TOSCA LA BUTTANA

Nella seconda metà 1944, quando nel nord, ancora occupato dai Tedeschi, le squadre partigiane combattono volontariamente per liberare l’Italia dall’occupazione e dal fascismo, il Governo, presieduto da Ivanoe Bonomi, decide di contribuire alla liberazione con cinque divisioni da affiancare agli eserciti alleati e perciò procede all’arruolamento obbligatorio. La cosa suscita malcontento tra i giovani e l’intera popolazione del Sud Italia già liberato, che già considerava la guerra finita, per cui sorgono dei movimenti  più o meno spontanei di ribellione al provvedimento. Nel gennaio del 1945 a Comiso viene proclamata una libera Repubblica tosto arresasi senza alcun incidente grazie alla mediazione del parroco, il ragusano mons. Carmelo Tomasi, mentre a Ragusa scoppia una ribellione armata che dura dieci giorni, dal 5 al 14, e che vede decine di morti sia tra i rivoltosi che tra le forze dell’ordine. In uno spettacolo di teatro narrazione rappresentato a Modica l’11 novembre 2007, al fine di illustrare al pubblico, senza l’uso del politichese, le posizioni dei vari partiti politici, viene inventato questo racconto. I nomi dei personaggi, tranne Li Causi, sono inventati di sana pianta e non hanno alcun riferimento con la realtà. È esistita a Ragusa, negli anni cinquanta e sessanta, una prostituta dal nome d’arte Tosca che per la cifra di 500 lire iniziò tanti di noi adolescenti al sesso ma nulla ebbe a che fare con i fatti del si parte, non si parte. Autentiche invece sono le situazioni e le posizioni dei partiti.   

Volete sapere di questo parapiglia del “si parte e non si parte”? Io vi posso raccontare tante cose. Io faccio la buttana e so tutto, so tutto perché gli uomini, quando vengono da me, diventano come i bambini. Io gli do certe soddisfazioni che le mogli non gli danno
e loro mi raccontano tutto, come a una madre. Mi raccontano della famiglia, dei figli, del lavoro, degli affari… mi raccontano cose che non raccontano a nessuno, neanche al confessore in punto di morte.
Io li conosco gli uomini, li so prendere. Li lascio parlare e loro parlano, parlano e parlano perché sanno che di me si possono fidare sanno che le cose che mi dicono non escono dalla stanza… dalla stanza… che dico, non escono dal letto dove me le dicono.
Perciò io so tutto e so tutto anche di questo parapiglia del “si parte e non si parte”.
So che è venuto qualcuno dei separatisti… i separatisti, quelli che vogliono separare la Sicilia dall’Italia che dice che nel catanese sono parecchi e sono armati. Sono venuti due di questi separatisti per soffiare sul fuoco e trovare adesioni e magari fare scoppiare la rivolta contro l’Italia, ma niente, non hanno concluso niente, qua a Ragusa non ci interessa a nessuno di separarsi… per la verità non ci interessa neanche di stare con l’Italia, insomma non ci interessa né di stare né di separarsi dall’Italia.
Per cui ‘sti separatisti sono stati qua una settimana, da don Bartolino che lui è ancora legato ai Borboni per il fatto che, suo nonno, grazie al re Francischiello, fece il campiere nel feudo di Fegarotta del barone Testasecca di Trefilietti e poi diventò lui il padrone del feudo e così don Bartolino fa ancora il borbonico e ogni tanto si infuoca e si mette a fare vuci che vuole separare la Sicilia dall’Italia, ma niente fa, fuoco di paglia è, come a letto, ogni volta dice che sul letto lui fa il 48 ma poi subito s’affloscia.
E così i due separatisti stettero una settimana da don Bartolino, a mangiare e bere, perché in casa di don Bartolino si mangia e si beve alla grande. Ci ha il cuore quanto una piazza, don Bartolino e ha la tavola sempre apparecchiata e c’è sempre da mangiare per tutti. Stettero una settimana e se ne tornarono a Catania con la rivoluzione addormentata sopra le pance piene.
So anche che tra i comunisti c’è maretta, turilla… come si dice… disaccordo… insomma, ci sono quelli che sono d’accordo per partire, soprattutto i capi, e ci sono quelli che non vogliono partire neanche sparati, non ne vogliono sapere di ritornare in guerra.
L’altra sera, è venuto alla sezione il compagno Li Causi, il compagno Girolamo Li Causi, ‘u zu Mommu, come lo chiamano. In persona! Io l’ho saputo perché me lo disse Turidu Gagliardi e ci avrei voluto andare a sentirlo, o zu Mommu, perché tutti mi dicono che è un uomo che ha fegato e a Palermo ha sfidato i mafiosi faccia a faccia.
Io ci ho anche una simpatia per il comunismo, in fondo, non sono una comunista anch’io?! Io, non la do a tutti?! Lo volevo proprio conoscere al grande compagno Li Causi, ma, col mio mestiere, potevo chiudere la bottega proprio di sera?
E dice che Li Causi disse che bisogna partire per aiutare i fratelli del nord che stanno combattendo contro i tedeschi e i fascisti per liberare l’Italia. Turidu me l’ha detto. E Turidu s’infiammò al punto che si è arruolato volontario. Ma ci furono anche quelli che gli dissero, al compagno Li Causi: «Non ti azzardare a dire queste cose in piazza perché, infuocati come sono, ti sparano».
Che pazzo Turidu! Gagliardo di nome e di fatto e che bel figlio, giovane, forte sempre allegro e nel letto… mi fa sentire una regina. Ah! …. Certe volte me lo vorrei sposare a Turidu! Ma che posso lasciare questo mestiere? Come dovremmo campare? Turidu è disoccupato. Però che bel figlio! Ah!…
Insomma tra i comunisti c’è maretta e i dirigenti non controllano la situazione.
I fascisti…. I fascisti sono più organizzati, … non si fanno vedere fuori ma soffiano sul malcontento dei giovani soprattutto degli universitari che con la scusa di studiare si sono scansati la guerra e ora è arrivata la cartolina anche a loro. Distribuiscono anche dei soldi, hanno persone fidate che non sono conosciuti come fascisti e distribuiscono soldi. Si sono messi in contatto anche con Mussolini che ora, dopo che i tedeschi lo hanno liberato, ha fatto la repubblica a Salò e gli hanno chiesto un appoggio.
Io questo lo so perché me lo ha detto il cavaliere Bordigò che durante il fascismo andava sempre in giro con la camicia nera, il petto in fuori e il fiocco in testa e faceva il galletto ma a letto, se non gli cantavo “Allarmi, allarmi siam fascisti” non c’era verso di farglielo rizzare. Ora, dopo la caduta del fascismo, il cavaliere Bordigò non è più lui, niente, non funziona neanche con la canzone. L’altra sera è venuto, mi sono sgolata a cantare “Allarmi, allarmi siam fascisti” ma niente, non ha funzionato. Poverino! Quasi si metteva a piangere! L’ho guardato, dal balcone, andare via veloce con le spalle curve e la testa a terra, rasente il muro, come un sorcio.
Ah! E poi c’è Franco, l’anarchico. Quanto parla! Parla, parla, parla… libertà, rivoluzione, dice che i comunisti hanno tradito i lavoratori perché sono entrati nel governo del porco Badoglio e del re vile e fascista. Dice che non si deve partire, che non bisogna arruolarsi in questo esercito comandato dagli stessi generali fascisti che hanno portato l’Italia in guerra e alla miseria e che appena hanno visto che le cose si mettevano male sono scappati assieme a quel vile e miserabile verme del re e che invece bisogna fare la rivoluzione, insorgere armati, fare un esercito di uomini liberi senza generali né ufficiali e ammazzare il re, il papa, i padroni e  tutti quelli che opprimono il popolo, ammazzarli come sorci… E parla, e si infervora, e va avanti e indietro, e diventa rosso in faccia, e gesticola come se avesse nelle mani re e padroni e gli tira il collo come pollastri e canta: “Con le budella dell’ultimo re, impiccheremo l’ultimo papa”.
Ma è buono Franco, ha il cuore tenero, l’altra sera c’era uno scarafaggio e io volevo calpestarlo ma Franco me lo ha impedito, l’ha raccolto con una cartolina e l’ha adagiato fuori della porta.
Ah, questi uomini! Fanno la guerra, fanno i gradassi e, sotto sotto sono come dei bambinoni che giocano a fare i grandi!
Però ha ragione Franco. Quelli che comandano sono dei porci mandano alla guerra i figli di mamma li mandano a morire e ci mandano i giovani a morire. Come si fa?! Come si fa?! Fare morire i giovani. Per me è il peccato più mortale che ci sia. Un giovane che muore! È un peccato mortalissimo! Anche il parroco l’ha detto.
Io li nascondo i giovani quando i poliziotti fanno la retata per portarseli via, li nascondo nella cantina. Vengono uno alla volta, alla sera, dopo il lavoro in campagna, li faccio entrare dalla porta che c’è dietro, che dà sulla campagna, che la mia casa è fuori il paese, e li nascondo nella cantina per tutta la notte e, a chi me lo chiede, gli do il paradiso in terra, non si mai gli dovesse toccare di conoscere solo quello lassù. (segnalando verso l’alto)
L’altra sera, c’erano cinque giovani in cantina, sento bussare alla porta, apro e vedo il commissario. Mamma mia! Il cuore mi saltò alla gola! Ma mi ripresi subito, io lo conosco il commissario, il commissario è mio cliente. Quella sera gli feci certi servizi che lui si dimenticò della guerra, dell’esercito, del re, dei generali e di tutti gli anticristi che mandano i giovani alla morte.
Queste cose so e queste vi racconto e le so perché io faccio la buttana e gli uomini vengono da me a sfogarsi e, anche se la gente di giorno mi disprezza, io non li mando i giovani alla morte io gli salvo la vita ai figli di mamma. L’altra mattina, passo dalla piazza, e mi trovo faccia a faccia con donna Angelina, che usciva dalla chiesa. Donna Angelina ci va sempre in chiesa, sempre in prima fila a dire il rosario e ad aiutare in sagrestia. Ci siamo trovati faccia a faccia. Io le tengo nascosto il figlio nella cantina e donna Angelina mi ha salutato, c’erano le altre donne che uscivano dalla chiesa e lei, davanti a tutte, mi ha preso la mano fra le sue mani e mi ha detto: «Grazie donna Tosca, grazie».
Quelle parole, quelle mani pulite e quella stretta sicura… vi giuro che tremavo, non era il tremore che conosco, quello del contatto con un altro corpo, no, era un tremore nuovo, mi tremava l’anima, mi sono sentita il cuore scoppiare, mi sono sentita mamma anch’io.

Ragusa, settembre 2007

                                                                                   Ciccio Schembari

 

Pubblicato sul n. 39/2008 “Vite in vendita” della rivista ondine www.operaincerta.it

 

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