Ricchezza e nobiltà a Ragusa in un antico censimento del 1607: di Uccio Barone

I Riveli sono i più antichi censimenti di Sicilia, che si conservano all’ Archivio di Stato di Palermo dal 1505 al 1811. Essi rappresentano una fonte storica straordinaria perche’ riportano le dichiarazioni giurate dei capifamiglia sulla composizione del patrimonio, sui legami di parentela, sul numero e sul ruolo dei conviventi, su mestieri e professioni,  sui luoghi e sulle tipologie delle  abitazioni. Grazie all’ iniziativa del Centro Studi “Feliciano Rossitto” diretto da Giorgio Chessari nel 2003 è stato pubblicato integralmente il Rivelo di Ragusa del 1607 in tre volumi curati dal prof. Giuseppe Raniolo.  L’ opera è davvero preziosa, finora non adeguatamente considerata,  e merita una rilettura più attenta   perché costituisce un completo “database” per uno studio socioeconomico della città in età moderna.

Agli inizi del ‘600  Ragusa conta 6003 abitanti distribuiti in 1395 “fuochi” ( nuclei familiari ) e con una ricchezza privata complessiva di 121 000 onze ( circa 120 milioni di euro attuali ). Essa stava ancora scontando le tragedie del terremoto del 1542 e  della “grande peste” del 1576, che con 5400 vittime aveva desertificato il suo tessuto urbano.  Comparato con gli altri Riveli precedenti e successivi , quello del 1607  ci offre un primo dato obiettivo in ordine agli equilibri demografici del territorio.  Nel 1569 Ragusa registrava una popolazione di 10 000 abitanti suddivisi in 2058 “fuochi” e con una ricchezza privata calcolata in 145 000 onze .  Dopo il salasso demografico ed economico dell’ epidemia, tuttavia, con fatica la  città aveva ripreso a crescere e la sua popolazione avrebbe sfiorato le 10 000 unità alla vigilia del terremoto del 1693. Nel cosiddetto “secolo di ferro”  era la terza città della Contea,  dopo Modica che concentrava gli uffici dell’ amministrazione comitale ( 18 000 abitanti ) e Scicli sede militare della Sergenzia e centro di  traffici marittimi con Malta ( 9000 abitanti ) . La  lunga rincorsa di Ragusa durerà tre secoli : la sua popolazione supererà quella di Scicli alla metà del Settecento e quella di Modica alla metà del Novecento, quando però Vittoria si classificherà al secondo posto come taglia demografica. Solo misurando questa  “longue durèe”  andrebbero valutate le mutevoli egemonie urbane dell’ area iblea.

Il Rivelo del 1607 ci consegna  una seconda sorpresa, che smentisce consolidate interpretazioni storiografiche. A differenza della tesi sociologica  tradizionale che insiste sulla prevalenza della “famiglia allargata” nei paesi dell’ area mediterranea, basata sull’ autorità del “pater familias”  e comprendente numerosi figli, nuore e nipoti uniti sotto lo stesso tetto ( penso agli studi di Marzio Barbagli ), Ragusa si presenta invece con una struttura di famiglie nucleari e neolocali : essa conta, infatti, 1395 “fuochi”, ciascuno composto mediamente da 4/5 persone che vivono in autonomia e in abitazioni singole. Genitori e figli, dunque, senza arcaici vincoli patriarcali , secondo una organizzazione moderna della famiglia : il che fa piazza pulita di logore letture “contadiniste” della società iblea e ne mette piuttosto in luce gli aspetti dinamici ed “europei”. Anche in questo caso la “longue durèe” ci consente di capire meglio la rinascita tardobarocca post 1693 della Contea come frutto di una società avanzata, in cui un’ efficiente agricoltura mercantile alimenta una diffusa “rete di città” .

Come terzo elemento di riflessione il Rivelo ci fornisce l’ immagine inedita di  elites aristocratiche  “doviziose”, che anche in questo caso mette in crisi le tradizionali interpretazioni “pauperistiche” della Sicilia. La  ricchezza risulta concentrata nelle  elites nobiliari , ma la sua distribuzione consente comunque la presenza di una solida classe media di borghesia agraria e di professionisti. Su 1395 famiglie, infatti, il 30% ( 427 unità ) possiede beni stabili e mobili per più di 100 onze e nel complesso detiene il 40% del patrimonio totale ( 50 000 onze su 120 000 ). Ma il dato significativo è che la metà dei “rivelanti” dichiara beni per un valore compreso nella fascia tra 50 e 100 onze : “civili” possidenti, notai ed avvocati, commercianti  e impiegati disegnano un profilo inedito di una “middle class”  attiva ed operosa. Esiste anche un artigianato di qualità (  falegnami, carpentieri, sarti,  cordai, scalpellini ) che contribuisce  a sviluppare un modello urbano socialmente stratificato. Alto elemento di non poco conto :  gli “impossidenti” non superno il 15% del totale dei “fuochi”, cosicché  la povertà sembra confinata entro limiti accettabili . I poveri non sono comunque abbandonati a se stessi, poiché le classi “alte”  cercano di prendersi cura delle  classi “basse”  attraverso i circuiti della beneficenza e dell’ assistenza privata. Doti per le fanciulle povere, legati di maritagio e di monacazione, sussidi in natura ed elemosine vengono distribuiti da Confraternite ed Opere pie. Anche per evitare ( ma non sempre è possibile) i pericoli di sommosse e rivolte popolari.

Il Rivelo infine “fotografa” il quadro interessante delle famiglie nobili e ricche della Ragusa preterremoto. Sempre nel 1607 sono solo 35 i nuclei benestanti che con un patrimonio di oltre 1000 onze detengono una quota considerevole delle risorse private. In testa a tutti don Giovanni Arezzo con 4000 onze : ha 30 anni, è sposato con la nobildonna Antonia La Rocca e amministra vaste proprietà a Donnafugata, Meta e Pendente, dove alleva numerosi greggi ovine,  mandrie di bovini e suini che si commerciano con Malta , oltre a tenere centinaia di arnie per la produzione di miele. Il suo palazzo avito era stato edificato a fine ‘500 in Piazza Maggiore dal padre Corrado ed ora vi abitano i figli ed uno stuolo di servitori, compresi quattro schiavi : sotto e nei dintorni tante  “poteghe” e magazzini sono affittati a mercanti ed artigiani. Lo segue a distanza un altro Giovanni Arezzo, figlio di Giulio e con un beni per 1450 onze: ha 32 anni, moglie e tre figli, serviti da sei garzoni, una “creata”  e due schiavi.

Alla potenza economica e politica degli Arezzo si affianca ( talvolta si contrappone ) quella dei Castellett.  Don Scipione ha 47 anni, è secondo in città con 3200 onze : sposato con Maria Di Marco e tre figlie, vive in un grande palazzo al Tocco con estese  tenute a Carcallemi ( 100 salme ) , 40 salme a Renda e diecine di altri appezzamenti  dove si producono grano, carne e latticini . Al Conte di Modica da solo paga annualmente 1000 onze di censi in frumento, oltre a sovvenire le spese di culto in varie chiese e per l’ ospedale. I Castellett rappresentano a quella data il più potente clan familiare, perché nel Rivelo si contano ben 27 esponenti del casato per un patrimonio totale di 14 000 onze ! Le altre famiglie “maggiorenti” di Ragusa sono i Battaglia con 40 “rivelanti” e una ricchezza complessiva  di 4500 onze, i La Rocca con 8 capifamiglia che dichiarano 4200 onze, i Giampiccolo con 8 esponenti e 3000 onze. Ne’ sfigura in tale contesto Giovanni Vincenzo Bellìo fu Tommaso con ben 1700 onze di patrimonio : la sua attività principale è quella di “mutuante” e i profitti bancari alimentano il lusso di figli e congiunti. Altri gruppi familiari sono ancora lontani dai livelli di ricchezza dei 6 casati da me citati, ma sono in piena ascesa sociale :  i Migliorisi con 2900 onze, gli Occhipinti con 2800, i La Lota  con 2000, i Di Stefano con 1800 , i Di Marco con 1400 , i Gurrieri con 1200, mentre sono appena all’ orizzonte le fortune degli Schinina’, Ottaviano, Pennavaria .  Ma il terremoto del 1693 avrebbe profondamente modificato le gerarchie sociali ragusane.

Uccio Barone

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