È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
QUANTO È IMPORTANTE SAPER ASSOCIARE GLI ALIMENTI?
24 Set 2015 16:55
Senza cadere in pericolose contraddizioni, vediamo come la nostra salute può trarre vantaggio dal saper combinare gli alimenti nel modo corretto. Non si tratta né dell’ennesimo trucco per dimagrire, né di un elisir per prevenire le malattie. A qualcosa, però, serve davvero.
In primis, una persona sana deve saper scegliere le combinazioni degli alimenti “semplicemente” per favorire il corretto funzionamento del metabolismo e per il piacere di mangiare in modo completo e nutriente, ma non a scopo digestivo. Le funzioni digestive, infatti, passano in primo piano solo qualora vi siano dei problemi organici.
È vero, d’altro canto, che esistono combinazioni di alimenti che potremmo definire ottimali, la cui digestione simultanea non crea problemi, e altre combinazioni meno felici, o “sfavorevoli”, che però non determinano l’insorgenza di malattie in quanto tali. Se da un lato, infatti, è difficile eliminare quotidianamente tutte le combinazioni sfavorevoli, ciò non toglie che non si possa imparare ad accostare meglio gli alimenti e, di conseguenza, giovarne anche in termini di salute. Tutto sta nel saper gestire la propria giornata alimentare in funzione degli impegni e dello stile di vita. Per esempio, se il martedì è previsto un allenamento intenso, sarà opportuno mangiare in un determinato modo e determinati alimenti, mentre il sabato, se è in programma una cena con amici, le “regole” da seguire saranno ben diverse. In generale, poi, è sempre meglio evitare pasti abbondanti prima di uno sforzo intenso (gare, allenamenti, ma anche un esame) e prima di coricarsi.
Dal punto di vista fisiologico, ciascun alimento viene digerito in una o più sedi dell’apparato digerente, ad opera di diversi enzimi localizzati a livello di bocca, stomaco e intestino, e altamente specifici (amilasi per gli amidi, proteasi per le proteine, lipasi per i grassi, e varie sottoclassi). Senza entrare nel dettaglio, basti sapere che la digeribilità di un cibo, sia in termini di tempo che di “livello di difficoltà”, è correlata alla sua composizione chimica, alla modalità di preparazione (crudo, lesso, fritto, arrostito, etc.), e alla combinazione con altri alimenti ingeriti simultaneamente. Altro fattore importante, inoltre, è dato dal grado di acidità che si crea in ciascuna sezione del tubo digerente, poiché alcuni enzimi lavorano meglio in ambiente alcalino (per es. la ptialina, enzima destinato alla scomposizione dei carboidrati), mentre altri necessitano di un ambiente acido (come la pepsina, enzima preposto alla digestione delle proteine). Combinando, ad esempio, due o più alimenti che richiedono diverse condizioni gastriche, il risultato sarà un succo gastrico che non digerisce ottimamente nessuno dei due. Tutto questo, naturalmente, accade anche mangiando cibi naturali e biologici, se combinati in modo erroneo!
Per tutti questi motivi – dal punto di vista fisiologico molto articolati-, si può comprendere perché alcuni accostamenti richiedano una digestione più laboriosa rispetto ad altri.
Vediamo gli esempi pratici più importanti.
Il primo accostamento incriminato riguarda le proteine di diversa provenienza. Per capirci, carne, pesce, formaggio, uova, ma anche legumi e alcuni cereali (ricordiamo che anche pane, pasta etc. contengono una piccola quota di proteine!). Ogni tipo di proteina, infatti, necessita di specifici enzimi, poiché la struttura amminoacidica è molto variabile di cibo in cibo. Questi enzimi, a loro volta, sono attivabili e ben funzionanti solo in particolari condizioni, in primis l’acidità gastrica.
Quando si assumono proteine di diversa natura (carne e formaggio, uova e carne, formaggio e salumi o affettati, etc.) si rallenta notevolmente la digestione di entrambe.
L’associazione di carne (o pesce) e latticini, in particolare, può risultare particolarmente laboriosa, poiché il succo gastrico ottimale per la digestione della carne è fortemente acido fin dall’inizio, mentre quello per il latte è acido solo verso la fine. Per questo motivo, il latte (in particolare, la caseina in esso contenuta) a contatto con l’acidità precoce dello stomaco coagula in grumi e fiocchi, che tendono a inglobare i frammenti di carne lì presenti, rendendoli indigeribili e causandone il passaggio nel successivo tratto intestinale, dove daranno luogo a fenomeni putrefattivi e alla formazione di tossine.
Per quanto riguarda gli zuccheri semplici (alias glucosio, fruttosio, lattosio e, in parte, anche il saccarosio o comune zucchero bianco), è consigliabile non assumerli né insieme agli amidi né alle proteine, in quanto questi due tipi di nutrienti vengono digeriti nello stomaco, mentre gli zuccheri semplici vengono scissi e assorbiti nell’intestino. Se assunti insieme, quindi, gli zuccheri permangono nello stomaco per tutto il tempo necessario a smaltire gli amidi o le proteine, dando luogo a fermentazioni che a loro volta ostacolano la digestione dei primi. Questo discorso vale soprattutto per il dolce a fine pasto, ma si osserva una grande variabilità individuale per quanto riguarda la frutta: c’è chi non risente minimamente del consumo di un frutto a fine pasto, ma c’è anche chi riporta meteorismo e crampi con la sola ingestione di una prugna… In questo caso, più che in altri, è bene osservare le proprie reazioni, e comportarsi di conseguenza. Un’arancia o una fetta di melone, inoltre, avranno un effetto diverso rispetto a una pera, e anche il grado di maturazione del frutto – e quindi il suo contenuto in zuccheri disponibili- giocherà un ruolo non di poco conto.
Ancora, un accoppiamento poco felice riguarda vino o birra con i carboidrati complessi: il classico piatto di pastasciutta accompagnato da un bel bicchiere di vino rosso… e il sonnellino è assicurato!
Questo perché vino e birra aumentano l’acidità gastrica, rallentando così la digestione degli amidi, che necessitano di un ambiente più alcalino. Meglio, quindi, riservare l’assunzione di queste bevande per accompagnare alimenti prevalentemente proteici, come carne o pesce.
E i fatidici grassi? Classicamente, sono definiti come i nutrienti più difficoltosi da digerire, poiché permangono più a lungo nello stomaco e ne rallentano lo svuotamento, soprattutto se assunti insieme ad altri macronutrienti. C’è, però, una distinzione importante da fare: i grassi cotti, contenuti nei fritti, nelle carni grasse cotte, e negli alimenti alla cui base c’è un soffritto, rallentano la digestione molto più di quelli crudi, e possono anche prolungare la permanenza delle proteine nell’intestino, favorendone la putrefazione. Per evitare questo fenomeno, è bene aggiungere molta verdura cruda al pasto che, oltre a ottimizzare l’assorbimento dei grassi e delle preziose vitamine da essi veicolate, fornisce importanti enzimi e altri elementi che supportano la digestione stessa.
C’è poi una serie di cibi e bevande definiti “acidi”, poiché favoriscono l’acidificazione del pH gastrico. Si tratta di aceto, succhi di frutta, alcuni frutti (mele, melone e agrumi, soprattutto se associati allo zucchero e/o alla farina, come accade nei dolci), macedonie, marmellate, bevande zuccherate e acidule. Questi alimenti non andrebbero assunti né con gli amidi, che richiedono un ambiente alcalino, né con le proteine, perché inibiscono la secrezione acida richiesta dalle proteasi.
Infine, due parole sull’acqua. Ci bombardano con la regola di bere “almeno 2 litri d’acqua al giorno”, ma – al di là di questa visione semplicistica- QUANDO è meglio bere? Sicuramente a stomaco vuoto, e fino a venti minuti prima dei pasti. Bere molta acqua a tavola, infatti, non fa altro che diluire i succhi gastrici, e rallentare quindi la digestione, e lo stesso vale se si beve subito dopo aver mangiato.
Purtroppo, c’è anche chi estremizza questi concetti, e promuove l’adozione di una dieta “monocibo”, il cui principio è quello di mangiare un solo cibo alla volta. Pura follia! Affinché i processi metabolici possano avvenire correttamente, l’organismo deve disporre di tutti i nutrienti, cosa impossibile se si consuma un unico alimento per pasto, dato che quasi nessun alimento contiene le giuste proporzioni di carboidrati, grassi e proteine. Inoltre, separare i macronutrienti limita l’assorbimento di specifici micronutrienti (vitamine e sali minerali). Basti pensare al succo di limone che si consiglia di spremere sulla carne per favorire l’assorbimento del ferro grazie alla vitamina C: secondo la teoria delle associazioni alimentari, non si potrebbero unire acidi e proteine!
Combinare i cibi non dev’essere un incubo, bensì un modo per trarne vantaggio!
Vademecum
Combinazioni sfavorevoli
– Carne/pesce/legumi e formaggio; carne/pesce/legumi e salumi/affettati; carne/pesce e legumi; carne/pesce e patate; carne/pesce e uova; formaggio e salumi/affettati
– proteine animali (carne, pesce, formaggio, uova) con alimenti ricchi di amido (pasta, pane, patate, riso, dolci, legumi)
– grassi cotti (burro, strutto, panna, lardo e oli) con cibi ricchi di amido e proteine
– dolci (zucchero+farina) con il resto del cibo (eccezione: verdura, che limita l’impatto glicemico del dolce sull’organismo…)
– frutti acidi con frutti più dolci (il melone? Sempre da solo!)
– prodotti da forno o di pasticceria ripieni di carne
– non bere molta acqua durante il pasto e/o subito dopo il pasto
Combinazioni ottimali
– proteine animali con verdure a basso contenuto di amido (soprattutto quelle a foglia larga)
– cereali (pasta, riso, farro, orzo, pane) e legumi (fagioli, piselli, lenticchie, ceci)
– grassi crudi e cotti con verdure
– latte a stomaco vuoto
– frutti acidi (arancia, mela, frutti di bosco, fragole…) anche abbinati tra loro, frutti dolci solo singolarmente (banane, uva, cachi, fichi…)
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