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DUCA ENRICO VS BARRUA
21 Set 2015 09:22
Due vini, da due regioni diverse e da due annate diverse, a confronto. Da una parte l’IGT Duca Enrico 2005; dall’altra l’IGT Barrua 2006. Il primo è il vino di punta della cantina siciliana Duca di Salaparuta conosciuta per il vino Corvo rosso. Dall’altra l’Agricola Punica una cantina sarda figlia della collaborazione tra la Cantina Santadi, famosa per il Carignano del Sulcis Superiore Terre Brune, e Tenuta San Guido, celebre a sua volta per il Bolgheri Sassicaia Sassicaia.
La cantina Duca di Salaparuta è stata fondata nel 1824, mentre l’Agricola Punica è di fondazione molto recente, 2002. Carlo Casavecchia è l’enologo che ha prodotto il vino siciliano, all’epoca ancora alla direzione della cantina. Giacomo Tachis, praticamente il principe degli enologi italiani, ha prodotto il vino sardo.
Entrambi i vini fanno 18 mesi in barrique di rovere. Ed entrambi i vini sono considerati tra i migliori esempi reperibili nelle rispettive regioni. Ma è in particolare il Barrua che gode di una notevole reputazione, tanto che Hugh Johnson e Jancis Robinson lo definiscono il più prestigioso dei vini sardi. Questo vino viene prodotto per l’85% da carignano, 10% cabernet sauvignon e 5% merlot. Diversamente il vino siciliano è un nero d’Avola in purezza, ritenuto sicuramente uno dei grandi vini siciliani, ma messo un po’ all’ombra da altre etichette siciliane, che godono di maggiore favore presso la critica internazionale e nazionale, come il Rosso del Conte o il Mille e una notte. Giudizio dettato probabilmente da una sorta di pregiudizio che si porta dietro questa cantina. In passato era infatti proprietà della regione Sicilia e il Corvo rosso, sebbene un prodotto tutto sommato corretto, ha certamente influenzato negativamente l’idea che questa cantina potesse offrire un vino di un certo spessore.
L’annata 2005 è stata una buona annata, soprattutto in Sicilia, ma la 2006 è valutata in ambito nazionale come una annata ancora migliore.
Appena messi in commercio il Barrua 2006 aveva un colore rosso rubino impenetrabile. I sentori olfattivi erano opulenti con chiari profumi di frutta in confettura, qualche tocco di cioccolato al latte, cuoio, biscotto amaretto, pepe nero, tabacco dolce da pipa e sentori di macchia mediterranea. La speziatura era dolciastra dovuta all’uso di una notevole percentuale di barrique nuove. Era un vino dal chiaro carattere internazionale. In bocca morbido, avvolgente, quasi masticabile. L’equilibrio tendeva più verso la morbidezza che verso le note dure. La persistenza era lunga.
Il Duca Enrico era di colore rubino concentrato, ma non impenetrabile. Le note di frutta rossa erano sicuramente mature, ma non tendevano alla confettura. Percettibile era una certa cornice di tabacco da pipa in un sottofondo minerale di grafite, tipico del vitigno. Corpo robusto e strutturato con tannini vellutati e maturi. La freschezza ben presente malgrado l’alcol. Il vino era equilibrato e persistente.
A nove anni dalla vendemmia il Barrua 2006, conservato nella stessa cantina del Duca Enrico 2005, si presenta del tutto ossidato. Il vino ritenuto da più parti capace di invecchiare oltre i dieci anni non ha retto assolutamente nel tempo. L’eccessiva morbidezza ha penalizzato fortemente la capacità d’invecchiamento. Uscito in commercio tra il 2009 e il 2010 andava consumato con tutta probabilità massimo dopo due anni dalla messa in commercio. Molto acclamato dalla critica, il Barrua si è dimostrato deludente. Bisognerebbe informarsi meglio sull’andamento dell’annata. Non si può certo escludere che mentre nel resto d’Italia l’annata 2006 è stata molto buona, in questa parte della Sardegna, dove si coltivano le viti che danno vita a questo vino, magari l’annata non è stata eccezionale. Già durante il primo assaggio, quando era appena stato messo in commercio, il vino lasciava poco a sperare, vista l’eccessiva morbidezza che presentava.
A dieci anni dalla vendemmia il Duca Enrico si dimostra al contrario più che vivo. Il colore è rimasto rosso rubino concentrato, senza presentare ancora nessun cedimento, ma soltanto un lievissimo alone arancio sul bordo dell’unghia. Il naso non presenta ancora nessun cedimento ossidativo. Non ha certo l’eleganza di un Barolo, ma è forse il miglior esempio di nero d’Avola di struttura presente sul mercato, nonché un vino assolutamente autentico. Non vi è, infatti, nessun intento di internazionalizzare il nero d’Avola, ma bensì di dimostrare che anche un vitigno considerato particolarmente idoneo per i vini da pronta beva, se ben trattato è capace di regalare dei vini di tutto rispetto e capaci di maturare nel tempo senza dimostrare segni di stanchezza. E sono proprio il fatto che non presenti alcun segno di cedimento, tanto da sembrare un vino del 2013, e la notevolissima persistenza ad affascinare. Uscito in commercio tra il 2008 e il 2009, probabilmente poteva essere conservato in cantina senza problemi per almeno altri due anni. Un vino sicuramente non economico, ma che vale assolutamente il suo prezzo.
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