AL FESTIVAL DEL CINEMA DI FRONTIERA GIOVANNI VIRGADAVOLA

Un uomo e il suo sogno. Collezione Virgadavola ovvero L’arte del carretto siciliano è un documentario firmato dal giornalista Andrea Di Falco che racconta la storia della fondazione del Museo del carretto siciliano a Vittoria. Il film breve di 25 minuti viene presentato, in anteprima assoluta, domani, mercoledì 27 luglio 2016, nella sezione fuori concorso del XVI Festival Internazionale del Cinema di Frontiera di Marzamemi diretto dal regista Nello Correale.

 

Collezione Virgadavola è stato realizzato durante il laboratorio per Grafico Multimediale che si è tenuto a  Comiso (Ragusa). Un progetto della Logos Società Cooperativa presieduta Rosario Alescio, concepito nell’ambito “I.S.O.LA. – Inclusione Sociale e  Obiettivo Lavoro” n° IF2011A0433a e ammesso a finanziamento dall’assessorato regionale all’Istruzione e Formazione Professionale, P.R.O.F. (Piano regionale dell’Offerta Formativa) 2011 Integrativo, con D.D.G.  n. 4907 del 22/12/2011 pubblicato sulla G.U.R.S. n. 2 del 13/01/2012.

 

Il documentario, prodotto dalla Filmoteca Laboratorio, per la regia di Andrea Di Falco, è stato scritto con Francesco Savarino e montato con Gianluca Salvo. Le musiche sono opera di Saro Tribastone. Nel film hanno lavorato gli studenti del corso.

 

Giovanni Virgadavola è un poeta, cantastorie, affabulatore, pittore. Nel museo, passione e ossessione di una vita, sono presenti trenta carretti siciliani, due calessi, una carrozza e centinaia di attrezzi della civiltà contadina acquistati a partire dal 1965.

 

Settantasei anni, tarchiato, capelli crespi imbiancati, guance perfettamente rasate, la fronte segnata da anni spesi nella fatica del lavoro nelle campagne e nelle serre vittoriesi. Virgadavola è un contadino. Di questo mestiere rivendica, con orgoglio, la dedizione all’impegno. Perché la vita dei campi, poeticamente verghiana, gli appartiene per tradizione familiare. Figlio di agricoltori vittoriesi, inizia a lavorare da bambino, come accade di consueto nelle famiglie consacrate alla cura della terra. Da una quindicina d’anni è in pensione. E si ritrova totalmente assorbito da quelle che sono missioni più che passioni: il carretto e il “cunto”.

 

Quella di Giovanni Virgadavola è una voce stentorea eppure suadente. La sua è una dizione precisa. Ma che non nasconde il proprio dialetto. Piuttosto, vuole esaltarne la musicalità.

 

Alla Serra-Museo di Virgadavola, qualche anno fa, Daniela Barbante, una studentessa vittoriese iscritta alla Sapienza di Roma, dedica una tesi di laurea.

 

Virgadavola conosce bene l’importanza del carretto e ha voluto tramandarne il valore storico, artistico ed educativo. Inizia a collezionare carretti verso i venticinque anni. Quando l’epoca del carretto siciliano e della vita agricola nei territori iblei cambia definitivamente. Nella prima metà degli Anni Sessanta i carretti vengono abbandonati per passare alla moderna moto ape.

 

Virgadavola definisce il carretto un “libro con le ruote”. I braccianti agricoli, analfabeti, conoscono le storie epiche dell’Orlando Furioso, dell’Iliade, le vicende siciliane della Baronessa di Carini e del bandito Giuliano grazie alle illustrazioni e agli ornamenti dei carretti. Molto diffuse sono anche le rappresentazioni di devozione religiosa. Gli ultimi carretti irridono Mussolini e il fascismo.

 

«Il carretto – afferma Virgadavola – racconta, soprattutto, la storia di chi l’ha costruito. Il carradore lavora la struttura portante in legno. Il fabbro, tramite la forgia, arroventa il ferro e con l’incudine e il martello lo modella per realizzare “l’arabisco”. È il contadino a scegliere la storia che deve essere narrata dal carretto. I finimenti sono realizzati dal “siddaro”, come i “crocchi”, il “pittorale” e le catene dei tiri. Per le feste si usa ornare i cavalli con i pennacchi. Ma si tratta, in ogni caso, di ornamenti poveri. Differenti dallo sfarzo con il quale oggi vengono ornati i cavalli destinati ai carretti siciliani nelle rievocazioni storiche e tradizionali».  

 

 

 

 

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