ABITI IN SALDO? NO GRAZIE,

Abiti in saldo? No grazie, il Comune non bada a spese e veste Arezzo di Trifiletti. E’ una storia che soltanto a Ragusa poteva accadere. Nella vita è questione di fortuna, o semplice casualità, c’è chi eredita l’argenteria e chi i vestiti di famiglia. Al prof. Gabriele Arezzo di Trifiletti sono toccati gli abiti da cerimonia che la sua famiglia, nel corso dei secoli, ha indossato per i più svariati eventi mondani. Il raffinato gentiluomo, prima del provvidenziale intervento del Comune di Ragusa, che ha acquistato la ricca collezione per 250.000 euro, stava letteralmente soffocando sotto il peso di migliaia di abiti e oggetti d’epoca, (dal 1200 al 1970), che teneva ammassati in due appartamenti a Palermo. Una situazione insostenibile dal punto di vista finanziario, troppo costoso gestire e manutere una collezione di tal fatta. Il proprietario negli anni ha provato a monetizzare il tutto e disfarsi di quanto in suo possesso, ma non c’è mai riuscito. Da quanto si evince da articoli di stampa, a rovinare nelle sue pretese il nobile proprietario,  fu un sottosegretario ai beni culturali che bloccò la vendita (nel 2000 l’intera collezione stava per essere infatti venduta per un miliardo di lire a Palazzo Pitti a Firenze) sostenendo che se la collezione fosse andata in Toscana si sarebbe depauperata a Sicilia. Nel 2004 la soprintendenza regionale ai beni culturali, che aveva intenzione di creare un unico polo museale della moda antica, inventariava tutti i pezzi della collezione e ne decretava il vincolo di beni culturali. Nonostante questo, nessun risultato; dall’Ars la litania era sempre la stessa “non ci sono i  soldi”. Adesso è intervenuto il Comune di Ragusa tirando fuori 250.000 euro e risolvendo tutti i problemi, forse non tutti, ma almeno quelli di Gabriele Arezzo di Trifiletti si, quelli di sicuro. Non vogliamo entrare nel merito dell’importanza storico-culturale-turistico ed economico della collezione, quello che ci preme sottolineare è la scarsa sensibilità di questa amministrazione nei confronti delle migliaia di famiglie ragusane che in questo momento stanno vivendo, causa la crisi, un periodo di fortissima difficoltà. C’era il vincolo della Soprintendenza, che ha vincolato al nostro territorio la collezione per non depauperarne il valore storico-patrimoniale, c’era il problema del costo di gestione e manutenzione della collezione, ritenuto insostenibile dallo stesso proprietario, c’erano insomma tutti i presupposti per trovare un accordo diverso da quello che ha portato il Comune di Ragusa ad un esborso di 250.000 euro.

La collezione andava donata, non acquistata. Anche come una sorta di risarcimento storico, sia pure tardivo, nei confronti di chi, nella nostra terra, le cui radici sono tutte contadine, faceva la fame. Molti storceranno la bocca, poco importa, ma quegli abiti costosissimi rappresentano lo stile di vita di una nobiltà che viveva sfruttando le fatiche e il sudore di migliaia di contadini, uomini, donne e bambini, vestiti di cenci e di stracci. Cenci e stracci che oggi non ci sono più, che nessuno ha conservato, che nessuno acquisterà mai e di cui ancora oggi nessuno parla e sembra avere l’interesse di parlare o fare riferimento. Non c’erano solo i nobili, c’erano anche i plebei a Ragusa. E i figli ed i nipoti di queste persone, oggi come ieri ultimi e schiacciati dalla povertà, assistono al triste spettacolo di dover acquistare una ricca collezione di vestiti ed accessori antichi con i soldi delle proprie tasse. Una situazione imbarazzante, alla quale si poteva decidere di far fronte optando per una donazione, un semplice gesto che avrebbe, a distanza di anni, arricchito veramente tutti, a partire dal donatore.

Auspichiamo che, dopo il rilevante esborso di cui sopra, parimenti avvenga una rivisitazione storica dei rapporti di classe nelle contrade e nelle campagne ragusane dall’Ottocento in poi.

Il Castello di Donnafugata sia custode non solo del patrimonio storico e culturale di un mondo fatto di ricchezza e nobiltà, ma anche di riferimenti, testimonianze e citazioni delle migliaia di persone, entrate nel dimenticatoio sociale e mai uscitene fuori,  sul cui sudore quella ricchezza si è da sempre fondata ed alimentata.

 

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