LETTERA A PAPA FRANCESCO

Caro Papa Francesco,
mi rivolgo a Lei come se parlassi ad un padre, nel momento in cui ci si rende conto che, in certi
momenti, l’unica persona che potrebbe comprenderti è proprio quella del familiare più caro, il
genitore. Che ti ascolta senza giudicarti. Senza rinunciare alla razionalità, ma nemmeno al cuore.
E poiché anch’io sono padre, questo è lo sfogo di un’ingiustizia causata in prima battuta a mio
figlio. E poi alla famiglia che lo educa, e si sforza, tra numerose difficoltà, di farlo in modo
cristiano.
Accade un giorno, per la cronaca il 22 settembre di quest’anno, che mia moglie si rechi nella
propria parrocchia per iscrivere nostro figlio al catechismo, in previsione della Prima Comunione. E
che assente il parroco, le venga chiesto di compilare un modulo che contiene anche
l’autorizzazione, da parte dei genitori, alla pubblicazione di foto in internet riguardanti il figlio. Mia
moglie non dà il consenso, perché di comune accordo abbiamo deciso di non dare a chiunque, in
modo aprioristico, la possibilità di esporre l’immagine del nostro bambino in nessun social network.
Negare il consenso è giuridicamente una nostra possibilità, un diritto. E dal punto di vista morale,
credo che spetti solo a un genitore decidere se pubblicare un’immagine del proprio figlio,
eventualmente in quali tempi e con quali modalità, e soprattutto decidere a chi concedere tale
potere.
Immediatamente, alla presenza di un testimone, viene obiettato a mia moglie che, senza il consenso,
non è possibile effettuare l’iscrizione. Cerco di essere breve. Il 26 settembre, ancora mia moglie
riesce ad avere un appuntamento con il parroco che, infastidito per essere stato contattato su
facebook sul suo profilo personale, continua a mostrarsi tale anche personalmente. Ma, soprattutto,
conferma di non aver dato prosecuzione all’iscrizione, in quanto priva del consenso che mia moglie
impulsivamente aveva cancellato sul modulo, sbarrando con la penna la parte interessata.
Ma davvero siamo nell’era in cui il dio della multimedialità è l’unico che possa regnare? Un’era in
cui far parte dei social network non sia una scelta, ma un perentorio diktat? Niente e nessuno
sembra opporsi a questo comandamento. Nemmeno un parroco, dal momento che lui stesso pare
abbia scelto, a giudicare dalle numerose immagini su facebook, di esporre la parrocchia che guida.
Cosa avremmo dovuto fare io e mia moglie? Pensiamo di chiedere un incontro con il vescovo, che
il 5 ottobre ha gentilmente ricevuto mia moglie, ascoltandola e…lasciando in sospeso qualsiasi
decisione, dal momento che, prudentemente, intendeva parlare prima con il parroco.
Intanto passano i giorni, il catechismo si avvia e nessuno, né il parroco, né il vescovo cercano di
mettersi in contatto con mia moglie. Tacciono. E invitano a tacere. Forse, nella speranza che tutto
eraclitamente scorra.
Ma il mio dispiacere non poteva scorrere, come la mia amarezza e il mio rincrescimento. Davvero a
nessuno importava dell’ingiustizia commessa su un bambino e sulla sua famiglia? Certo, siamo
abituati ad ingiustizie più grandi. Non si comprende come si possa inciampare in un sassolino e
fermarsi a riflettere.
Così, assistiti da un legale dell’Associazione Avvocati dei Consumatori (“Forse a una voce più
autorevole risponderanno”, ci siamo detti), il 12 ottobre è stata inviata una comunicazione scritta al
vescovo, al parroco e all’Ufficio Catechistico. Ma anche stavolta le maggiori istituzioni della
diocesi siracusana, insieme al suo parroco, stanno zitti. Da una parte si cerca il dialogo. Dall’altra si
preferisce il silenzio.
Nell’ultima settimana di ottobre, decidiamo di inviare un’ulteriore comunicazione scritta agli stessi,
coinvolgendo stavolta il presidente della C.E.Si. E decidiamo di informare anche la stampa locale.
Sì, Papa Francesco, proprio così. Coinvolgendo quel dio multimediale di cui le ho già detto. Quel
dio potente, che è riuscito a rompere il muro del silenzio, obbligando il parroco a negare il fatto e a
minacciare querele, e la curia siracusana, paradossalmente, ad ammettere l’esistenza di un fatto.
Tuttavia, si lascia intendere che il vescovo, nella stessa giornata, abbia ricevuto mia moglie e
sistemato la spinosa questione, e che quindi il bambino possa essere accolto al catechismo. Ma
l’incontro con il vescovo era avvenuto alcune settimane prima, senza esito proficuo. E inoltre, tra le
righe del comunicato della curia, si capisce (non tanto velatamente) che l’iscrizione possa avvenire,
ma sempre a patto che venga dato il consenso sul modulo.
Intanto, succede che i fedeli parrocchiani insorgano con i loro commenti su facebook, inviperiti
all’inverosimile e scagliandosi contro di noi genitori, accusati di essere preistorici, cattivi,
tendenziosi, machiavellici, invidiosi e di esagerare la vicenda a fini speculativi, screditando il
povero parroco che ha sempre svolto un lavoro degno di lode con i ragazzi del catechismo. Un
lavoro tale che, a loro dire, la parrocchia è da tempo la più ambita della città. Sembra che questi
fedeli non abbiano letto l’articolo pubblicato e anzi ne abbiano scritto, coralmente, uno nuovo.
Come se avessimo noi bollato il parroco, facendone la figura più meschina di questo mondo. Ma, in
realtà, il bollo è stato dato a noi genitori. E perfino a nostro figlio, che qualcuno, senza
minimamente conoscerlo, ha definito brutto e con difficoltà relazionali. Rimaniamo senza parole. E
con tanti pensieri, che potrebbero così formularsi:
Si parla tanto di cambiare le cose, poi succede che qualcuno decida di “denunciare” qualcosa che
non va e invece di sostenerla, si vanno a ricercare i motivi oscuri per cui l’ha fatto. Si scomodano
l’invidia, la cattiveria o la fantasia malvagia e si accusa la persona di aver montato un caso. Ci si
dice certi di conoscere la verità, ma la verità possono conoscerla solo le persone coinvolte. Una
persona che sta bene difficilmente prova a inventare qualcosa di sana pianta. È chiaro che vedere
messi in discussione le persone o le cose su cui si investe è dura, ma è anche vero che un errore è
un episodio che inizia e finisce, non cambia il valore di una persona e delle sue azioni. Il proprio
valore si dimostra anche ammettendo un errore, invece di perpetuarlo. Sarebbe un bell’esempio per
tutti!
Ed eccoci giunti all’inizio di questa lettera, e allo sfogo di un padre e di una madre che ormai non
sanno a chi rivolgersi, se non a lei, Papa Francesco. “Per ottenere cosa?”, si chiederà a questo
punto.
Dopo questa vicenda, abbiamo deciso che nostro figlio non farà il catechismo. Una volta adulto,
deciderà lui se accostarsi ai sacramenti, come del resto qualcuno, all’interno della parrocchia, aveva
suggerito a mia moglie, dopo le sue proteste al diniego di iscriverlo al catechismo senza aver
firmato il famigerato consenso. Tuttavia, che la nostra esperienza, serva, almeno, ad altri genitori, a
tutti quelli che non hanno mai fatto obiezioni a quel parroco perché non hanno letto con attenzione
il modulo velocemente sottoscritto. Ciò che conta, alla fine, è la tutela dei bambini, sempre e
comunque.
E poi, perché tutti possiamo imparare un’umile lezione da quanto accaduto. Una lezione sul
silenzio. Qualsiasi silenzio, nella misura in cui si fa molesto, può e deve essere rotto. Spiegato.
Compreso. E, con l’amore dell’unico vero Dio che ci sorregge sempre, nonostante la nostra
pochezza, perdonato. Allora sì che il silenzio riesce a scorrere, come l’acqua in cui non è possibile
bagnarsi due volte, perché continuamente si rinnova. Altrimenti, qualsiasi scelta di “socialità
mediatica”, rischia di diventare un’illusoria bugia. E per questo altamente pericolosa. Dal momento
che, come una nebbia, incensa e nasconde, ma non cancella, le reali intenzioni di una parte del
nostro secolo, quella più fragile e malata: apparire, per non essere, per non diventare mai portatori
di parole e di gesti empatici.
Che il mio saluto, caro Papa, la raggiunga con tutta la forza di un vero e affettuoso abbraccio.

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