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GIOVANNI VERGA ED I SUOI SCRITTI
08 Gen 2017 15:16
Giovanni Verga nacque a Catania, il 2 settembre 1840 da Giovanni Battista Verga Catalano e Caterina Di Mauro Barbagallo.
Manifesta fin da giovane un grande interesse per la letteraura, pubblicando a soli 22 anni il romanzo storico “I carbonari della montagna”. Già in quest’opera è visibile l’ardore patriottico dell’autore, e il suo impegno politico per l’annessione della Sicilia al Regno d’Italia; Nel 1865 si trasferisce a Firenze, pubblicando i romanzi “Una peccatrice” (1866) e “Storia di una capinera” (1871), quest’ultimo di grande successo. Si sposta poi a Milano, dove entra in contatto con scrittori del calibro di Arrigo Boito, Giuseppe Giacosa, Federico De Roberto; pubblica i romanzi “Eva” e “Tigre reale” (1874), “Eros” (1875) e la raccolta “Primavera e altri racconti”(1876). In una lettera del 1878 espone il suo progetto di un ciclo di romanzi, il cui comune denominatore sarebbe dovuto essere la teoria evoluzionistica darwiniana e il cui modello i romanzi di Zola, dal titolo “I vinti”. Nel 1880 esce la raccolta di novelle “Vita dei campi”; l’anno successivo il primo romanzo del ciclo dei vinti e il suo capolavoro, “I Malavoglia”; nel 1882 il romanzo “Il marito di Elena”; nel 1883 le raccolte di novelle “Per le vie” e “Novelle rusticane”. Nel 1884 ha la soddisfazione di veder rappresentata in teatro una sua novella contenuta in “Vita dei campi”, la “Cavalleria rusticana”. Nel 1888 esce il secondo romanzo del ciclo dei vinti, il “Mastro don Gesualdo”. Raggiunta l’agiatezza economica e la tranquillità sentimentale, dopo alcune relazioni, nel 1894 si ritira a Catania e pubblica ancora una raccolta di novelle.
Nel 1911 inizia il terzo romanzo del ciclo, “La duchessa di Leyra”, che però rimane fermo al primo capitolo. Nominato senatore nel 1920, muore nel 1922.
Verga, a differenza di altri scrittori, non espose le proprie idee sulla letteratura e sull’arte in opere compiute; preferisce invece immergersi nel suo scrupoloso e concreto lavoro di scrittore. Il canone fondamentale a cui si ispira è quello dell’impersonalità , che egli intende innanzi tutto come schietta ed evidente manifestazione dell’osservazione coscienziosa. Verga vuole indagare nel misterioso processo dei sentimenti umani presentando il fatto nudo e schietto con le medesime parole semplici e pittoresche della narrazione popolare. L’obiettivo è quello di giungere a un romanzo in cui l’affinità di ogni sua parte sarà completa, in cui il processo della creazione rimarrà un mistero, la mano dell’artista rimarrà invisibile e l’opera d’arte sembrerà essersi fatta da sé. Verga vuole rappresentare la lotta per la vita ripercorrendo la scala sociale, dai livelli più bassi a quelli più elevati e questo sia per la sua esigenza personale di rimeditare la propria esperienza umana e artistica e anche per estendere l’indagine che si era in genere limitata ai ceti popolari, alle classi più alte. Le tecniche narrative riguardano il rapporto tra autore e materia rappresentata, le tecniche espressive, la sintassi e il lessico.
La novità di Verga sta nella distinzione tra autore e narratore e nella definizione e invenzione del narratore regredito. L’autore per essere impersonale deve rinunciare ai suoi pensieri e giudizi, alla sua morale e cultura perché non deve esprimere se stesso ma si deve nascondere impedendo così al lettore di percepire la sua presenza. Verga cerca di realizzare l’eclissi dell’autore delegando la funzione narrante a un narratore che è perfettamente inserito nell’ambiente rappresentato, regredito al livello sociale e culturale dei personaggi rappresentati che assumono la loro mentalità e non fa trapelare l’idea dell’autore. Verga vuole essere impersonale fino in fondo e, oltre a rinunciare alla sua mentalità ai suoi ideali e principi rinuncia anche alla sua lingua e cerca di adottare un tipo di espressione più vicina possibile agli umili rappresentati; l’autore cerca, infatti, di studiare la sintassi del dialetto siciliano e tenta di riprodurre tale struttura della frase nella lingua italiana, citando spesso proverbi che appartengono alla cultura locale.
L’autore utilizza anche la tecnica del discorso indiretto libero tutte le volte che ha bisogno, nel descrivere fatti e luoghi, di far risuonare i modi tipici del linguaggio popolano e di identificarsi col pensiero della gente del posto. Verga ebbe una concezione dolorosa e tragica della vita, pensava che tutti gli uomini fossero sottoposti a un destino impietoso e crudele che li condanna non solo all’infelicità e al dolore, ma ad una condizione di immobilismo nell’ambiente familiare, sociale ed economico in cui sono venuti a trovarsi nascendo. Chi cerca di uscire dalla condizione in cui il destino lo ha posto, non trova la felicità sognata, ma va incontro a sofferenze maggiori.
Con questa visione un po’ pietrificata della società Verga rinnova il mito del fato (cioè la credenza in una potenza oscura e misteriosa che regola imperscrutabilmente le vicende degli uomini), ma senza accompagnarlo con il sentimento della ribellione in quanto non crede nella possibilità di un qualsiasi cambiamento o riscatto. Per Verga non rimane che la rassegnazione eroica e dignitosa al proprio destino. Questa concezione fatalistica e immobile dell’uomo sembra contraddire la fede nel progresso propria delle dottrine positivistiche ed evoluzionistiche. In verità, Verga non nega il progresso, ma lo riduce alle sole forme esteriori ed appariscenti; in ogni caso, è un progresso che comporta pene infinite.
La visione verghiana del mondo sarebbe la più squallida e desolata di tutta la letteratura italiana se non fosse confortata da tre elementi positivi. Il primo è quel sentimento della grandezza e dell’eroismo che porta il Verga ad assumere verso i “vinti” un atteggiamento misto di pietà e di ammirazione: pietà per le miseria e le sventure che li travagliano, ammirazione per la loro rassegnazione. Secondo elemento positivo è la fede in alcuni valori che sfuggono alla dure leggi del destino e della società: la religione, la famiglia, la casa, la dedizione al lavoro, lo spirito del sacrificio e l’amore nutrito di sentimenti profondi ma fatto di silenzi, sguardi furtivi e di pudore. Il terzo elemento è la saggezza che ci viene dalla coscienza dei nostri limiti e ci porta a sopportare le delusioni.
Nell’attività letteraria del Verga si distinguono tre periodi; il periodo romantico patriottico, il periodo romantico passionale e il periodo verista. Al primo periodo appartengono i romanzi giovanili Amore e patria (incompiuto), I carbonari della montagna, Sulle lagune, tutti ispirati alla storia del Risorgimento e a motivi patriottici e amorosi. Al secondo periodo romantico passionale appartengono i romanzi scritti durante il soggiorno fiorentino e milanese quando il Verga viene a contatto con la cultura positivistica e con gli ambienti della Scapigliatura. Sono romanzi in cui si narrano torbide storie d’amore e di morte in ambienti aristocratici e borghesi.
Durante il periodo verista, Verga scrisse la raccolta di novelle ‘Vita dei Campi’ e ‘Novelle rusticane’ e infine il primo romanzo del Ciclo dei Vinti, I Malavoglia nel 1881, dove convive comunque il desiderio di far conoscere al lettore il proprio punto di vista sulla vicenda, pur non svelando opinioni personali nella scrittura.
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Articolo redatto da Lisa Iannucci
5°A ITG R.GAGLIARDI
docente referente :Prof Rosanna Bocchieri
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