L’ANTEPRIMA DELLA SESTA EDIZIONE È CON LA MOSTRA DI LEONARDO MERÇON,DAL 19 MAGGIO A MODICA

Nato a Vitória, in Brasile, 35 anni appena compiuti, impegnato da dodici anni come fotografo per la salvaguardia e la tutela della natura – con collaborazioni di grande rilievo tra cui quella con Sebastião Salgado – Leonardo Merçon è diventato famoso in tutto il mondo con una foto del disastro ambientale del Rio Doce che nel giro di pochissimo ha conquistato 6 milioni di visualizzazioni sui social ed è passata su tutti i principali network mondiali. Merçon, che ha già pubblicato sei libri e in Brasile guida anche Últimos Refúgios, una Ong no profit che si occupa di sensibilizzazione ambientale, sarà tra gli ospiti della sesta edizione di Welcome to Paradise a Modica e ne aprirà, con la sua mostra fotografica, l’anteprima in città. 

 

L’appuntamento è per giovedì 19 maggio alle ore 19.30 nell’Atrio di Palazzo San Domenico sarà inaugurata la mostra di Merçon “Lagrimas do Rio Doce”, le lacrime del fiume Doce. 

Dal 5 novembre 2015, quando due dighe contenenti vari milioni di rifiuti tossici da operazioni minerarie sono crollate, generando il peggior disastro ambientale della storia del Brasile, Leonardo Merçon è impegnato a documentare la “fukushima brasiliana” di Minas Gerais, che ha ucciso 17 persone e migliaia di pesci. Leonardo Merçon ha ritratto i drammatici momenti della marea di fango del fiume Rio Doce, verso l’Oceano, e le sue immagini sono stata usate da diversi giornali internazionali.

 

Intervista

Come nasce la tua passione per la fotografia naturalistica? Perché hai deciso di specializzarti in questo settore?

Empatia e sentimento sono le parole chiave che riescono descrivere la mia passione che poi è diventata anche il mio lavoro. Da quando ho realizzato il primo servizio fotografico naturalistico è cresciuta in me la voglia di documentare la sofferenza a cui sono sottoposte le piante e gli animali per divulgare il più possibile una situazione che è ben lontana dalla sostenibilità ambientale. Finché gli occhi non  vedono il cuore non duole. Lo scempio causato dall’incuria e dall’inciviltà umana sta diventando un’emergenza. Per questo la mia è anche un’attività di denuncia. Bisogna, oggi più che mai, sensibilizzare le persone e le istituzioni a tutelare e rispettare l’ambiente, il suo delicato equilibrio e la sua incommensurabile bellezza.

 

Tu sei nato e vivi a Vitória nello Stato di Espírito Santo. Com’è la situazione lì?

È rimasto solo 10% della foresta, uno spazio limitato per una fauna che come se non bastasse vittima del bracconaggio e delle azioni scellerate dei piromani. L’uomo uccide, contamina, è responsabile della deforestazione, compie azioni criminali per fini che sono puramente economici. La paca, per esempio, è un animale che vive nella riserva. Se un lavoratore con un salario minimo uccide 3 di questi piccoli roditori al giorno riesce a guadagnare dalla loro vendita lo stipendio di un mese. Un bell’affare, no? Peccato non ci sia la coscienza del fatto che si altera l’ecosistema e si devasta la biodiversità. 

 

Hai lavorato insieme a Salgado all’Instituto Terra. Raccontaci la tua esperienza.

È stata una grande opportunità per me. Questa esperienza mi ha permesso di crescere e di capire come superarmi attraverso lo studio e la ricerca. Salgado era rimasto impressionato dalla mia sensibilità nel catturare con l’obiettivo la natura e mi ha voluto offrire non solo questa possibilità ma anche quella di esporre insieme a lui a Parigi. Avevo un piccolo spazio ma dentro c’era tutto il mio mondo e la mia soddisfazione per essere arrivato fin lì. È stato un anno ricco di stimoli, che ha impresso un’ulteriore spinta al mio percorso e che ha dato modo di credere a chi mi stava attorno nel mio lavoro così come ci ho sempre creduto io. 

 

Ma lui che tipo è?

Mi ha stupito la sua grande umiltà. È un uomo serio e professionale che presta attenzione a tutti i suoi collaboratori. 

 

Cosa ti ha lasciato nel profondo quell’anno?

La speranza che può esistere un futuro migliore. All’Instituto Terra sono tornati gli animali a ripopolare la riserva, è tornata l’acqua, è tornata la vita. Per questo mi sono deciso a impegnare tutte le mie energie nella mia Ong “Últimos Refúgios”, ho tratto ispirazione da ciò che ho visto e spero che tutto questo sia di esempio anche ad altri. Si può fare sempre di più e non bisogna mai perdere la voglia di lottare e andare avanti. 

 

In ogni percorso prima o poi arriva sempre un momento di crisi. È stato così anche per te?

Certo. Tre anni fa, dato che nonostante i miei sforzi non riuscivo a vedere nessun cambiamento nella situazione brasiliana, avevo deciso di mollare tutto e trasferirmi in Europa. È stata mia moglie Ilka a farmi cambiare idea. Ti leggo il suo messaggio che conservo ancora per ricordarmi ogni giorno cos’è che anima il mio lavoro: “Non smettere mai di voler cambiare il mondo, anche se inizialmente non avrai successo, perché tu puoi toccare il cuore di un bambino che riuscirà a farlo”. E infatti a “Últimos Refúgios” diamo molto spazio alle attività con rivolte ai bambini e alle giornate di sensibilizzazione nelle scuole tramite materiali fotografici e video. 

 

Ma tu hai figli?

Sinceramente ho paura di avere un figlio in questo mondo che si sta trasformando in qualcosa di orribile. Stiamo lottando per la sostenibilità, ma siamo in pochi e contro la scelleratezza della massa che non si rende conto che siamo parte integrante della natura stiamo perdendo. 

 

Come nasce il progetto Rio Doce?

Come tutti ho visto le prime immagini della tragedia in tv. Nessuno di noi aveva la reale contezza di quello che era realmente successo. La Samarco e i media all’inizio minimizzavano i danni di quella che è stata soprannominata la Fukushima mineraria brasiliana. Dopo il terzo giorno iniziavano ad arrivare notizie che avevano un tono un po’ più allarmante. Decisi quindi di risalire il fiume. Nel primo tratto sembrava tutto apposto. Al pensiero che molto probabilmente c’erano stati veramente solo pochi danni mi si alleggerì il cuore, ma quando arrivai a Governador Valadares capii che mi trovavo di fronte a una catastrofe che non si sarebbe fermata lì ma che sarebbe scesa fino all’Oceano.

 

Quali sono le immagini di quei momenti che non potrai mai dimenticare?

L’acqua era densa come cioccolato fuso, era fetida e di colore colore marrone. I pesci saltavano a migliaia, le lumache morivano sulle pietre calde, tutta la fauna attorno moriva. È stato devastante fotografare questa tragedia con le lacrime agli occhi. Vedere un posto di cui avevo potuto apprezzare la bellezza distrutto in questo modo. Ho pianto. Tanto. Ma non mi potevo fermare, dovevo documentare il disastro, dovevo fare in modo che il mondo intero fosse consapevole di ciò che realmente stava accadendo. 

 

Quali sono state e quali sono le conseguenze?

Siamo di fronte a un disastro ambientale di portata mondiale. Nelle città toccate direttamente dalla tragedia i problemi di salute per la popolazione sono cresciuti esponenzialmente del 1100%. Dicevano che l’acqua era potabile, ma come poteva mai esserlo? Le sostanze tossiche rilasciate hanno ucciso tutto. Alle comunità che vivevano di pesca è venuta a mancare la principale fonte di sostentamento. Il 50% delle tartarughe che vivono in prossimità del delta del fiume sono debilitate. E io le ho viste con i miei occhi. Le alghe stanno crescendo a dismisura. E le maree rosse e tossiche sono una realtà su cui non si può tacere. Questo sta succedendo ed è sotto gli occhi di tutti.  

 

Ma come si è attivata la popolazione per combattere questo stato di cose?

In Brasile c’è un detto: “l’ignoranza è una benedizione”. Se non sei nelle condizioni di sapere non puoi soffrire. Io dico sempre che come singoli individui siamo fantastici e se ci fermiamo a pensare un attimo diventiamo consapevoli di ciò che ci circonda, ma come società siamo irrazionali. Siamo un cancro per l’ambiente in cui viviamo. Distruggiamo tutto senza renderci conto delle conseguenze. 

 

E tu che invece con il tuo lavoro di salvaguardia e denuncia tendi ad andare sempre controcorrente rispetto la società come ti senti? 

In un mondo che preferisce ignorare i problemi piuttosto che affrontarli io mi sento un alieno. Non sono schiavo del consumismo, cerco di seguire abitudini che siano eco-friendly. Evito di mangiare la carne rossa. Non compro smisuratamente. Nel mio armadio, per esempio, trovi solo i vestiti che realmente mi servono. 

 

Cosa credi che ci riservi il prossimo futuro?

La natura riuscirà a ritrovare il suo equilibrio, noi lo perderemo. La natura si rigenererà noi collasseremo. Non capiamo che distruggendo l’ambiente non stiamo facendo altro che distruggere la società. Dovremmo cercare di guardare oltre per tutelare e salvaguardare non solo il pianeta ma anche noi stessi, ma siamo troppo ciechi per farlo.

 

Qual è la foto a cui sei più legato? Qual è quella che pensi sia la migliore?

La migliore? È naturalmente quella che devo ancora scattare. 

 

 

 

Modica, 18 maggio 2016

 

 

 

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