POZZALLO PORTA D’EUROPA

“Sono un cittadino, non di Atene, non della Grecia, ma del mondo”, scriveva Socrate, uno dei padri della filosofia, vissuto nella culla della civiltà, una terra di cultura, di dialogo e di storia del pensiero. Cosa significa essere cittadino del mondo oggi? Cosa significa in un mondo in cui le differenze etniche e la paura dello straniero permangono in maniera non troppo diversa dal Medioevo? Il fenomeno dell’immigrazione, acuitosi negli ultimi anni soprattutto nei paesi del Sud Europa, ha portato a rivedere il concetto sotto molteplici e differenti aspetti, da parte delle autorità in primis ed, in modo non per niente indifferente, della popolazione. Sono diverse le città e quindi i porti coinvolti in prima linea nel soccorso, identificazione, sistemazione e cura dei migranti. Tra le tante “porte d’Europa” senza dubbio Pozzallo ha svolto e continua a svolgere un ruolo di primaria importanza. L’intera città si è trovata a fronteggiare una situazione inusuale e complicata. Solo nel 2016 all’Hot Spot di Pozzallo hanno fatto ingresso 6314 migranti, in occasione di 17 sbarchi. Si parla spesso dal punto di vista dei migranti, di chi utilizza un barcone come una penna ed il mare come un foglio per poter riscrivere il proprio destino. Ma “l’altra parte”? Che cosa significa “immigrazione” per chi è autoctono del luogo di approdo? Come viene percepito un fenomeno di così vasta portata, che coinvolge le più grandi potenze mondiali e che, insieme alla paura del diverso, porta soprattutto dubbi?

Pozzallo fonda le sue radici ed il suo sviluppo sull’attività di pesca e di mercato. Da sempre marinai pozzallesi hanno solcato il mare, venendo a contatto con tante realtà molto diverse da quella di casa. Ma Pozzallo significa anche emigrazione. Negli anni dell’immediato dopoguerra sono stati tantissimi i pozzallesi ad emigrare all’estero per cercar fortuna, in modo non troppo diverso da chi oggi fugge da situazioni di guerra e povertà. Soprattutto l’America è diventata terra di speranza per molti di coloro i quali non vedevano un futuro nella terra natia. Il mescolarsi di usanze e culture è cosa ormai assodata, la concezione stessa del “diverso” dovrebbe essere cambiata ed ormai accettata. Eppure l’opinione pubblica è come spaccata. All’interno della stessa piazza, dello stesso gruppo di amici c’è chi vede gli immigrati come una maledizione, chi sciolina frasi di circostanza, chi si impietosisce, chi li vede come una risorsa e chi, infine, pensa che siano il capro espiatorio di anni di politiche sbagliate, di accordi mai rispettati e figli di un sistema ormai troppo complesso.

Sono in molti a pensare che la presenza di numerosi immigrati ed i continui sbarchi possano in qualche modo minare l’attività turistica ormai da anni fiorente nel territorio. Viene difficile anche solo pensare ad una possibile integrazione sociale e lavorativa per giovani che abitano il centro di accoglienza e che trascorrono le loro giornate trascinandosi in giro, stringendosi in una giacca troppo larga o calzando scarpe troppo strette. Dalle misure sbagliate come la vita che pensano che stiano vivendo, un luogo straniero, a tratti ostile, che non sembra dargli quello per cui avevano tanto lottato. La convivenza forzata di stranieri e gente del luogo non è mai stata cosa semplice. Se al tutto si aggiunge il terrore di possibili epidemie di malattie ormai dimenticate come la scabbia, non può che peggiorare la già precaria situazione.

Forse se si iniziasse a cambiare mentalità e modo di vedere le cose, si riuscirebbe ad andare al di là dei pregiudizi, della paura e della diffidenza. Si tende ad aver paura di qualcosa che non si conosce. Forse basterebbe davvero poco per sentirsi tutti, indistintamente, cittadini del mondo.

 

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