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DUE KURDISTAN ED UN’ARABIA SAUDITA
29 Ago 2015 06:23
Hasan Kanbolat è una figura di spicco del mondo politico ed intellettuale turco. Accreditato presso varie istituzioni accademiche, think tank, nonché editorialista del quotidiano, Today’s Zaman.
È stato Presidente e fondatore di ORSAM (Centro Studi Strategici sul Medio Oriente) il più prestigioso think tank turco, dal 2008 al 2014.
Recentemente ne ha fondato un altro, l’“Ankara Politikalar Merkezi” (APM o Centro Politiche di Ankara).
Hasan Kanbolat è consulente su questioni concernenti la formulazione della politica estera turca e analisi della diaspora circassa sulle relazioni fra Turchia e regione del Caucaso.
Il 17 agosto scorso, ha rilasciato un’intervista al quotidiano Hürriyet [1], in cui ha parlato dell’evoluzione dell’asse fra Siria, Iraq e ISIS. Commentando altresì la nuova fase della guerra in corso di Ankara con il PKK.
Una prospettiva pertanto, diversa, che offre al lettore italiano la percezione che il Paese anatolico ha di se stesso rispetto alla pressione esercitata dal Califfato del terrore verso i suoi confini meridionali.
Fino ad oggi la Turchia si è comportata come se fosse vissuta su un’altra galassia.
L’ISIS ha dichiarato di minacciare la sicurezza nazionale. La Turchia ne ha effettivamente sottovalutato la crescita, oppure è solo una questione di errore di calcolo?
Negli anni in cui l’Unione Sovietica invase l’Afghanistan nel 1979, avevamo sostenuto i mujaheddin afghani contro gli invasori. Ci entusiasmavamo per le avventure di Rambo 3 in Afghanistan. Ignorando però il fatto che il prodotto del laboratorio ideologico, messo a punto dai talebani addestrati in Pakistan per combattere contro l’Armata Rossa, fosse nient’altro che una forma spuria di salafismo. Agli occhi della Turchia i talebani erano solo dei mujaheddin. La Turchia non aveva ancora fatto i conti con l’amara realtà del salafismo spurio proprio a un’infrastruttura ideologica di chi aveva compiuto gli attacchi dell’11 settembre 2001. Non aveva fatto i conti, dopo l’invasione dell’Iraq, nel 2003, con la diffusione di CD e brochure che insegnavano la costruzione di bombe per le strade di Baghdad, Kirkuk e Mosul, né si era preoccupata di cercare di estirpare al Qaeda in Iraq. Poiché per la Turchia, questi eventi, era come se fossero avvenuti su un’altra galassia. Ma la guerra civile siriana, iniziata nel marzo 2011, cominciò a rivelare alla Turchia che non stava vivendo su un’altra galassia.
E nonostante tutto questo, Ankara si era dimostrata sempre ottimista circa la conclusione, nel giro di pochi mesi, della guerra civile in Siria. Conseguentemente ha sempre sostenuto l’opposizione armata sunnita in blocco a prescindere dall’infrastruttura ideologica.
L’ISIS e le sue derive sono alimentate solo da un’ideologia salafita manipolata, oppure al suo interno vi sono altri centri di potere?
Innanzitutto, è necessario capire questo: noi non siamo in grado di operare un discernimento fra ideologie nere, bianche e rosse. In passato c’era un solo tipo di caffè. Ora, fra i due ce n’è un terzo. In passato bevevamo solo succo d’arancia. Ora i bambini bevono un mix di arancia, carota e mela. Analogamente, la nuova generazione di organizzazioni jihadiste salafite è come una mescolanza di tre. Ad esempio, l’attentato di Parigi (Charlie Hebdo) è stato davvero compiuto dall’ISIS, oppure è stata una conseguenza della polarizzazione tra Occidente e Russia? Non mancano ipotesi circa un supporto, da parte russa, a tutti quegli elementi radicali presenti all’interno dell’UE.
Dell’ISIS, a volte si dice essere sostenuta dalla Russia, a volte dal regime di Assad, a volte dalle agenzie di intelligence dell’Occidente. Sono queste tutte delle ipotesi verosimili?
Tutte possono essere attendibili oppure no. Noi non siamo esponenti dell’intelligence, stiamo solo facendo un’analisi. In pratica, assistiamo ad un fatto: ogniqualvolta uno stato vuole usare le organizzazioni salafite, alla fine, quello stesso stato ne è usato. Le nazioni che intendono utilizzare queste organizzazioni per operazioni in determinati paesi, dopo un po’, sono danneggiate da queste stesse organizzazioni. Di conseguenza, è necessario osservare chi abbia coordinato l’evento e chi successivamente ne abbia tratto danno o beneficio.
La guerra in Siria ha fornito integrazione ideologica al PKK. Prendiamo ad esempio il massacro di Suruç. Chi ne avrebbe potuto beneficiare, alla fine?
Volgendo lo sguardo alla situazione post-attentato di Suruç, è chiaro che non possiamo spiegare il fenomeno attraverso un’analisi semplicistica, secondo cui “il Partito AKP vorrebbe andare ad elezioni anticipate”. Ovviamente, già prima di Suruç la Turchia aveva smesso di ignorare l’ISIS, ma è dopo l’attentato che è giunta a condurre operazioni, sia sul piano interno che su quello esterno, contro lo stato del terrore. Inoltre, abbiamo anche visto a chi sia servito il processo di apertura e di pace fra PKK e Turchia. Questo processo, in ultima analisi, è stato utilizzato dal PKK alla stregua di una fase preparatoria.
Preparazione a cosa?
Ad una nuova guerra. Il PKK ha interpretato il clima di pace come un “cessate il fuoco”, mentre il processo di soluzione, come una “risoluzione”. In Turchia, ha utilizzato il processo di soluzione come una preparazione alla guerra, quindi a garantirsi la supremazia sul campo, mentre nel nord della Siria, come una velocizzazione del processo di nazionalizzazione. La Siria, al PKK ha garantito la profondità geografica, un bacino di elementi in comune e l’integrazione ideologica. Se, da una parte tempo fa, il PKK combatteva utilizzando un certo tipo di guerriglia e, dall’altra, le forze armate turche si erano predisposte, negli ultimi 30 anni, a combattere questo tipo di guerriglia, perpetrandone la guerra. Ora, sulla scorta di quanto abbiamo visto dopo Suruç, sulla via del processo di pace, il PKK è già entrato nelle città, trasformando il modello della guerriglia urbana in guerra.
Nella Siria del nord, per i curdi, il corso è quello di ottenere una struttura autonoma simile a quella dell’Iraq?
Un nuovo punto di svolta per i curdi, nel nord della Siria, l’ha rappresentato la conquista di Tel Abyad. Un passo che ha unificato il distretto di Jazira e Kobane, garantendo integrità geografica a partire dal confine iracheno. Per unire questi due distretti con il terzo, quello di Afrin era rimasta la zona fra Jarabulus e Azaz che si trova 110 km ad ovest del fiume Eufrate. Questa è l’unica regione sotto il controllo dell’ISIS, a nord della Siria. Dal punto di vista demografico è costituita da Turkmeni e Arabi. La popolazione curda è molto esigua. Tuttavia, il supporto aereo americano lungo la linea Jarabulus-Azaz unitamente alla possibilità di conquista da parte del PKK, hanno modificato il punto di vista della Turchia nei confronti della Siria del nord. Questo perché al confine siriano della Turchia, con l’aiuto degli Stati Uniti, si stava costituendo un nuovo Kurdistan. Gli attacchi aerei degli Stati Uniti erano diretti contro l’ISIS, non per proteggere le forze dissidenti. Cioè, a proteggere i curdi, onde facilitare il loro stato di avanzamento, quindi a tagliare le vie d’accesso dell’ISIS e le rispettive risorse finanziarie.
Le forze della coalizione spazzando via l’ISIS dal Nord della Siria, a medio termine, verso la Siria orientale, si trovavano in difficoltà, rispetto ai curdi, nel costituire una zona cuscinetto al confine con la Turchia.
L’indipendenza dei curdi siriani non è una priorità dell’Occidente, ma le conseguenze della lotta all’ISIS non si fermano di fronte a ciò. È così?
Personalmente ritengo che l’Occidente stia lavorando alla creazione di una regione curda nella Siria occidentale. Il primo anno è stato un susseguirsi di raid aerei e questo continuerà in un crescendo. Del resto, i bombardamenti aerei contro l’ISIS dove si svolgono? Nel nord della Siria. Ma l’ISIS non si trova solo là. L’ISIS si concentra nella zona centrale e orientale della Siria. E allora, perché i bombardamenti aerei sono condotti a nord? Perché la questione nevralgica è quella di semplificare le azioni facilitando l’insediamento dei curdi locali. Sarebbe ingenuo aspettarsi che due Kurdistan in fieri ai confini meridionali della Turchia e una seconda Arabia Saudita non influenzeranno la Turchia. Dopo la Siria, anche l’afghanizzazione dell’Iraq serba in se un pericolo di pakistanizzazione della Turchia.
Il salafismo spurio dell’ISIS è compatibile con il capitalismo selvaggio? Cosa significa la frase “Prodotto di laboratorio del salafismo spurio”?
Questi nuovi tipi di organizzazioni detentrici dell’ideologia salafita, sono un prodotto di laboratorio di strutture spurie che reinterpretano il salafismo. Ogni struttura, ogni ideologia crea il proprio nemico. Il nemico del capitalismo è il socialismo. Il capitalismo globale invece, dopo il crollo del socialismo ha creato, attraverso il salafismo, il proprio nemico in un ambiente di laboratorio.
Il motivo principale della produzione in laboratorio di tale salafismo spurio è che esso è privo di valori come l’’umanesimo e l’uguaglianza, insiti nell’essenza stessa della religione islamica. Storicamente nell’Islam il Jihad fu di tipo sufi, come il Jihad dell’Imam Shamil, alla guida della resistenza antirussa dal 1834 al 1859, durante la Guerra Caucasica. Il Jihad tradizionale può essere antimperialista, essendo in armonia con i valori tradizionali e il nazionalismo. Il salafismo spurio invece è compatibile con il volto brutale della globalizzazione. In breve, questa interpretazione anacronistica del salafismo, impropriamente descritta come un “ritorno alle origini”, non fa altro che identificare, a livello globale, il terrorismo con l’Islam.
Quali potrebbero essere le mete di questa violenza salafita, in Turchia?
Mete possibili sono gli Edifici pubblici, feste e missioni diplomatiche, quindi i “Templi” della classe media, cioè i centri commerciali. A Nairobi, in Kenya, nel settembre 2013, si è perpetrato un massacro presso il centro commerciale Al Shabaab, Westgate. Potenziali bersagli potrebbero essere le moschee e le case di Cem (luoghi di culto aleviti).
In definitiva si potrebbe dire che l’ISIS ha concesso legittimità ai curdi. Nel senso che, guardando all’evoluzione dei fatti, l’ISIS in Siria ed Iraq, dal punto di vista della sovranità curda nella propria regione, ha esercitato una funzione catalizzatrice?
Assolutamente sì, l’ISIS ha esercitato una funzione catalizzatrice. Tanto che nessuno ha sparato un singolo colpo contro la controparte, quando Mosul venne sequestrata dall’ISIS, il 10 giugno 2014, come se fosse stato stipulato un tacito accordo con la città di Arbil. Entrambe le parti sapevano dove fermarsi. Kirkuk è stata curda ma una cittadina immediatamente a nord di Kirkuk – nominalmente arabo-sunnita – è attualmente nelle mani dell’ISIS. Abbiamo visto la stessa cosa nel nord della Siria. Fra gli insediamenti dei curdi di Siria, per 50-100 chilometri, in quella che chiamiamo la cintura araba, si trovano gli insediamenti arabi. Avevamo pensato che questi, durante il processo di curdizzazione del nord della Siria, si sarebbero spinti verso sud. Ma non è stato così, invece si sono spinti verso nord, cioè verso la Turchia. Di conseguenza, procedendo verso il nord della Siria, stiamo assistendo ora ad un processo divenuto sempre più omogeneo.
Qual è la situazione in Iraq?
Là, l’ISIS ha garantito la legittimità ai curdi. La regione del Kurdistan iracheno originariamente era costituita da tre province. Ma, la quasi totalità delle regioni contese, fra le quali Kirkuk è la più importante, sono state occupate silentemente, senza che nessuno dicesse qualcosa. Del resto, lo stesso Barzani oggi ha dichiarato che nessuna di queste regioni uscirà mai dalla Regione del Kurdistan. Se un giorno, la Regione del Kurdistan iracheno sarà indipendente, queste aree controverse comprendendo (Kirkuk, Sinjar, a nord di Diyala, alcune frazioni di Ninive) vorranno esserlo per il petrolio già ivi presente. D’altra parte, il governo centrale di Baghdad, fino all’anno scorso, era venuto ai ferri corti con Abril a causa delle esportazioni di petrolio attraverso la Turchia. Ma ora è acqua passata. E il Governo di Baghdad, alla ricerca di una via d’uscita, non ha voluto far sentire la sua voce in merito a tali questioni. Nel frattempo, essendo subentrata l’ISIS il legame geografico tra Baghdad e la Regione del Kurdistan è venuto a mancare. O forse no, un piccolo legame è rimasto. Infatti, il vicino meridionale dei curdi e quello settentrionale di Baghdad sta diventando proprio l’ISIS. Di fatto ne viene ad essere ulteriormente agevolata la formazione di una struttura autonoma nel nord.
Il PKK nelle nostre città
In Turchia, gli intellettuali conservatori, i politici e la burocrazia continuano a guardare con romantica simpatia tutti quei gruppi islamici che irrompono sulla scena mondiale. Ovvero, continuano a guardare il mondo attraverso una lente, come fosse bianco e nero, buono o cattivo. Non percependo le migliaia di sfumature e i mutevoli cromatismi che, similmente ad una matrioska, assumono queste organizzazioni spurie così come le altre strutture organizzative della guerra asimmetrica del XXI secolo. Pertanto, essi non conoscono né le risorse né le dimensioni dell’imminente pericolo. Negli anni della guerra fredda, il posizionamento dell’esercito di Ankara era evidente. Tant’è che ancora oggi in Turchia, l’esercito è posto essenzialmente ad Occidente (Egeo, Marmara e Tracia) a protezione dalla (remota) possibilità di una futura minaccia – ereditata della guerra fredda – proveniente dalla Grecia o dalla Bulgaria. Quando invece oggi, i nostri vicini occidentali sono membri dell’Unione europea. Mentre, nei confronti dell’incendio in atto ai confini meridionali della Turchia, Ankara, non ha mostrato ancora sufficiente considerazione. Ci sarebbe bisogno di una riorganizzazione dell’esercito. La Turchia ha bisogno di rinnovare la struttura statale dell’intelligence secondo standard occidentali. Ciò è essenziale per la lotta contro il PKK. Ormai le nostre città tracimano di cellule di guerriglieri, è dunque fondamentale un apparato efficiente e operativo d’intelligence. Una procedura questa che, al momento, in Turchia non è disponibile. Pertanto la Turchia ha bisogno di un altro tipo d’intelligence, nonché della ristrutturazione delle forze di polizia e militari
“Tornate a casa”, nella regione di Qandil
In mezzo a tutto questo, fra il quartier generale del PKK iracheno del nord, i dirigenti della regione di Qandil e il governo di Barzani hanno iniziato a soffiare venti assai gelidi.
Cosa è cambiato, nel corso degli anni, dal punto di vista di un Governo Regionale del Kurdistan che non fa sentire la sua voce per mantenere la presenza del PKK sui propri territori?
A mio parere, in un anfratto recondito della memoria della città di Arbil, effettivamente c’è l’idea che il PKK, in profondità, sia una struttura dello Stato turco. È necessario vedere la situazione attraverso la lente di una paranoia esistente (da parte curda) secondo cui “per mezzo del PKK o dei curdi di Turchia, Ankara ci voglia fagocitare”. Del resto, il governo del Kurdistan iracheno, definita la propria posizione in una tale struttura, nel tentativo di integrarsi con il mondo, operando import ed export, è anche nella condizione di addivenire alla costituzione di uno stato. I curdi iracheni, a mio parere, allontanandosi dalla struttura del PKK intendono entrare in una struttura distrettuale con i curdi nel nord della Siria. Questo lo vedremo meglio nei prossimi mesi e anni.
Nei confronti della struttura di Qandil, ritengo che ne potremo vedere un assaggio nella formula: “tornate a casa vostra, nel nord della Siria”.
Il PKK, al momento, è già il bersaglio delle operazioni aeree delle forze armate turche. In un contesto del genere è realistico aspettare che in Siria si muovano a tutto campo?
Già il PKK, in un processo di transizione da tali rischi e tali incertezze, non lo vorrebbe.
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