PERCHÉ LA MIMOSA?

Prezioso il contributo di quanti, uomini e donne, sostengono di non fermare in un giorno le celebrazioni per le conquiste femminili in seno alla società, una festa che, ormai da tempo, a stento, riesce a simboleggiare il ruolo indispensabile della donna, trasformata, come è, in una festa consumistica al pari del Natale o della festa degli innamorati, ormai svuotata della sua identità, evoluta in una celebrazione degli stereotipi più tradizionali della femminilità, caratterizzata, nel suo periodo di massino fulgore, dal riversarsi delle donne, nei ristoranti tutte insieme, solol’8 marzo, come carcerate nell’unico giorno di libera uscita.

Lo stesso improprio termine di festa della donna (o delle donne) tradisce la superficiale consapevolezza dello stesso genere femminile sul valore della ricorrenza, di cui, peraltro, molte sconoscono origine e storia.

Senza dire che la maggior parte delle donne, sostenitrici della ricorrenza, non hanno saputo sdoganare la festa, limitandone inconsapevolmente la crescita culturale e la considerazione, dall’idea di una festa di sinistra.

La Giornata Internazionale della donna dovrebbe recuperare la sua dimensione di femminismo inteso come dottrina dell’uguaglianza sociale, politica ed economica dei sessi. Nella giornata dell’ 8 marzo si ricordano ogni anno le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne, come pure le discriminazioni e le violenze cui esse sono ancora fatte oggetto in molte parti del mondo.

L’origine delle rivendicazioni femminili, da cui si sviluppò la storia della festa, risale al 1907, quando, nel corso del Congresso dell’internazionale socialista, i rappresentanti di 25 nazioni impegnavano i partiti socialisti a «lottare energicamente per l’introduzione del suffragio universale delle donne», senza però allearsi con le femministe borghesi che reclamavano medesimi diritti.

In America, naturalmente, non fu condivisa la decisione di escludere ogni alleanza con le «femministe borghesi»; il 3 maggio 1908, la domenicale conferenza del Partito Socialista di Chicago fu chiamata «Woman’s Day» perché si discusse infatti dello sfruttamento operato dai datori di lavoro ai danni delle operaie in termini di basso salario e di orario di lavoro, delle discriminazioni sessuali e del diritto di voto alle donne. La prima e ufficiale giornata della donna fu celebrata il 23 febbraio 1909. Nel 1910 Il Woman’s Day venne impostata come manifestazione che unisse le rivendicazioni sindacali a quelle politiche relative al riconoscimento del diritto di voto femminile, proponendo alla Conferenza internazionale delle donne socialiste, svoltasi a Copenaghen nell’estate 1910, l’istituzione di una comune giornata dedicata alla rivendicazione dei diritti delle donne, .

Non ci fu accordo sull’istituzione di una giornata uguale per tutti: gli Stati Uniti mantennero l’ultima domenica di febbraio, mentre altri stati come Germania, Danimarca e Svizzera organizzarono la festa tra il 18 e il 19 marzo 1911.La festa della donna fu celebrata per la prima volta l’8 marzo, solo nel 1917, anno in cui fu organizzata una grande manifestazione a San Pietroburgo, in Russia, per rivendicare la fine della guerra. Quattro anni dopo, la Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste organizzata a Mosca, decise di rendere l’8 marzo la “Giornata internazionale dell’operaia”. In Italia fu festeggiata per la prima volta nel 1922 su iniziativa del Partito comunista, precisamente il 12 marzo, prima domenica successiva all’ormai fatidico 8 marzo.

Non hanno fondamento storie diverse come quella che la festa ricorderebbe la morte di centinaia di operaie in una fabbrica di camicie, a New York, l’8 marzo 1908, così come non è vero che verrebbe celebrata la repressione di una manifestazione sindacale di operaie tessili organizzata sempre a New York nel 1857.

In definitiva, quindi, una festa socialista, intendendo per socialismo quella dottrina politica ed economica che si proponeva di lottare per il miglioramento delle condizioni di vita delle masse, con un’attenzione speciale per le masse operaie. Le socialiste americane volevano celebrare le donne nella loro dimensione storica, sociale, economica e soprattutto politica, ricordando i successi ed i fallimenti delle lotte femministe per la parità tra i sessi e costringere i loro compagni di partito prima e concittadini poi, ad un confronto aperto su temi difficili.

Nel dopoguerra fu l’UDI, Unione Donne in Italia, associazione di donne appartenenti al PCI, al PSI, al Partito d’Azione, alla Sinistra Cristiana e alla Democrazia del Lavoro, a prendere l’iniziativa di celebrare l’8 marzo,

In tutta l’Italia e vide la prima comparsa del suo simbolo, la mimosa, che fiorisce proprio nei primi giorni di marzo, secondo un’idea di Teresa Noce, di Rita Montagnana e di Teresa Mattei.Nei primi anni cinquanta, anni di guerra fredda e del ministero Scelba, distribuire in quel giorno la mimosa o diffondere Noi donne, il mensile dell’Unione Donne Italiane (UDI), divenne un gesto «atto a turbare l’ordine pubblico», mentre tenere un banchetto per strada diveniva «occupazione abusiva di suolo pubblico».

Nel 1959 le senatrici Luisa Balboni, comunista, Giuseppina Palumbo e Giuliana Nenni, socialiste, presentarono una proposta di legge per rendere la giornata della donna una festa nazionale, ma l’iniziativa cadde nel vuoto.

Il 1975 fu designato come “Anno Internazionale delle Donne” dalle Nazioni Unite e l’8 marzo le organizzazioni femminili celebrarono in tutto il mondo proprio la giornata internazionale della donna, con manifestazioni che onoravano gli avanzamenti della donna e ricordavano la necessità di una continua vigilanza per assicurare che la loro uguaglianza fosse ottenuta e mantenuta in tutti gli aspetti della vita civile. A partire da quell’anno anche le Nazioni Unite riconobbero nell’8 marzo la giornata dedicata alla donna.

Anche il fiore, simbolo della Giornata, ha una sua storia, legata non tanto alla scelta ma a coloro che hanno preferito la mimosa.

Tre donne furono protagoniste della scelta, partigiane, protagoniste delle lotte femminili all’interno del Partito comunista italiano del dopoguerra.

Teresa Noce, partigiana, politica e antifascista torinese, nel 1921 fu fra le fondatrici del Partito comunista italiano,  nell’ambiente politico torinese conobbe Luigi Longo, i sposarono nel 1926. Furono costretti ad espatriare, prima a Mosca, poi a Parigi e in Spagna, fu deportata in Germania, poi a Holleischen in Cecoslovacchia. Il 2 giugno 1946 fu tra le 21 donne elette all’Assemblea costituente italiana; nel 1948 fu eletta nella prima legislatura del parlamento repubblicano, nel quale si distinse come proponente della legge per la “Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri”, la base della legislazione sul lavoro femminile fino alle leggi degli anni settanta sulla parità tra donne e uomini.

Nel 1954, dopo essersi separata da Luigi Longo, si allontanò dalla vita politica attiva ritirandosi gradualmente a vita privata.

Teresa Mattei, detta Teresita, genovese, antifascista sin da giovanissima, negli anni della resistenza conobbe Bruno Sanguinetti, figlio del magnate dell’industria alimentare Arrigoni, con il quale organizza l’attentato a Giovanni Gentile. Teresita aderisce al Pci nel 1943, diventando per tutti la “partigiana Chicchi”. Dopo la guerra, si presenta alle elezioni per l’Assemblea costituente e, a 25 anni, è la più giovane deputata in Parlamento, per il Pci. Appassionata e combattiva, è lei a firmare la versione definitiva dell’articolo 3 della Costituzione sull’uguaglianza di tutti i cittadini.

Rita Montagnana, torinese di nascita, discendeva da una grande famiglia ebrea di tradizioni socialiste. A quattordici anni va a lavorare in una sartoria, aderisce agli scioperi delle sarte torinesi e da qui comincia il suo impegno in difesa delle lavoratrici, muovendosi tra il circolo femminile «La Difesa» e i comitati regionali femminili. Fino a diventare rappresentante delle comuniste italiane alla seconda conferenza femminile internazionale del 14 giugno del 1921 a Mosca. È in queste circostanze che conosce Palmiro Togliatti, il Migliore, , con il quale si sposa nel 1924.

Come si può intuire la scelta della mimosa avvenne per mano delle donne vicine ai vertici del PCI:  la moglie del responsabile delle organizzazioni di massa del Pci, futuro segretario, Luigi Longo, la moglie di Palmiro Togliatti e una delle più giovani militanti.

Le dirigenti comuniste e socialiste si fecero sentire da subito nella battaglia in favore dei diritti delle donne. Il 30 gennaio del 1946 il Consiglio dei ministri approvava la legge che dava alle donne italiane il diritto di voto. Una grande vittoria per l’Udi, anche per le donne del PCI: l’occasione giusta per festeggiare in grande la festa della donna. Con un nuovo simbolo. Magari un fiore.

Le donne socialiste premevano per le violette o le orchidee, Luigi Longo, l’8 marzo del 1946, voleva regalare delle violette alle compagne di partito, la moglie, Teresa Mattei e Rita Montagnana vollero un fiore poco costoso, un fiore più povero, più diffuso, suggerirono la mimosa che fiorisce nei primi giorni di marzo, non ha un costo eccessivo ed è alla portata di tutti. Un fiore povero, stagionale, bello ma modesto. Di sinistra. Un fiore collettivo, «con tutti quei fiorellini messi insieme».

 

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