I NOMI DELLE COSE E SULLA IDENTITA’ DI ODISSEO

Siamo così abituati a chiamare le cose con i nomi che gli sono stati assegnati formalmente che talvolta non ci rendiamo conto di quanto esse mutino nella sostanza, al trascorrere del tempo (vd. Partito Democratico in Italia. Lo scrivevo la settimana scorsa!), o al cambiare del soggetto che di tali cose fa relazione. Così se per un relatore un frutto vale l’altro, e ciò dovesse divenire per una qualche ventura elemento di sussunzione a dogma, non ci renderemmo mai conto di quanto un’arancia sia differente da un pinolo (astrusa sarebbe poi la ricerca di una differenza sostanziale tra un tipo di arancia e l’altra, e tra un’arancia dello stesso tipo e un’altra di albero diverso, o dello stesso ramo). Alla stessa stregua ci si va adagiando su usi e consuetudini formali che talvolta risultano prive di giustificazioni sostanziali, specie quando si tende a voler accomunare in un’unica forma più elementi diversi.

L’esempio che voglio proporre pertiene all’universo teoretico della “questione omerica”, ossia di tutto ciò che riguarda gli autori presunti, forse congiuntivamente provenienti dalla tradizione orale, di quella che è l’epopea inerente la guerra di Troia. Le differenze caratteriali degli eroi achei e troiani, dalle pagine omeriche a quelle esterne all’apparato canonico, sono assodate e naturali, dovute all’interpretazione temporale (cronologica) differente o all’intenzione artistica diversa, meno comuni sono le attenzioni alle differenze pur enormi (sempre per motivi temporali, in gran parte) all’interno del confronto critico di Iliade e Odissea. Nella percezione del lettore comune, disinteressato alla filologia, gli eroi omerici sono pressappoco gli stessi in entrambi i testi principali, ciò a causa dei tratti distintivi di cui sono stati dotati nel corso del tempo. Cioè, per uso e consuetudine, ad esempio, sappiamo che Achille è piè veloce, magari inconsciamente traendolo dal noto paradosso dove beffato rimane dalla tartaruga. Sappiamo, ancora, che Odisseo era un abile arciere, tralasciando di ricordare che di tale qualità mai si fa cenno nell’Iliade. L’unica volta in cui, nel testo iliadico, Odisseo afferra l’arco, esso gli è consegnato da Merione (quest’ultimo sì, più volte, citato nel poema per la sua bravura a scoccar frecce). Accade nell’occasione della sortita in campo nemico, in compagnia di Diomede. L’uso che poi ne fa il saggio Odisseo è sconcertante, a procurare distrazione al nemico: “Intanto il paziente Odisseo scioglieva i cavalli di solida unghia, li legava insieme con le redini, e li spingeva fuori dalla calca battendoli con l’arco: non aveva pensato a prender su la lucida frusta dal carro adorno di fregi”.  Altrove, Odisseo è descritto come “famoso per la lancia”. E, a onor del vero, anche nell’Odissea, proprio all’inizio della narrazione, Mente poggia la sua asta accanto a quelle di Odisseo. Ciò lascia presumere la dimestichezza di Ulisse con le lance. E allora su cosa dovrebbe basarsi la credenza di un Odisseo splendido arciere? Forse dovremmo credere al racconto di Odisseo stesso (un racconto che è una meraviglia della finzione), mentre si trova a corte presso i Feaci? Non dovremmo mai dimenticare che Odisseo è una sorta di eroe eponimo della stirpe dei bugiardi e degli imbroglioni. In ogni caso, egli afferma di essere il più bravo tra gli arcieri, dopo Filottete.

Calipso, la dea che trattiene l’eroe di Itaca, dal greco antico vuol dire “colei che nasconde”. Forse ella nasconde anche una delle possibili verità, e cioè che Odisseo non più era tra i viventi, quando Telemaco abbisognava di aiuto per liberarsi degli usurpatori. Sorge il dubbio che qualcuno si fosse prestato a fingersi Odisseo. Questo finto e presunto Odisseo ha, in ogni caso, due tratti distintivi: la capacità di scoccare una freccia che attraversi dodici anelli e una ferita alla gamba (vicino al ginocchio). Della ferita alla gamba, occorre aggiungere, ancora una volta non giungono notizie da trarre dalla precedente Iliade. Semmai Odisseo, sempre nell’Iliade, è lodato per la sua capacità di corridore. Ho fatto una ricerca navigando in rete e ho scoperto che un tale Alberto Majrani si è posto i miei stessi dubbi (sono confortato, dalla possibilità di non essermi rimbecillito anzitempo), risolvendoli proprio partendo dalla ferita ad uno degli arti inferiori (vale la pena di leggere l’interessante teoria del Majrani). C’è Filottete, che è l’arciere indispensabile alla vittoria achea in terra d’Ilio, e ha una ferita al piede da cui emana puzzolente pus e che aveva coinvolto lo stesso Odisseo in decisioni di scarsa qualità umana (Filottete era stato abbandonato a Lemno, a causa del fetore). Restano latenti delle possibili letture esoteriche (partendo dal serpente che morde la gamba, la circolarità del racconto con il viaggio intrapreso alla fine da Odisseo, le caverne e i nascondimenti, gli alberi da cui si è ricavato il talamo nuziale, etc, etc…) che sarebbe inopportuno richiamare qui, ma restando ai dati di fatto, ciò che si deve rilevare – in fine – è l’estraneità dei due Odisseo, lontani nella forma quanto nella sostanza, l’uno dall’altro, nel passaggio dall’Iliade all’Odissea.

Anche per il PD è accaduto qualcosa di simile?

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it