DONNE, ECONOMIA, E DISCRIMINAZIONI FRA DATI E PARI OPPORTUNITA’

Poche donne nei posti di vertice della pubblica amministrazione: solo il 23% ricopre la carica di segretario generale o capo dipartimento nei ministeri o presso la presidenza del Consiglio, nei posti direttivi degli uffici giudiziari si scende al 17% nel caso dei giudici e all’11% per i Pm, nell’università i rettori femmina sono solo il 5 per cento.

Una situazione in qualche modo risaputa, alla quale i dati tolgono, però, ogni residuo dubbio. Ma i numeri spingono soprattutto a un’altra valutazione: le donne che partecipano e vincono i concorsi della pubblica amministrazione non sono poche. Si prenda il caso della magistratura, dove all’ultima selezione le vincitrici hanno doppiato gli uomini: 217 contro 108. Tant’è che nelle toghe il divario di genere è ridotto: 4.710 uomini contro 4.012 donne.

La situazione, però, cambia radicalmente quanto più si sale nella scala gerarchica: le posizioni semidirettive e direttive – a cui non si accede per concorso o per selezione interna, ma per cooptazione, nomina o procedura elettiva – sono appannaggio dei maschi. Un caso eclatante è quello delle agenzie (Entrate, Demanio, Dogane, Territorio, Monopoli), dove fra i dirigenti la quota femminile raggiunge al massimo il 21% (agenzia delle Entrate), ma il direttore generale è sempre – tranne che all’agenzia del Territorio – un uomo. Ancora più desolante la situazione dei dodici enti di ricerca vigilati dal ministero dell’Istruzione: nessun direttore generale donna; solo all’Istituto nazionale di alta matematica c’è una vicepresidente.

Non c’è forse una discriminazione, fosse anche implicita, a sfavore della componente femminile? Sono i risultati a cui arriva lo studio sulle carriere pubbliche messo a punto da Rete Armida (Alte professionalità femminili nella pubblica amministrazione) e che verrà presentato mercoledì nel corso del convegno romano su “Conciliazione vita-lavoro e valorizzazione delle competenze” (ore 9, Sala polifunzionale della presidenza del Consiglio, via di Santa Maria 37,Roma).

Specialmente in Italia, dove il tasso di occupazione femminile è il peggiore dell’Europa a 27 (dopo di noi solo Malta e Grecia) ed è di oltre il 30% inferiore al tasso di occupazione maschile: questo è un dato.

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Altro caso esemplificativo è quello dell’università, dove più si procede nei livelli di carriera meno sono le donne: così, se tra i ricercatori si registra quasi una parità di genere (55% uomini e 45% donne), fra i professori associati il divario cresce (66% contro 34%), per innalzarsi fra gli ordinari (80% contro 20%) e raggiungere l’apice nelle nomine di rettore, dove la componente femminile rappresenta appena il 5 per cento.

 

 

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