PER EVITARE LE STRAGI NEL MEDITERRANEO NON DEVONO PARTIRE I BARCONI

Avremmo voluto aspettare che si stemperasse il legittimo dolore suscitato dal tremendo episodio accaduto qualche giorno fa sul litorale sciclitano, ma l’ennesima tragedia del mare a largo di Lampedusa, che ci colpisce nella medesima misura di altri drammi a cui assistiamo impotenti (italiani che si uccidono per la crisi o, lontano dai riflettori, il genocidio legale compiuto dal 1978 a danno di innocenti uccisi nel ventre delle proprie madri), ci costringe a non indugiare oltre.E’ quanto rende noto il coordinatore provinciale di Forza Nuova, Giovanni Cicciarella.

In coscienza, siamo costretti a rompere il coro monocorde che da giorni assorda il pubblico della cronaca locale e nazionale, composto dai paladini della lacrimuccia transeunte, sempre pronti a stracciarsi le vesti ogni qualvolta si consumi una tragedia annunciata per manifestare pubblicamente la propria genuina bontà.

Fin troppe volte le immagini di disperati morti nel tentativo di raggiungere quella che dalla TV può ancora apparire come una meta agognata hanno dato vita a falsi pietismi: abbiamo dovuto leggere e ascoltare frasi di circostanza, abbiamo dovuto assistere a pietose, quanto ipocrite, scenette interpretate da personaggi più o meno importanti, abbiamo visto ministri, direttori di testate giornalistiche ed operatori di servizi d’ assistenza – che, ricordiamoci,assumono troppo spesso l’aspetto di imprese commerciali, con relativi interessi e lauti profitti – tentare di fornire una propria chiave di lettura ai drammi verificatisi e indicare soluzioni senza mai far riferimento, però, al totale fallimento di una indiscriminata politica dell’accoglienza che non ha i mezzi per accogliere e mostrando di nascondere la vera natura dei fatti legati all’immigrazione.

Forse, ci domandiamo noi che di giornali non ne dirigiamo e certamente non siamo personaggi popolari o operatori di assistenzialismo ad alto reddito, sarebbe ora di cominciare ad allungare il nostro sguardo orientandolo alla radice del problema, in una prospettiva che guardi a quanto accade nei Paesi da cui proviene l’immigrazione clandestina che non si limiti alla generica e onnicomprensiva considerazione che tutti abbiano il dovere di fuggire da guerre, fame, ecc. e che per questo debbano essere ospitati  Forse, è giunto il momento di capire che il falso pietismo è una maschera che copre la realtà di una tratta degli schiavi, gestita da organizzazioni criminali, come ormai è ampiamente documentato, che va fermata; non incoraggiata lanciando messaggi che arrivano a destinazione con il risultato tragico di aumentare il numero delle partenze e, di conseguenza, delle tragedie.

Quanti, tra coloro che abbiamo menzionato, spendono un solo minuto del proprio tempo a ricordare le migliaia di vittime sconosciute, non riprese o fotografate come fossero su di un set cinematografico, che non hanno la possibilità o addirittura la volontà di abbandonare la propria terra?
L’Eritrea, secondo l’analisi dell’autorevole Freedom House, è uno dei 17 Paesi meno liberi del mondo. Governata, da oltre 20 anni, da un regime dittatoriale di stampo militare in cui l’obbligo di leva è imposto a tutti i cittadini e dove non esiste alcun genere di libertà: politica, religiosa, civile o d’espressione. Quanto alla Somalia, il suo governo controlla solo la capitale, Mogadiscio, e poco altro. Il resto è nelle mani delle milizie islamiche Shebaab (responsabili del recente massacro di Nairobi) e di altri gruppi armati; è così dal 1991: 22 anni di guerra civile. I responsabili di questa tragedia delle migrazioni non siamo noi; hanno i nomi del tiranno eritreo Afewerki, delle milizie Shebaab e di un “governo” somalo, provvisorio, e votato alla corruzione. Altri disperati,  arrivano da quei Paesi che l’Occidente democratico ha provveduto a destabilizzare fomentando le cosiddette “primavere arabe”, producendo nei fatti fughe di massa e guerre civili senza fine, i cui costi, in termini di tensione sociale oltre che economici, non possiamo essere noi a pagare; noi che, proprio a Scicli, tocchiamo con mano la tragedia di una crisi che già spinge a tentare il suicidio e i cui effetti devastanti devono ancora esplodere compiutamente. Non è con un maggiore e problematico sviluppo di una fantomatica accoglienza, che nessuno sarebbe in grado di gestire, che si metterà fine alle stragi né, tanto meno, con la concessione di una cittadinanza che di certo non può essere vista come un salvavita o con l’abolizione del reato di clandestinità che non farebbero che incentivare altri viaggi disperati e, dunque, altri drammatici naufragi.

Lo sforzo responsabile di un’Europa e di un’Italia fedeli al proprio ruolo storico deve essere indirizzato al miglioramento delle condizioni di vita delle popolazioni più deboli nella propria terra d’origine; è lì che vanno indirizzati quei fondi milionari che già spendiamo senza ottenere nulla di concreto in termini di accoglienza ed integrazione. Una sincera carità cristiana che miri a risolvere il problema ci chiama a far sì che gli immigrati non abbiano motivo di mettersi in viaggio, così da scongiurare l’ennesimo naufragio e tutto il dolore che ne segue. Questo lo si realizza con la promozione del progresso sociale, culturale ed economico, presidiando le aree d’origine con i nostri militari, oggi sparsi su scenari di guerra che non ci appartengono,  e con operatori qualificati che possano dare un contributo tangibile, verificabile nel medio periodo, in termini di tecnologie, alfabetizzazione, sanità, istruzione, nel settore agro- alimentare prima ed industriale poi, in modo da fornire a quei popoli gli strumenti necessari per vivere dignitosamente e liberamente nella propria terra natia; così come ogni uomo desidera per sé e per i propri figli. Questa è bontà vera, l’immigrazione non è il risultato di una somma di casi personali; è un fenomeno globale che va affrontato con coraggio e forza e che, è inutile nasconderlo, provoca forti tensioni sociali.  Altrimenti non ci resta che dare la cittadinanza alle centinaia di milioni di disperati di tutto il mondo, disposti a lavorare da schiavi, e a contendersi un pezzo di pane con chi già tenta il suicidio a due passi del Municipio di via Mormino Penna, senza meritare le lacrime di nessuno.

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