È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
MA ALMA SHALABAYEVA RISCHIA DI PIU’ IN ITALIA O IN KAZAKHSTAN?
16 Lug 2013 14:39
Sulla vicenda del sedicente o pseudo-dissidente e bancarottiere kazako, Mukhtar Ablyazov, negli ultimi giorni si sono scritti fiumi se non oceani di parole. Una grancassa mediatica, una potenza di fuoco inimmaginabile. Una guerra senza quartiere, che la dice lunga sul servilismo della stampa italiana da una parte e sui mezzi posseduti da questo losco figuro, ricercato dall’Intepol, dall’altra. Non c’è stato quotidiano o notiziario che non abbia trattato il caso dedicandogli pagine intere e speciali, gettando fango ad oltranza su questo Paese il cui nome stride per la sola disgrazia di terminare in –stan, assonando con Afghanistan o chissà quale altra rima possa evocare alla fantasia patologica del lettore medio italiano, ancora ammaliato dalle omelie della Fallaci o del Magdi Allam di turno di qualche lustro fa, tale suffisso.
Per inciso –stan, che poi è un persianismo, è la stessa radice indoeuropea del tedesco stehen o dell’inglese stay, stare, luogo in cui ci stanno, nella fattispecie i kazaki. “Gente seria” come li definisce Edward Luttwak, un Paese che:
“non è una piena democrazia come gli Stati Uniti. D’altra parte non si vedono proteste né corruzione come accade in 50 Paesi intorno al mondo. Non è un paese di violenza né di oppressione brutale. Quindi gli Stati Uniti vedono il Kazakhstan come un Paese con cui avere il massimo dei rapporti possibili di ogni specie”[1].
Non per la stampa italiana quindi, la quale, ahinoi evidentemente le direttive le prende altrove.
Il leitmotiv è stato quello della storia di un esule, dissidente, perseguitato politico e della moglie coinvolta in un blitz della polizia italiana, nel quale, dopo essere stata insultata e maltrattata è stata espulsa per direttissima assieme alla figlia in un Paese, dove – a loro dire – vige la tortura. Fatto che, posto in questi termini, ha suscitato un’indignazione generale.
A parte il sottoscritto, qualche eccezione c’è comunque stata, ed autorevole, come l’articolo: “Macché perseguitato, è un avventuriero. Ecco la vera storia di Mukhtar Ablyazov” di Fausto Biloslavo[2], su “Il Giornale” di Domenica o dei dubbi espressi in un corsivo sul Corriere da Sergio Romano. Un’analisi che, seppur timidamente, comincia a fare breccia anche in qualche speciale televisivo. Tuttavia certo è che, sebbene il Ministro Bonino – nella sede del cui partito i dissidenti come Ablyazov sono di casa – abbia ammesso la propria figuraccia[3], il caso ha dato uno scossone alla già delicata situazione politica italiana. La Farnesina ha declinato le proprie responsabilità e al momento siamo in quella fase che qualcuno ha definito “del catino pieno d’acqua – come Ponzio Pilato – in cui lavarsi pubblicamente le mani”. Insomma, man mano che grancassa mediatica si va sgonfiando lasciando emergere particolari emotivamente meno pruriginosi, si cerca di scaricare la patata bollente verso la base. Ovvero verso chi, in quel momento, si è dovuto assumere la responsabilità di prendere una decisione tanto delicata.
È ovvio che dietro a tutto questo ci sia un gioco più grande, da una parte in termini di destabilizzazione politica del nostro Paese e dall’altra, ben più grave, in termini di guerra economica autoinflitta. In altre parole, l’ennesimo caso di autolesionismo italiota mascherato da crociata per i diritti civili. In effetti, la vicenda mostra delle analogie con la recente guerra in Libia dove i francesi ci hanno scippato la leadership del settore energetico. Per inciso, pare che Ablyazov al momento si trovi a Parigi.
L’Italia è il terzo partner commerciale di Astana. Un mercato di sbocco ideale per le proprie tecnologie, per le proprie produzione di qualità. In vari settori, dall’ambito energetico, alla robotica, dall’agroalimentare alla moda. Insomma, tutti i settori classici del made in Italy, sia come immagine sia come sostanza nell’ambito della robotica, dei macchinari industriali[4].
Per quanto riguarda l’aspetto che ha scosso l’emotività della maggior parte dei commentatori: il coinvolgimento della moglie e della figlioletta dell’oligarca, c’è da dire una cosa.
Sul Kazakhstan in questi giorni si è vomitato di tutto. Sul web non è mancato chi, non sapendo nemmeno come si scrive, abbia usato l’aggettivo kazago al posto di kazako o cazaco all’italiana, tanto per riferire di come cani e porci, gente che non ha una pallida idea di dove si trovi questo Paese, abbia voluto ostinatamente e con estremo provincialismo dir la sua.
Lo si è definito un Paese dove la tortura è la prassi e governato da un tiranno, un satrapo, bypassando le vittime che qui da noi, certo per altri motivi, ha provocato la recente tirannia fiscale del governo Monti. Un Paese dove, in realtà la pena di morte, a differenza degli U.S.A., è prevista solo per gli autori di attentati terroristici che causano stragi e per chi compie gravi crimini di guerra, ma di cui si sta discutendo l’abolizione[5].
Ma allora Sahlabayeva rischia di più in Italia o in Kazakhstan? Stando ai codici penali dei rispettivi Paesi sembrerebbe che il Kazakhstan sia, alla fine dei conti, un posto preferibile.
Prescindendo dal fatto che la donna ha solo l’obbligo di residenza perché sotto inchiesta ed accusata di avere pagato tangenti in cambio del passaporto per sé e per i familiari e che essendo reale il pericolo di fuga non può uscire dai confini della repubblica.
Secondo l’Art. 325 del Codice Penale della Repubblica del Kazakhstan N. 167 del 16.07.1997, l’atto per cui è imputata, ovvero la falsificazione di un documento d’identità o di altro documento ufficiale, la condannerebbe ad una pena massima di 6 mesi di detenzione. Infatti, esso prevede la privazione della libertà personale, che non significa carcere, fino a 3 anni, oppure la detenzione per un periodo variabile dai 3 ai 6 mesi.
Lo stesso articolo del Codice penale italiano, invece (Art. 497-bis), per il medesimo reato punisce con la reclusione da uno a quattro anni[6]. Mentre, l’Art. 496, inerente a false dichiarazioni sull’identità rivolte a un pubblico ufficiale arriva fino a cinque anni[7].
Quanto alla figlia, Alua, se il padre è irreperibile dove dovrebbe stare, in un orfanotrofio italiano o più plausibilmente con la madre piuttosto che con i nonni in Kazakhstan?
Un caso insomma sul quale non è ancora stata scritta l’ultima parola e che si sgonfierà come una bolla di sapone.
[1]http://www.nododigordio.org/in-evidenza/edward-luttwak-in-collegamento-a-il-lungo-viaggio-di-marco-polo/.
[2]Macché perseguitato, è un avventuriero Ecco la vera storia di Mukhtar Ablyazov http://www.ilgiornale.it/news/interni/macch-perseguitato-avventuriero-ecco-vera-storia-mukhtar-935648.html.
[3]http://www.repubblica.it/politica/2013/07/14/news/caso_shalabayeva_bonino_abbiamo_fatto_una_figuraccia_ma_dimettermi_non_servirebbe-62947332/?ref=HRER3-1.
[4] http://www.nododigordio.org/in-evidenza/libia-kazakhstan-impedisce-export-italiano/.
[5] http://www.tmnews.it/web/sezioni/nuovaeuropa/PN_20110328_00159.shtml
[6] Articolo inserito dall’art. 10, comma 4, del D.L. 27 luglio 2005, n. 144, convertito, con modificazioni, nella L. 31 luglio 2005, n. 155.
[7] (1) Articolo inserito dal Decreto Legge 23 maggio 2008, n. 92.
© Riproduzione riservata
Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it