I SENSI DI UN VIAGGIO MONOCOLORE

 

In aereo di ritorno verso casa da terre di Monsoni e di esplosione di colori, si è ancora legati agli ambienti orientali che richiamano i colori delle spezie: gialli oro sulfurei senape ocra bruciati o arancioni rossi bordeaux marron…

Così, ritrovare a casa propria il bianco di arredi e fiori, può stupire per la purezza monocorde e la pacatezza, così come è immediato, d’abitudine, dare il primo sguardo alle piante del terrazzo.

 

Se coltiviamo piante, sappiamo che sono cose vive! Per questo ci si accerta di loro, prima di ogni altra cosa, rientrando dopo un certo tempo di assenza. Vive o morte? Pregne di acqua piovana o secche? Intatte o spezzate dal vento? Fiorite?

Se ami il bianco, selezioni i fiori e li pianti apposta, per ritrovarlo attorno! In tutte le sue declinazioni di forma, toni e sfumature. Colore-non colore che in assoluto qualcuno predilige.

Gardenie, rose, tulipani, ortensie, orchidee, petunie, peonie, iris, giacinti, clematis, campanule, gelsomini, caprifoglio, viburno…Nell’elencare i nomi, si evocano in un luogo magico interiore, anche i profumi dolci o amari, intensi o delicati, ed ambienti naturali precisi: secchi e polverosi di mare, rigogliosi di umidi verdi a monte, di anfratti e pietrisco o di giardini curati di impeccabile stile, inglese o italiano…

 

Viali di pruni in fiore, improvvisi in città; siepi di biancospini verso le periferie; angoli suggestivi di bianchi gerani dentro fontane di pietra restaurate, autostrade di oleandri; steli di lupini e digitali fra margherite in giardini di montagna presso steccati di legno semiaperti; fiori di camomilla e bianche ombrellifere selvatiche nei prati; persino dei fiori di patate nei campi…

E meleti, magnolie, grappoli di glicine e lillà e acacie: interi alberi di chiome dai fiori rigorosamente bianchi.

 

All’ombra, a mezz’ombra, roridi di rugiada, di innaffiature a pioggia leggere di stampo antico e paziente. Con innaffiatoio alla mano e amorevoli gesti si possono lasciare andare tra fiori e foglie certi pensieri quotidiani che abbisognano di nicchie medicamentose dove equilibrarsi o disfarsi.

E dimenticare così i carichi di solitudine e tristezze, per assorbire gratuite forme di bellezza, corpose, tangibili, caduche, in vaghi richiami minuti e stellati, delicati di velo da sposa, di fiori d’arancio, di infiorescenze da “m’ama, non m’ama” o lungo i margini taglienti della yuka che raramente fiorisce.

 

Vien voglia di metterci mani e naso, oltre che occhi e carezze in quei bianchi! Persino il timo della specie con cime biancastre risponde al tocco d’una carezza, esalando la sua inconfondibile essenza…

Ah, quel frugare nel bianco, tra il bianco di ogni fiore e il verde che sale dai vasi o trasborda dalle cassette di terracotta in fila sul parapetto di un davanzale, persino del più anonimo!

 

E tastare la terra che alimenta quel bianco: acida, nera, di torba o humus, o granulosa, anch’essa col suo odore inconfondibile, anch’essa che attira -chiama- le mani a racchiuderla friabile in un pugno, setacciarla, compattarla, bagnarla.

Ed è il bianco luminoso delle gardenie che si fa bianco burro e giallo, col bordo marroncino rinsecchendo, dice qualcosa di speciale: mostra l’età di ogni bocciolo e fiore. Uno per uno. Mostra il tempo che ci vuole per nascere, maturare, morire. Ostenta la vita e la morte. E il suo ripetersi in tempi diversi.

 

E ancora, il bianco, come macchia di luce racchiusa in una forma precisa, maestosa nella maggiore espansione, si disegna -quasi guardandosi attorno-, s’adagia quieto, senza sbiadire o sparire, anzi, pare brillare persino a sera, o di notte sotto la luna piena.

 

Bianco. Bianco fra il verde. Bianco sul terrazzo: bianco raccolto a mazzi del solanum, bianco esploso della turgida ortensia, bianco seminascosto delle violette, dell’inerpicarsi bambino di roselline e nell’involversi pudico di campanule…Bianco diritto e solitario come un fuso, del tulipano o delle calle nel vaso di cristallo al centro d’un tavolo; bianco a mazzetti allungati delle siepi del ligustro che ha segnato l’odore di serate infantili.

 

Ammiro il verde dei fortunati cultori di rigogliose specie antiche e rare, dei vasti giardini e parchi lungo lago con balaustre tornite e vasi di pietra traboccanti di fiori e foglie: con rispetto. Lì abbonda.

 

Personalmente ho nostalgia e ricordo luminoso del bianco del giglio di mare, sulle spiagge di Calabria, di quel suo profumo -acutamente dolce. O del bianco dell’elleboro d’inverno, a Natale: compagnia silenziosa mentre la neve cade. Ho speranza per il bianco bucaneve che si apre di vita a nuova stagione, o poi fra le timide pratoline. Ho leggerezza e volo per il bianco dei fiori di ciliegio e di melo e i loro petali in caduta, sparsi dal vento. Trovo eleganti la vellutata magnolia e l’aristocratica orchidea.

Bianco, che ha in sé tutti i colori ed è luce pura di energia, dicono i sensi!

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it