“PROCESSO A FRANCO CILIA”

 Caro Franco,

ho potuto leggere il tuo testo teatrale <Processo a Franco Cilia>, che, a mio avviso, rientra perfettamente e organicamente all’interno del tuo itinerario artistico-filosofico o, se vogliamo, all’interno di un tuo struggente dibattito interiore, il cui centro è una sorta di autodistruzione materiale dichiarata (<Cilia è morto>) o etica (<processo a Cilia>), che si evidenzia anche nel racconto lungo (o romanzo breve) Elena e nell’ultimo testo, Via San Vito 44, nel quale la componente autobiografica (starei per dire: il denudamento) dell’Autore viene collocata in primo piano con un raro coraggio e una esposizione che oserei definire eroica.

Ovviamente tale osservazione si riferisce, forse a un livello ancora più alto e visibile, nella pittura, che si sviluppa quasi in senso ascensionale specifico, dal <corpo> disteso in forma di cadavere (Cilia è morto: Franco è steso sul pavimento, nelle mani una serie di pennelli, poco distante il cellulare; Ma non eri morto, buffone? Finalmente morto? Ha giocato con la morte, ingannandoci!; Sì dipingevo e scrivevo di morte, della mia morte) alla elaborazione di mostri goyani fino alla rappresentazione di cieli cupi squarciati da lame di luce, che sembrano indicare l’Infinito o forse anche Dio.

Questo processo, dunque, che si conclude con la formula finale “I giudici siete voi, mi rimetto alla vostra volontà …”, dopo un dibattimento che rasenta la crudeltà, indica che l’Artista si interpreta come un impasto di contraddizioni e di dolori, di slanci verso la felicità e di ripiegamenti frustranti, di delusioni e di soddisfazioni: insomma è un Uomo che vive e vivendo produce con la sua Opera continui bilanci di se stesso, trasmessi ai fruitori, che hanno il compito di metabolizzare in una sintesi quanto essi leggono o vedono.

Insomma questo testo è un Oratorio musicale, il cui spartito polifonico è costituito da una voce centrale, che è quella dell’Autore che si sottopone a giudizio, e quella dei giudici che lo stanno giudicando (o giustiziando?).

Ma è anche una Lauda rinascimentale che evoca una autoflagellazione pubblica (tu che, imbrogliando, ti definisci pittore, scultore scrittore, e altro ancora, millantando credito) oppure un Inno alla propria esistenza oppure un Cantico francescano che vuole sentire e celebrare la morte  come <sorella> (“Laudato si’ mi’ Signore per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò skappare”)

Questo <Processo a Cilia>, che è Cilia stesso a istruire, è forse tutto questo e comunque è la testimonianza di un artista che, al contrario della Natura secondo i Greci, non ama nascondersi (usiV kruptesqai filei)

Un forte Abbraccio, pieno di Affetto e Stima

Ennio Bìspuri

 

 

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