LA PARTECIPAZIONE ATTIVA DEI CITTADINI DIMENSIONE NORMATIVA E DINAMICHE ATTUATIVE

            Il tema della partecipazione dei cittadini all’agire delle pubbliche amministrazioni è un aspetto sinora poco attenzionato sia dalla base (popolo) sia dagli organi verticistici (pubblica amministrazione/politica).

            Forse una carenza che deriva da una non adeguata risposta all’originaria apertura dello Stato (metà anni ’70) verso studenti, famiglie e corpo docente ed ausiliario della scuola mediante i decreti delegati di riconoscimento della collegialità nella gestione e conduzione del sistema scolastico.

            Analoga sorte di misconoscenza collettiva subì, agli albori della sua entrata in vigore, la legge 241 del 1990 che –adeguando la normativa statale ai principi comunitari- riconobbe un vero e proprio diritto di partecipazione agli atti amministrativi ed al procedimento istruttorio da parte dei soggetti destinatari finali degli atti e dei loro effetti.

            Solo di recente e, penso, in conseguenza di un’aggravarsi dell’inefficienza della giustizia amministrativa e di una ulteriore significativa integrazione normativa del 2005 e del 2015, il procedimento amministrativo (di formazione e motivazione degli atti) sta vivendo un momento di maggiore e più efficace attenzione sia da parte degli organi emananti, sia da parte dei destinatari degli effetti degli stessi.

            In ambito comunitario, in modo speciale, è stato attenzionato il procedimento riguardante l’ambiente riguardo alla sua tutela e valorizzazione.

In particolare: il diritto di accesso alle informazioni sullo stato dell’ambiente fissato dalla Convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998[1]; il diritto all’informazione e controllo; il riconoscimento contenuto nell’art. 11 del T.U.E., introdotto dal Trattato di Lisbona, ai cittadini e alle associazioni rappresentative di poter conoscere e scambiare pubblicamente le rispettive e diverse opinioni nei confronti delle pubbliche istituzioni e della loro attività o inattività.

L’esercizio legittimo del potere o, se vogliamo, della potestà legislativa ed amministrativa ha –oggi- la necessità di una mutata modalità di svolgimento: il  potere pubblico, sinora di modello impositivo, anche  per l’evolversi di fatto di una coscienza individuale e collettiva e di una cultura partecipativa, deve cedere il suo spazio ad un potere pubblico con una forma ed una sostanza sempre più partecipativa e attenta all’interesse pubblico e collettivo.

Di questo mutamento “neo-genetico” della formazione dell’atto pubblico troviamo un significativo approdo –giuridico, culturale e sociale- nella decisione della Corte Costituzionale italiana n. 212 del 2014, di cui mi occuperò specificatamente in  un prossimo articolo, nata e germogliata in questo territorio del sud est siciliano e, segnatamente, in quel di Pachino.

Il diritto di partecipazione trova, infatti, nella chiara interpretazione dottrinale e normativa della Corte Costituzionale, una sua estensione ed applicabilità anche alle procedure di formazione, redazione ed approvazione di leggi e regolamenti e, specificamente, in ordine ad una procedura normativa coinvolgente l’ambiente.


[1] Ratificata dall’U.E. con direttiva  2003/4/Ce e, prima, dallo Stato italiano con legge 31 ottobre 2003, n. 306.

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