IL MARSALA? UN VINO IN COMA

Gli ultimi vent’anni hanno visto una rinascita enologica della Sicilia. Una scia di buoni risultati che ancora oggi non dà segni d’arresto.Paradossalmente il vino, che ha fatto conoscere la Sicilia nel mondo, invece, è in declino. Il Marsala, entrato in crisi nel Novecento, non è riuscito più a proporsi come un prodotto di qualità in grado di rivaleggiare con lo Sherry e il Porto.

La sua nascita è legata al nome del commerciante di Liverpool John Woodhouse, che nel 1773, diretto a Mazara del Vallo, dovette sostare a forza a Marsala a causa di una tempesta. Woodhouse ebbe  così modo di assaggiare il vino locale, che gli ricordò il Madera, di cui la Gran Bretagna era stato il consumatore più importante. Decise, quindi, di comprare una partita di questo vino forte e lo addizionò con dell’acquavite, per renderlo più stabile, in modo da poter affrontare il viaggio. Nasceva così il Marsala, un vino che in poco tempo, grazie a Benjamin Ingham, Joseph Whitaker e Vincenzo Florio, sarebbe diventato il vino italiano più esportato nel mondo, rivaleggiando con lo Sherry e il Porto.

Sebbene i vini rinforzati risentano della flessione di richiesta, dovuta a un mercato non più interessato a questa tipologia di vini, lo Sherry e il Porto continuano a essere vini qualitativamente pregiati. Questo perché hanno avuto alle spalle una legge che ne regolamentava la produzione. Diversamente il Marsala che, invece, dovette attendere il 1931, ben oltre un secolo dalla sua nascita. La mancanza di un disciplinare di produzione e il grande successo commerciale ha comportato l’arrivo di molti produttori interessati solo al guadagno, che immisero nel mercato prodotti di livello vergognosamente scadente. Il culmine di questo degrado qualitativo si avrà nel 1969 con il riconoscimento della DOC al Marsala. Il disciplinare del 1969 non fece altro che peggiorare la situazione, avallando solo gli interessi dei produttori: allargamento della zona di produzione a territori totalmente estranei al Marsala; riduzione drastica della durata dell’invecchiamento di tutte le tipologie; imbottigliamento consentito fuori dalla zona di produzione; riconoscimento delle pratiche di produzione allora vigenti e, peggio ancora, autorizzazione all’imbottigliamento come DOC Marsala ai vini aromatizzati all’uovo, alla mandorla e altri.

La Nuova disciplina del vino Marsala del 1984, approvata con tantissime difficoltà, ha cercato di migliorare qualitativamente il prodotto: abolizione dei Marsala speciali, restringimento della zona tipica e obbligo di produzione, affinamento e imbottigliamento all’interno della zona di produzione. Sebbene si sia assistito a un miglioramento qualitativo del Marsala, non si può affermare che questo disciplinare sia sufficiente. Tra i punti negativi vi è l’aggiunta di vitigni come il Damaschino: molto produttivo e poco adatto alla produzione di vini potenti e strutturati.

Il problema che sussiste nel Marsala è, secondo Attilio Scienza, docente di Viticoltura presso l’Università degli Studi di Milano, nel vigneto. Fino a quando, non si punterà a un abbattimento delle rese, a una scelta dei terroir più idonei e all’esclusione di vitigni non indicati per produrre vini strutturati, il Marsala continuerà a essere un trucco enologico. Questo perché, una parte dei vini destinati alla produzione di Marsala manca di potenza e struttura. Per darle le caratteristiche che dovrebbe avere un Marsala si fa il caramello, lo si taglia, lo si alcolizza, e questo è il Marsala? vengono fatti con caramello per dare quella sensazione di invecchiato e bruciato, e vengono aggiunte le mistelle per farlo morbido. È come fare un vermouth. In pratica un vino che potrebbe essere fatto ovunque.

Una nuova modifica più rigorosa del disciplinare è l’unica possibilità per tutelare chi già il Marsala lo lavora bene e per rilanciare un vino che dovrebbe essere un vanto dell’enologia italiana. Solo successivamente si potrà parlare di un’eventuale DOCG.

(Giuseppe Manenti)

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