MAIORCA, INIZIA A TREMARE: IL GRANO ANTICO È TORNATO

 “Buongiorno, vorrei del pane integrale. Lo fate con il frumento antico [e il lievito madre]?” Pochi giorni fa, al panificio, le mie orecchie hanno letteralmente cantato al suono di queste parole, e la signora che ha posto la domanda al negoziante mi ha dato lo spunto per questo articolo – oltre ad aver reso la mia giornata decisamente migliore.

 

Che si stia finalmente diffondendo una maggiore consapevolezza sulle diverse varietà di farina presenti sul mercato? Sarebbe anche ora. Non si sente più parlare, infatti, solo di farina 0, 00, 1 e 2, ma anche di integrale, semintegrale, di grano duro, di semola rimacinata (già nota a noi Siciliani, ma per molti altri un’emerita sconosciuta), e ancora, ai 5 cereali, di ceci, farro, soia, orzo, riso, mais, grano saraceno, miglio… L’elenco è davvero lungo, forse perfino troppo. Il filo conduttore, però, è uno solo: addio alla farina bianca, che più bianca non si può.

 

Quali e quante, tra le tante farine, sono però quelle da preferire? Forse è giunto il momento di capire che se una cosa si mangia da generazioni e generazioni non necessariamente significa che sia la migliore. Mi riferisco, in questo caso, alla farina 00 (in alcune regioni più nota come maiorca) ma anche alla 0, le due farine più raffinate in assoluto, eppure ancora oggi le più usate per preparare pane, pasta, torte e biscotti. Certo, con queste farine viene tutto soffice, bianco, morbido, bello… Ma è questo quello che ci serve in termini di gusto e salute?

 

Facciamo subito il punto sulle differenze tra le farine di frumento più comuni, e approfondiamo poi il vero protagonista di questo articolo: il grano antico.

 

–       Farina 00: è la più raffinata, ottenuta dalla macinazione del chicco di grano, da cui si eliminano il germe (ricco di vitamine, sali minerali e aminoacidi) e la crusca (ricca di fibre), cioè le parti migliori dal punto di vista nutrizionale. Cosa resta? Facile: solo amidi, ovvero carboidrati, che non solo non forniscono un bel niente all’organismo se non zuccheri, ma determinano perfino un aumento della glicemia non indifferente.

–       Farina 0: un po’ meno raffinata della precedente, ma ugualmente priva dei nutrienti importanti, conserva solo una piccola percentuale di crusca.

–       Farina 1: ancora meno raffinata, possiede una maggiore percentuale di crusca.

–       Farina 2: conosciuta anche come farina semi-integrale. Gli amanti dell’integrale la usano perché è più facile da usare e mantiene buone caratteristiche nutrizionali. Rappresenta, insomma, un buon compromesso.

–       Farina integrale: tra quelle citate, è senza dubbio la migliore, (soprattutto se macinata a pietra, senza, cioè, subire un surriscaldamento che ne abbassa il valore nutrizionale), perché contiene tutte le parti del chicco.

 

Le ultime due, del resto, sono le vere farine originarie, quelle che si usavano prima di scoprire l’arma della raffinazione. Negli anni ‘50, infatti, le versioni raffinate hanno invaso mercati e cucine, dominando indisturbate per decenni e contribuendo alla diffusione di obesità e malattie del benessere. Sembra, però, che qualcosa stia cambiando, e questo deve farci tirare un grosso sospiro di sollievo.

 

Quali sono le caratteristiche distintive dei grani antichi? In primis, un grano di questo tipo NON ha subìto alterazioni o rimaneggiamenti genetici, ed è per questo che la sua resa è inferiore rispetto al più diffuso e moderno frumento. Non essendo lavorato a livello intensivo, inoltre, il prezzo di vendita è più alto, a fronte però di un prodotto molto più sano e genuino. Ancora, la tecnica di lavorazione è la macinazione a pietra, quindi la farina ottenuta è molto meno raffinata e di alta qualità, da considerare come una semi-integrale rispetto alle farine 0 o 00, e quindi più ricca di nutrienti. E il glutine? I grani antichi ne hanno meno (sono i rimaneggiamenti moderni ad aver reso il grano più ricco di glutine), e sono caratterizzati da un miglior rapporto tra amido e glutine, rendendo la farina – e tutti i prodotti che se ne ricavano-, molto più leggeri, digeribili e assimilabili di quelli realizzati con la comune farina bianca. Anche l’indice glicemico, infine, è inferiore, e ciò rende l’impatto sulla glicemia nettamente più modesto.

 

Per tutti questi motivi, persone con diagnosi di sensibilità al glutine (attenzione, non celiaci), diabete, insulino-resistenza e sindrome metabolica, possono trarre un concreto vantaggio dall’utilizzo dei grani antichi. In fondo, si tratta di varietà del passato rimaste autentiche e originali, senza subire modificazioni industriali per aumentarne la resa e, per questo, molto più genuine.

 

Uno dei grani antichi più diffusi e in voga è sicuramente il Kamut canadese, diventato da qualche anno un vero e proprio marchio registrato, oltre che un business mondiale. Non c’è bisogno, però, di andare così lontano: l’Italia ha moltissime varietà antiche da riscoprire, e la Sicilia è in pole position. I grani antichi siciliani, infatti, comprendono 52 varietà di grani autoctoni delle 291 presenti in Italia. La maggior parte di essi, purtroppo, è letteralmente scomparsa, a causa delle basse rese e dell’incompatibilità con le tecniche di coltivazione intensiva, meccanizzata e addizionata di fertilizzanti. Delle 52 varietà, pensate, nel 2009 in Sicilia se ne coltivava solo una!

 

Del resto, due accordi politici internazionali (UPOV 91 e TIPS) in passato avevano favorito la scomparsa delle varietà autoctone e proibito lo scambio tra gli agricoltori, i quali non avevano più potuto conservare e tramandare questi preziosi semi autoctoni. Negli ultimi anni, per fortuna, le cose stanno cambiando, e pare che la coltivazione di alcune varietà di grani antichi sia in aumento in tutto il nostro territorio.

 

Al di là di gusto e preferenze, c’è fermento su questo tema anche nel mondo della ricerca, i cui studi ci aiutano sempre a capire quanto ci sia di vero dietro le notizie di stampo divulgativo.

 

In questo caso, uno studio* condotto da ricercatori della Stazione Consorziale Sperimentale di Granicoltura per la Sicilia di Caltagirone ha confrontato 4 varietà di grani duri antichi siciliani (Cappelli, Margherito, Russello, Timilia) e 13 moderne varietà di grani duri, portando alla luce differenze interessanti. In particolare, è stato scoperto che le varietà moderne rendono di più in termini di semola, e hanno una percentuale più alta di glutine secco, con una composizione proteica molto diversa rispetto ai grani duri antichi, e di conseguenza proprietà visco-elastico altrettanto diverse (migliori per la pastificazione a livello industriale). Ancora, le varietà antiche hanno mostrato un più basso indice di glutine, e cioè una minore tenacia (in altre parole, è un glutine meno adatto agli scopi produttivi, ma molto più gradito dall’organismo). In base ai parametri visco-elastici, si è anche visto che gli impasti ottenuti con le vecchie varietà sono più morbidi e meno resistenti rispetto alle varietà moderne. Infine, nei pani prodotti con grani antichi, sono risultate una crosta più spessa e una mollica meno alveolata, con briciole più piccole e maggiore umidità. In altri termini: diversa consistenza, maggiore digeribilità e, neanche a dirlo, profumo e gusto inconfondibili.

 

Sarebbe interessante leggere altri di questi studi, e sono fiduciosa che ciò accadrà negli anni a venire. Nel frattempo, dovremmo tutti riflettere sui reali vantaggi derivanti dal consumo dei grani antichi, e iniziare perlomeno ad alternare i prodotti che ne derivano con quelli di uso comune. Del resto, si tratta di frutti della nostra terra…

 

Iniziate a chiedere al vostro panettiere di fiducia quali farine usa per fare pane e biscotti, potreste rimanere sorpresi dalla sua risposta… Almeno spero!

 

 

di Wanda Rizza

Prossimamente, un approfondimento su alcune farine “alternative”.

 

Link:

* G. Gallo, M. Lo Bianco, R. Bognanni, G. Saimbene, A. Orlando, O. Grillo, R. Saccone, G. Venora. (2010) “Durum wheat bread: old Sicilian varieties and improved ones.” Journal of Agricultural Science and Technology.

http://www.ragusaoggi.it/60337/sindrome-dell-intestino-irritabile-pu-esserci-lo-zampino-del-glutine

 

articolo sul lievito madre: http://www.ragusaoggi.it/51417/form

 

http://www.ragusaoggi.it/52417/celiachia-e-sensibilit-al-glutine-i-parte

 

http://www.ragusaoggi.it/52647/celiachia-e-sensibilit-al-glutine-ii-parte

 

 

 

 

 

 

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