E’ STATO IL FIGLIO

 

 Il racconto viene narrato in un tempo futuro, all’interno di un ufficio postale, in un giorno come tanti. E’ un signore trasandato di nome Busu, ad introdurre la storia della famiglia Ciraulo, come le altre microstorie che di giorno in giorno racconta per uccidere il tempo per schiacciare la sua solitudine. Busu  si sofferma più a lungo sui Ciraulo, raccontandone anche i dettagli, quasi come gli appartenessero.

Alla famiglia Ciraulo č stata uccisa una figlia in una sparatoria di mafia e le viene promesso un ricco risarcimento. E per una famiglia così umile, la  frenesia per quei soldi sortira’ effetti inattesi. Parabola grottesca e surreale sul mito del benessere ottuso, esordio solista di Daniele Cipri’.

Daniele Ciprì esordisce dietro la macchina da presa “in solitaria” con un film che smentisce in maniera evidente il suo curriculum: ma, invece di essere una tara come spesso avviene, questo è un dato nettamente positivo.

Perché, adattando il romanzo di Roberto Alajmo, firma un film formalmente ricercato e riuscito senza essere per niente lezioso, anzi fa del grottesco e del cinismo delle armi fortemente sensibili ma mai deformanti, in grado di trasmettere un’umanissima empatia per i protagonisti e le traversie che devono affrontare.

È stato il figlio è molte cose, spesso diverse tra loro. È una tragica saga familiare, è un film sull’ombra ansiogena e sanguinosa della mafia, è un film sull’Italia di allora, gli anni Settanta, ma ancor di più di oggi.

Con l’andamento del sogno, o dell’incubo, a seconda dei casi e dei momenti, E’ stato il figlio schernisce le miserie materiali ed esistenziali dei suoi personaggi e degli italiani, declinando con forme moderne e goticamente esasperate la lezione della miglior commedia all’italiana, che criticava senza falsi moralismi  ma in grado di amare profondamente l’umanità che raccontava.

Mettendo in scena una spirale impazzita di violenze e desideri, di megalomanie e di egoismi, Ciprì racconta il dramma di una generazione che si ripete nella sua incertezza, nella sua immobilità, nell’oppressione e nell’impossibilità di evitare che la colpa dei padri (e delle madri, e delle nonne, e dei cugini) si riversi tragicamente su di lei.

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