad un uomo il diritto ad adottare il figlio del compagno, concepito all’estero grazie alla maternita’ surrogata o utero in affitto come viene chiamato nel linguaggio comune.

Il bimbo adottato ha circa tre anni e mezzo ed e’ stato concepito in Canada attraverso la gestazione per altri, a titolo gratuito.

I due papa’ – che si sono sposati prima in Canada e poi in Spagna, per poi iscriversi in Italia al Registro delle unioni civili della loro citta’ – subito dopo la nascita del bimbo sono rimasti per un pò di mesi in Canada con la madre surrogata e hanno mantenuto i contatti con la donna, andandola a trovare in questi anni insieme al bambino.

I due uomini stanno insieme da 12 anni e il loro contesto familiare e’ presente nella vita del bambino, che va all’asilo, e conosce il modo un cui e’ nato.

Il giudice ha ritenuto che l’adozione da parte del compagno del padre biologico – che si è occupato bambino sin dalla nascita – fosse nell’interesse del piccolo e fosse da far rientrare nei casi particolari  previsti dalla legge sulle adozioni.

Nella sentenza, si parla di “ambiente di crescita adeguato” e del fatto che il bimbo e’ “totalmente integrato nel nucleo familiare“. “Non sono ne’ il numero ne’ il genere dei genitori – si legge nella sentenza – a garantire di per se’ le condizioni di sviluppo migliore per i bambini, bensi’ la loro capacita’ di assumere questi ruoli e le responsabilita’ educative che ne derivano“.

La sentenza del Tribunale romano e’ definitiva, perche’ sono scaduti i termini per l’appello.

 

Giuseppe Raciti

 

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