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IL CAMMINO STELLARE DI ROBERTO CACCIAPAGLIA
13 Giu 2015 10:06
Roberto Cacciapaglia è una delle più importanti figure del panorama artistico musicale italiano contemporaneo. Pianista, compositore, poeta del suono. Ha conquistato palconscenici di tutto il mondo proponendo una musica che parla di silenzio, quiete. Una musica che emoziona e fa riflettere. “Tree of life” è la sua più recente composzione che fa da inno all’Expo di Milano. Le sue note aprono gli spazi musicali del Festival delle Relazioni, mercoledì 17 giugno alle ore 21 nella Cattedrale San Giovanni Battista. “Cammino stellare” il titolo del concerto.
Raccontarsi senza usare parole, ma solo attraverso il suono. Da dove nasce questa esigenza e verso quali risultati la ha condotta?
“La parola è un elemento importante e che di sicuro tornerò ad usare nelle mie composizioni. Inegli anni passati mi sono dedicato molto alla musica di ispirazione sacra, attingendo ai Salmi e alla Bibbia. Ho lavorato anche sui Veda e ho grandi contatti con il mondo e la poesia sufi. In questo periodo, però, mi interesssa la purezza del suono al di là delle associazioni verbali. Il suono ha il potere di sprigionare una energia pura. I suoni e gli armonici che noi produciamo e usiamo sono una specie di suono biologico che viene alimentato. Una dimensione dove non esistono gerarchie ma solo un potere assoluto. L’Universo è strutturato sul sistema degli armonici che sono delle vere e proprie autostrade energetiche che ci permettono di entrare in comunicazione attraverso delle emozioni profonde. In questo senso concepisco la musica come un mezzo e mai come un fine. La musica è il mezzo attraverso il quale si rntra in contatto con i centri profondi che noi abbiamo”.
I suoi lavori più recenti conducono verso una rarefazione sonora che pare coincidere con una pacatezza spirituale e con una ricerca molto profonda. Quanto è dificile e quanto è necessario oggi porsi in un atteggiamento di ascolto della propria interiorità?
“Quando compongo una musica e suono dal vivo, parto sempre dal silenzio. Il silenzio è oro. Una piattaforma, un mare calmo. Se riesco ad entrare in questa dimensione, in uno stato di calma perfetta, il suono uscirà dal profondo per raggiungere nel profondo chi ascolta. Se dovessi usare una immagine per descrivere la mia musica, direi che è molto più vicina ad un subacquo che ad un salvagente. Avverto che c’è tra i giovani il desiderio di un rapporto con la musica più profondo. Oggi, purtroppo, subiamo la musica. È ovunque: in treno, nei taxi e nei ristoranti. Serve a riempire un tempo o uno spazio, a distrarre. Non è questa la funzione che dovrebbe avere. Fino a qualche decennio fa, invece, ascoltare un ellepi era un atto volontario e deciso”.
Ha suonato in vari luoghi e in vari momenti della giornata. Cosa rappresenta per lei eseguire le sue musiche all’interno di una chiesa o, comunque, di un luogo sacro?
“Il luogo influenza senza dubbio la musica che vi è prodotta. Nelle chiese, nei posti in cui si è fatta pratica spirituale sono luoghi in cui si colgono particolari vibrazioni e dove si sente la storia che vi è passata. Ci sono poi luoghi che aiutano gli artisti anche da un punto di vista armonico. Luoghi e momenti che commuovono. Ad esempio, ho suonato all’alba all’interno di una riserva naturale ed è stato per me come entrare in un rito meravilgioso, attorniato da persone che avevano passeggiato tutta la notte per ascoltare questo concerto. La natura e la storia dei luoghi aiutano la concentrazione e il rilassamento di chi esegue il concerto. Sono certo che anche la cattedrale di San Giovanni Battista a Ragusa sarà appropriatissima e perfetta per la serata del 17 giugno. Tra l’altro, io che amo
il mare e vivo spesso in una casa in Sicilia che si affaccia sulle Eolie, trovo splendido il titolo del vostro Festival. Il mare, in molte culture, simboleggia l’anima. Noi siamo le onde, le gocce che compongono l’Universo”.
La musica è ancora un linguaggio capace di unire mondi e tempi lontani? Come è stata accolta la sua arte nei vari paesi del mondo che ha di recente visitato?
“Devo dire con un certo pudore di avere ricevuto un’accoglienza unica, sia in Russia come a Istanbul. Ci sono persone che hanno assistito ai concerti e con le quali siamo ancora in contatto . E’ molto bello e vero che la musica è un’arte libera e che libera. Se mille persone ascoltano un brano, alla fine di quel brano, ognuno avrà riportato qualche sensazione diversa. La musica non da indicazioni, non costringe, lascia liberi più di quanto non possa fare, ad esempio, la pittura o il cinema. E’ arte antichissima, disciplina interiore, intima ma dall’enorme potere sociale. Arte che permette la condivisione”.
Come vede, da uomo e da artista, il fenomeno delle continue migrazioni che vedono protagonista l’Italia e, in particolar modo la Sicilia?
“Da un lato vedo gente disperata che cerca una salvezza. Dal canto nostro bisognerebbe cercare di avere una visione più globale del fenomeno. In Africa vediamo che accadono cose spaventose dove lo strapotere di alcune potenze e persone rispetto a tutta l’umanità presente è totalmente sbilanciato. E’ problema di una serietà che mi emoziona. Guardo con ammirazione a chi si occupa seriamente di accoglienza ai migranti. Posso soltanto essere grato a chi lavora per loro. Ognuno deve fare la sua parte aiutando il prossimo come può. La compassione, che è anche un aspetto forte del cristianesimo, è un valore a cui non dovremmo mai rinunciare. Ama il prossimo tuo come te stesso è un passaggio limpido del Vangelo. È vero, però, che non è possibile che una società che accoglie debba subire le cattive intenzioni di alcuni. Tuttavia io credo nel bene di ogni essere. Se l’intenzione è buona, in chi arriva e in chi ospita, allora saranno buoni anche i risultati”.
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