FRIDA KHALO, DIEGO RIVERA E NICKOLAS MURAY

Finisce tra pochi giorni la mostra sui due grandi artisti messicani, Frida Khalo e Diego Rivera.

 

Ideata e allestita da MondoMostre Skira, insieme a Genova Palazzo Ducale Fondazione per la Cultura che cura l’organizzazione del progetto, promossa e sostenuta dal Comune di Genova e dalla Soprintendenza per i Beni storici, artistici ed Etnoantropologici della Liguria., la mostra è iniziata il 20 settembre e, ora, giunge alle soglie del suo termine, che arriverà  improrogabile domenica 8 febbraio.

Una mostra che si lega a quella organizzata nella Roma capitale pochi mesi prima, da marzo ad agosto 2014 e, seppur con i medesimi protagonisti, le opere sono state diverse da quelle previste nella tappa genovese, come diverso è stato il fulcro della mostra stessa.

Dopo la mostra presso le Scuderie del Quirinale di Roma, che ha messo l’opera di Frida Kahlo nel contesto delle avanguardie internazionali del suo tempo, la mostra di Palazzo Ducale, curata dall’autrice del catalogo ragionato, Helga Prignitz-Poda, con la collaborazione di Christina Kahlo (pronipote di Frida) e Juan Coronel Rivera (nipote di Diego) cerca di raccontare i legami segreti che unirono due artisti così profondamente differenti e quanto diversamente sia stata valutata la loro espressione artistica nel tempo.

Una mostra che ha fatto exploit di audience, con file chilometriche e code di attesa mai viste prime, spunto per le migliori copertine al Secolo XIX:

 

 

Boom di turisti per Frida Kahlo, in coda fino al Palazzo della Borsa di Beatrice D’Oria – Genova 05/02/2015

 

Tanto pubblico per due artisti che troppo poco hanno trovato spazio nei palazzi della cultura italiana.

Quelle di Roma, Genova e Milano, infatti, sono le prime tappe italiane di questi due eclettici artisti, troppo poco conosciuti per l’arte prodotta a scapito della solita banale predilezione per la particolare aurea che ne colorava la vita amorosa, politica e sociale.

Tanto pubblico e tante diverse e contrapposte opinioni. Insomma, una mostra che ami o odi, senza mezze misure e senza la blanda retorica delle solite personali interpretazioni.

Pareri secchi, ma ferrei, in qualsiasi delle opposte posizioni.

 

A scapito di cader nella banale retorica che prima richiamavo con accezione negativa, un unico tratto che unisce chi ha amato e odiato la mostra è che, inevitabilmente e per quanto importante sia l’opera di Rivera, gran parte del pubblico si è recato ad assistere alla mostra di Frida!

Di nuovo banale, ma la deduzione è abbastanza semplice: gli amanti e i seguaci di Frida si sono dovuti scontrare con l’amara verità della carenza di opere dell’artista, primo fra tutti il dolore per l’assenza della tela più famosa e importante “Le due Frida”, opera che segna il suo disincantato abbandono al surrealismo di Brèton , che tanto l’aveva nauseata e infastidita e, soprattutto, l’opera che realizza dopo aver lasciato il marito, nella maturità piena di quel viaggio dentro se stessa e con se stessa cui l’incidente l’aveva segnata.

Questa lettura, però, potrebbe altresì ben prestarsi a farsi giustificazione proprio dell’assenza del quadro, dal momento che la mostra si fonda e trova il suo focus nell’amore e nella passione che ha legato Rivera e la Khalo, e i loro 20 anni di differenza anagrafica.

Una differenza che sottovalutiamo, ma che nel procedere lungo i corridoi della mostra si rende palese: 21enne lui, in giro con una borsa di studio per l’Europa degli artisti, dove conosce Picasso e i cubisti e ne abbraccia lo stile, e appena nascitura lei, in una piccola città del Messico, di cui vorrà sempre celebrarne i costumi.

Sempre politicizzato Rivera, passando dal socialismo, alla Destra estremista al comunismo di Stalin, di cui la sua arte si fa celebrazione ed egli stesso si fa rappresentante.

Frida visse sempre molto passionalmente la dimensione politica del suo intimo, si iscrisse al PCI e ne uscì dopo l’espulsione di Diego, ebbe una “forse” e discussa relazione con il leader Trovkij, ma la dimensione politica di Frida, per quanto sempre fortemente vissuta, è utile per cogliere l’occasione di difendere il suo popolo, facendo confluire il folclore messicano, attraverso la sua arte.

Sono 130 in totale le opere esposte, tra quelle a firma Diego Rivera e quelle di Frida Khalo.

Opere che ripercorrono la loro passionale e sofferta storia d’amore, travagliata da tradimenti e lasciti, quella che veniva definita “l’unione di un elefante con una colomba”, superò le consuetudini di un legame sentimentale: Frida e Diego portarono nel loro rapporto e nella loro espressione dell’arte le personalissime esperienze di vita.

Attraverso le sue visioni provenienti dal mito, Frida parla ai sentimenti universali dell’uomo: la compassione, l’empatia, il desiderio di amore. Nella sua solitudine, lei è più vicina all’uomo moderno di quanto lo sia Diego. Il risultato è che Frida Kahlo rimane icona oggi come allora, non solo in Messico, ma in tutto il mondo.

“A che mi servono i piedi, se ho ali per volare”

 

La sua rivoluzione consisteva nel rendere pubblico il privato.

Diego Rivera era celebre nel suo paese e nel suo tempo perché vi appartenne totalmente, dando un volto a urgenze sociali, scioperi, manifestazioni, rivoluzioni tecnologiche.

I suoi murales sono la vera e propria storiografia di un’epoca.

Ma oggi la celebrità è Frida, perché solitudine e vulnerabilità sono temi universali e in lei trovano un’espressione così sincera da toccare qualsiasi essere umano.

Frida rappresenta l’inconciliabile, riuscendo perfino a trovare una conciliazione.

Una coppia, ma due mondi diversi.

Due mondi ai quali si unisce quello del fotografo Nickolas Muray e i suoi Celebrity Portraits, uno dei più celebri e intriganti ritrattisti del 20° secolo.

La storia di Muray si lega ai coniugi messicani perché, oltre ad aver ritratto entrambi, regalando una maggiore quantità di scatti a Frida, se ne innamorò perdutamente e in più di un’occasione ne suggellò l’amore in struggenti e appassionate epistole.

Al fotografo ungherese emigrato negli Stati Uniti è dedicata una sala ulteriore, piena della sfilza infinita dei suoi ritratti alle più svariate personalità del mondo dello spettacolo statunitense, da Greta Garbo a Marylin Monroe, da Elizabeth Taylor e Charlie Chaplin, non si contano le celebrità passate sotto il suo obiettivo. Obiettivo cui non fu sottratto nenahce il pittore Monet, la ballerina Isadora Duncan, che cammina eterea come fosse uno spirito e Martha Graham, in abiti spagnoleggianti o estremo orientali e altri corpi di danzatori, cui si affiancano strutture scultoree.

                 

Quello che colpisce di più è la luce degli scatti, che dal rigoroso bianco e nero passano all’eco di quell’amore per la pittura fiamminga del XVII secolo

Si tratta della prima esposizione monografica sull’artista. Un viaggio di oltre 200 scatti, in circa 40 anni di carriera di quello che è stato il fotografo delle star.

         

Un’esistenza fatta di passioni: per la fotografia e per le donne. Due amori che si mescolano negli scatti che si vedono in mostra a Palazzo Ducale.

Quelli di Muray sono volti e corpi che sono bellissimi, ma di quella bellezza che non è solo fisica, ma spirituale.

Sarà l’emotività raccolta post esposizione di Frida, ma anche questa volta l’attenzione viene rapita dalla pittrice messicana, dalle foto, tutte rigorosamente a colori sgargianti che la ritraggono e che rappresentano le vicissitudini tra i due artisti lle loro appassionate lettere, espressione di un amore, ancora una volta, fortissimo, ma complicatissimo.

Ai ritratti fotografici a Frida è dedicata una apposita sezione, in quanto non solo musa, ma anche sua amica e confidente, realizzati fra gli anni ’30 e ’40. È di Muray lo scatto che nel 2012 è divenuto copertina di “Vogue” ed ha definitivamente trasformato Frida in icona pop.

 

 

 

 

«Fortunatamente, per me la fotografia è stata non solo una professione, ma anche un contatto tra le persone – uno strumento per comprendere la natura umana e fissare se possibile, il meglio di ogni individuo».

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