METABOLISMO “RALLENTATO”? POTREBBE ESSERCI LO ZAMPINO DELLA TIROIDE.

Ghiandola endocrina dalla famosa forma “a farfalla”, la tiroide è localizzata nella parte anteriore del collo, tra trachea e laringe, e da lì influenza moltissimi processi metabolici dell’organismo, attraverso la produzione e secrezione di specifici ormoni. I disturbi della tiroide, molto più diffusi di quanto si pensi, possono variare dal piccolo e innocuo gozzo, un ingrossamento spesso privo di significato patologico, fino a tumori benigni o maligni. Ma il problema più comune riguarda la produzione anomala degli ormoni tiroidei, maggiore o minore della quantità fisiologica: se la produzione è in eccesso, si parla di ipertiroidismo, nel caso opposto, invece, di ipotiroidismo.

 

Di entrambe queste condizioni non sono del tutto note le cause, ma chi ne soffre conosce bene gli effetti, che influenzano negativamente la salute generale, l’umore e il metabolismo, almeno finché non si recupera l’equilibrio tiroideo, iter non sempre facilissimo. Il bello è che, molto spesso, si tratta di condizioni “subcliniche” (con valori ormonali borderline ma entro i limiti stabiliti), e quindi non trattabili con le comuni terapie farmacologiche. Oppure, la diagnosi è quella di tiroidite cronica, e il medico ci dice solo di “tenere la situazione sotto controllo”. In tutti questi casi, che si fa? Non sempre basta aspettare che tutto si aggiusti da sé, proprio perché la tiroide è estremamente sensibile, e risente moltissimo di tutto ciò che “facciamo e sentiamo”, sia in termini di un’alterazione dei ritmi circadiani (dovuta a mancanza di sonno, sbalzi ormonali, etc.), sia di condizioni di stress per l’organismo, e in questo caso con “stress” intendo condizioni o comportamenti non ottimali, quali abbuffate o digiuno prolungato, eccessivo esercizio fisico o totale sedentarietà.

 

Per capire come supportare la tiroide, occorre fare un passo indietro per conoscerne le basi del funzionamento: senza scendere nei dettagli, bisogna sapere che sintesi e regolazione degli ormoni tiroidei (T3 o triiodotironina, e T4 o tetraiodotironina o tiroxina) dipendono in primis dal buon funzionamento dell’ipofisi e dell’ipotalamo, che producono e rilasciano TRH (Tyreotropine Realising Hormone) e TSH (Tyroid Stimulating Hormone), la cui azione combinata regola la sintesi ormonale a livello della tiroide. In questo step, lo iodio assunto con la dieta gioca un ruolo cruciale per l’assemblaggio finale dei due ormoni. Le disfunzioni, ovviamente, si possono avere anche a monte, e in quel caso la tiroide fa uno sforzo doppio per garantire la produzione di T3 e T4, peggiorando la situazione.

 

C’è da dire, però, che raramente iper- o ipotiroidismo sono causati da una dieta povera di iodio, mentre alcuni farmaci e, soprattutto, condizioni autoimmuni (come la tiroidite di Hashimoto) giocano un ruolo maggiore. L’ipotiroidismo, inoltre, è spesso più difficile da diagnosticare, perché più subdolo e con una sintomatologia molto blanda, soprattutto all’esordio. I sintomi più comuni dell’ipotiroidismo (mi riferisco a quello primario, che rappresenta il 95% della casistica e interessa solo la ghiandola, mentre quello secondario è indotto da problemi di controllo ipofisario), sono stanchezza, intolleranza al freddo, sonnolenza, stipsi ostinata, perdita di capelli e aumento di peso. Nelle forme subcliniche, si possono manifestare sintomi più lievi o sporadici, più difficili da individuare e collegare a un deficit tiroideo.

 

La difficoltà a perdere qualche kg di troppo, per esempio, è per molte donne un campanello d’allarme. Perché, “prima” riuscivano a tornare al peso forma con pochi sforzi, e poi “all’improvviso” quei 3-4 kg non vanno via nemmeno con sacrifici estremi (che, attenzione, peggiorano solo la situazione)? La causa potrebbe essere proprio un “rallentamento” della tiroide, e di conseguenza delle vie metaboliche coinvolte nel dispendio energetico e nel corretto utilizzo dei nutrienti, piuttosto che nel loro accumulo sotto forma di tessuto adiposo. In questi casi, quindi, mangiare bene è fondamentale, mentre è sbagliato ridurre drasticamente l’introito alimentare, o triplicare la quantità di esercizio fisico settimanale, entrambi comportamenti che inasprirebbero la situazione.

 

L’ipotiroidismo lieve, inoltre, può peggiorare e cronicizzare, e in quel caso l’unico trattamento possibile diventa quello farmacologico, che prevede l’assunzione di ormone tiroideo sintetico. Prima di arrivare a tanto, però, si può prevenire l’insorgenza di questa condizione? Sicuramente mangiare in modo sano e adeguato rappresenta un aspetto importante! Soprattutto perché garantisce l’apporto di due microelementi che supportano l’efficienza della tiroide: si tratta, oltre allo iodio, di zinco e selenio.

 

Per quanto riguarda il selenio, la carenza alimentare per fortuna è rara, ma ciò non significa che l’apporto quotidiano sia sempre adeguato. Le maggiori fonti di questo elemento sono frattaglie, pesce (vongole e ostriche in primis, ma anche crostacei e altri pesci), uova, carni di vario tipo, frutta secca (noci), latte e derivati. Ma anche cereali integrali, vegetali e semi oleosi ne contengono abbastanza. Chi ama gli integratori, deve sapere che la dose giornaliera raccomandata in Italia è di 55 μg, e non si consiglia di superare i 200μg (in Europa, il limite superiore di sicurezza è stato stabilito nell’ordine di 300 µg/giorno per gli adulti). Quantità superiori assunte a lungo possono causare la sindrome della selenite, con nausea, vomito, affaticamento, irritabilità, depressione, alito cattivo, perdita di capelli e caduta delle unghie.

 

Lo zinco, altro microelemento vitale non solo per la tiroide, si trova senza dubbio in una vasta gamma di alimenti, come ostriche, vongole, noci, carni, parmigiano, nocciole, uova, sardine, pollo, gamberi e latte, ma c’è da dire che i fitati contenuti negli alimenti vegetali ne riducono l’assorbimento, perciò i vegetariani devono assicurarsi di includere nella dieta alimenti come uova, cereali integrali, frutta secca e legumi. Il fabbisogno per l’adulto è di 12-15 mg/die, 10 mg per i bambini.

 

E lo iodio? Dati e studi sulla carenza di iodio se ne trovano a centinaia,  e del resto la carenza è ormai rarissima, ma qui voglio solo ricordare quali sono le fonti principali. Uno degli alimenti più ricchi di iodio è, come molti sanno, il pesce: via libera, quindi, a merluzzo, sgombro, branzino, alici e salmone. Chi non gradisce quello “carnoso”, può optare per molluschi e crostacei, ugualmente ricchi di questo prezioso elemento: 100 grammi di crostacei, infatti, possono fornire fino a 300 microgrammi di iodio. Seguono uova, yogurt (meglio se intero e bianco), latte e formaggio, fagioli (in misura minore, anche fave, piselli e ceci), alghe, funghi, semi di sesamo e girasole.

Non bisogna, invece, abusare di nocciole, cavoli, ravanelli, pinoli e arachidi, perché sembra che riducano l’assorbimento di iodio. Infine, ricordiamo che il sale iodato, per alcuni ancora sconosciuto, rappresenta invece un ottimo modo per raggiungere i livelli giornalieri consigliati dall’OMS, naturalmente senza esagerare con la quantità.

 

Come vedete, alcuni alimenti si ripetono quando si tratta dell’apporto di selenio, zinco e iodio, pertanto aumentarne il consumo, se necessario, o mantenerlo, è sicuramente un ottimo alleato per la salute della tiroide.

Ricordiamo, infine, che molto spesso la risposta a un “inspiegabile” aumento di peso è da ricercare nell’assetto ormonale, il cui equilibrio è fondamentale per il funzionamento di tutte le vie metaboliche.

 

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