STRAGE DI VITTORIA, CONDANNATO MINISTERO DELL’INTERNO

 

Il Tribunale di Catania annulla le delibere del fondo di solidarietà per i reati mafiosi con cui, in assenza di sentenza definitiva di liquidazione del danno, si revocava parzialmente l’erogazione di quanto corrisposto con la provvisionale, e allo stesso tempo condanna il Ministero a rifondere le spese legali.
La vicenda trae origine, ancora una volta, dalla strage di Vittoria che, nelle sue estrinsecazioni giudiziarie, si rivela sempre più prolifica di massime giurisprudenziali.
Alcune delle vittime secondarie della strage avevano ottenuto, in sede penale, la condanna degli autori al pagamento di una consistente provvisionale, ottenendo anche l’erogazione del Fondo di solidarietà istituito presso il Ministero dell’Interno.
All’esito del giudizio civile di primo grado, avviato per la quantificazione del risarcimento del danno, per alcuni parenti delle vittime il giudice civile aveva ritenuto eccessiva la somma disposta con la provvisionale penale e aveva statuito una condanna in misura ridotta.
La sentenza era stata appellata perché ritenuta errata ed ingiusta. Nelle more dell’appello, il fondo di solidarietà aveva emanato delibere di revoca parziale di quanto precedentemente erogato ed avviato il recupero delle somme presuntivamente versate in eccedenza.
Avverso tali provvedimenti, il nostro studio legale, in rappresentanza delle vittime, ha proposto ricorso avanti il Tribunale di Catania che, con ordinanza del 17-21/11/2016, nella controversia n.7332/15, ha accolto totalmente le nostre tesi difensive ed annullato le delibere ministeriali impugnate, nonostante la difesa dell’avvocatura generale dello stato.
Le motivazioni, con cui il tribunale di Catania ha condiviso la tesi dei ricorrenti, risiedono nella stessa ratio della legge che regolamenta l’accesso al fondo per le vittime di mafia. La legge dispone la possibilità di revoca o riforma dei precedenti provvedimenti quando le decisioni penali o civili di risarcimento siano definite in sede di impugnativa, ergo quando siano divenute definitive.
L’operato del ministero, in pendenza del giudizio di appello, è stato quindi ritenuto come illegittimo e non ragionevole anche in relazione alla ratio della legge.
Ne deriva dunque la statuizione di l’annullamento delle delibere e la condanna alle spese di causa del Ministero in considerazione del valore della controversia e della complessità del giudizio.
Se questa è la massima di diritto che si ricava dalla lettura dell’ordinanza – la prima sull’argomento e che costituirà un valido precedente per le altre controversie pendenti e similari con cui il nostro studio ha impugnato altri decreti ministeriali – la considerazione sociale e di merito che si può fare è che un Ministero che, anziché solidarizzare e tutelare i parenti di vittime di mafia, tende ulteriormente a vittimizzarle amministrativamente con provvedimenti frettolosi, ingiusti, nonché vessatori, anche in ordine ai metodi di esazione, merita in pieno non soltanto le censure giudiziarie e di essere condannato alla rifusione delle spese, causando anche danno erariale, ma anche le censure di un’opinione pubblica che vorrebbe le strutture statali più vicine e solidali nei confronti di chi ha già sofferto enormemente per quell’apparato di sicurezza che lo Stato non è riuscito a dispiegare, per tutelare efficacemente i propri cittadini ed evitare che gli stessi rimanessero vittime di fatti criminosi.
Personalmente, quindi, mi permetto di esprimere anche un giudizio di disvalore etico nella condotta del Ministero, e auspico che, per il futuro e anche per i molteplici giudizi pendenti e per quelli che avvieremo nei confronti di amministrazioni statali che non tengano per prime in debito conto il rispetto delle leggi, la pubblica amministrazione dimostri maggiore comprensione per il dolore delle vittime e ponga in essere comportamenti e legiferazioni di vicinanza nei confronti di chi subisce gli effetti nefasti di un delitto.

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