È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
UNA POLITICA SERIA PER UNA DEMOCRAZIA GOVERNANTE
06 Mar 2011 22:25
Per uscire dalla cieca palude “tattica” di una tormentata e pesante transizione è diventata necessaria una critica forte del cinismo come nuova malattia mortale dell’intero Paese e ripensare alla radice la qualità spirituale della democrazia dei partiti e la loro strategia politica più adeguata alle sfide culturali e politiche.
L’estremismo disinvolto del Caimano diffonde ogni giorno nelle TV e nei giornali che ne sono la prima e letterale cassa di risonanza una dose insistente di irresponsabilità civile attraverso una molteplicità di interventi quotidiani senza filtro (telefonate, apparizioni etc.) fatti per l’induzione al consenso personale e all’assoluzione per grazia ricevuta con la tecnica del martellamento mediatico sulle corde sensibili della paura del peggio a livello civile e istituzionale. Tutto questo accade nel centro di una crisi di “sistema” sia a livello di cultura politica, ormai diffusamente demagogica e permissiva (le notti di Arcore di un capo di Governo), nell’ambito di una forte tensione istituzionale tra i poteri della nostra democrazia costituzionale che vede a livello di un degrado senza precedenti della società civile e diffonde a piene mani un processo perverso di crisi di valori e di conflitti di funzioni, di mortificazione del metodo democratico parlamentare con una governabilità ridotta all’osso (decreti leggi! – richiesta di fiducia!) e lontana mille miglia dai problemi concreti di carattere culturale, economico e sociale che scendono da Roma capitale alle Regioni e alle autonomie locali con il cattivo esempio di un metodo antidemocratico fatto di cooptazioni e di cesarismo leaderistico nelle Istituzioni che si diffonde come costume nel Paese e nella veste dei partiti come nuovo modello del consenso popolare in nome di una pseudo scienza della politica. Siamo passati da una democrazia dei partiti a una democrazia dei leaders.
La doppia crisi istituzionale e sociale va affrontata nei suoi termini essenziali con una coraggiosa rivoluzione copernicana di contenuti valoriali, virtù cardinali e decisioni democratiche nei partiti, cioè nelle istituzioni e nella società, selezionando fortemente priorità e obiettivi di primo scopo, scadenzando tempi e modalità e attivando un processo virtuoso di sinergica corresponsabilità tra mondi vitali ed espressioni istituzionali dello Stato, della Chiesa e della Scuola e dei mass media rimasti “liberi”.
La corruzione della vita pubblica e il profondo corrompersi della politica anche nel modo di sentire comune come finanche nelle aule parlamentari si parla delle feste notturne del Potere e della sua sfida all’opinione pubblica come se esse fossero l’espressione del ventre del popolo. Sulla democrazia italiana e in particolare sulla povera gente e sui giovani soffia il vento di una crisi esistenziale e lavorativa senza sbocco visibile a breve. Ormai c’è una sorta di rassegnata passività nella stessa classe dirigente che ritualisticamente balbetta a giorni alterni ora questa ora quella o tal altra riforma ma non si affronta la questione dirimente dell’egemonia culturale del cinismo in politica e nelle istituzioni e dell’individualismo di massa nella società che è stata modellata come società cinica e consumatrice di una nuova allegra compagnia di politici gaudenti e scialacquatori mentre prima era una sobria “società civica” e ricostruttrice. L’Italia non ce la fa più dopo il lungo leaderismo solitario e delirante di Berlusconi e dei suoi sodali nel governo del Paese a impedire una deriva populista e autoritaria e un rotolante e strisciante neo-fascismo, senza alcune riforme prioritarie interne nei partiti e nel sistema elettorale del Paese. Innanzitutto è urgente bloccare il Federalismo della disunità nazionale e della divisione economica a favore del federalismo della solidarietà nazionale e della reciprocità economica tra Nord e Sud. Bisogna però sbloccare con un sussulto di democrazia e di legalità il sistema elettorale ingessato e corruttore della riforma detta “la porcata di Calderoli”.
La vera ripresa dopo una crisi così profonda e complessiva sarà legata ad una più coraggiosa conversione etica e valoriale e non più alle semplici esortazioni moralistiche rituali perché si aspetta una sconfessione generale della doppiezza teorica e pratica in politica. La politica non è l’arte del tornaconto o della difesa ad oltranza degli interessi privati! C’è un cinismo pesante che ammorba l’esercizio del potere ma c’è un cinismo leggero che come un venticello si intrufola nella società in tutti gli ambienti del vissuto ed è diventato ormai il valore riconosciuto del successo nella vita, nella politica e nella stessa industria. L’asprezza della lotta interna ai mondi vitali è generata da questo male oscuro e anima i conflitti sempre più estesi e difficili da mediare e ricomporre verso obiettivi di bene comune. Il Paese non regge, non ce la fa più. Si parla di federalismo nel momento peggiore di incertezza centrale e di stallo economico, culturale e produttivo alla base. La sfida dei territori tocca non solo Roma “ladrona e gaudente” ma anche la politica economica, fiscale e sociale del governo persino delle regioni e delle aree metropolitane (Milano, Roma …) sino ad un punto di non ritorno. Si stanno chiedendo troppi sacrifici al popolo senza l’esempio di una politica seria e austera al Centro e nei territori. Manca il governo credibile della ripresa e sono assenti da un po’ di tempo gli statisti con senso di responsabilità, lungimiranza strategica e coraggio morale, capaci di pagare di persona per il bene comune. In questa situazione non basta più, non è sufficiente, la tattica dilatoria né la moderazione tipo il decreto “mille proroghe”.
Ci vuole ben altro al centro, nelle regioni, nelle province e nei comuni d’Italia. Abbiamo consumato persino la rendita dell’entrata nell’Euro e gli effetti positivi della politica di concertazione inaugurata dal Presidente Ciampi tempo fa: il debito pubblico cresce e diminuisce nello stesso tempo la quota di futuro per i nostri giovani. Ormai la domanda non è solo di comportamenti coerenti con i valori enunciati ma di programmi operativi e riformatori di lavoro, di scuola e di garanzia di diritto, cioè di cose concrete. Mancano le buone prassi delle cose minime della convivenza, il funzionamento normale e regolare dello Stato delle Autonomie, di garanzia dei servizi istituzionali generali quali scuole, ospedali, etc. Le antiche palestre culturali della socialità, della solidarietà e della legalità diffuse e presidiate dall’etica pubblica che un tempo costituivano l’ethos condiviso, preparavano le dosi progressive del bene comune e garantivano il rinnovo quasi fisiologico della classe dirigente nei gangli vitali del Paese, sono in profonda crisi. Perché ciò sia chiaro è opportuno come esempio indicare una caso del profondo Sud come il distretto del Sud-Est Sicilia con al centro Ragusa. Essa era un miracolo eccellente di cultura e di sviluppo produttivo e culturale endogeno ma ora non tira più come prima, accerchiata come è dal sottosviluppo delle infrastrutture, sempre promesse da Roma e Palermo ma non ancora realizzate dopo un quarantennio (raddoppio della camionale RG-CT, aeroporto di Comiso, porto di Pozzallo, ferrovia elettrica a doppio binario RG-CT, autoparco di Vittoria, etc.).
I sogni stanno finendo e le speranze di futuro con essi. La Ragusa dell’oro nero, dell’oro verde, del primato zootecnico, bacino culturale “barocco” e patrimonio UNESCO dell’Umanità si vede allontanare dallo sviluppo auto propulsivo mentre prima ne era il fiore all’occhiello della Sicilia e dell’Italia nel dialogo euro-mediterraneo per il dinamismo delle sue sperimentazioni agro-alimentari. Catania per miopia politica non ha fatto crescere l’autonomia dell’Università di Ragusa … ne ha solo accompagnato la fine … Ragusa non tira più come prima, attende una classe dirigente affidabile, competente e più adeguata alle sfide del presente e del futuro. Il discorso riguarda l’intero meridione e la malattia mortale è ancora il leghismo questa volta di imitazione e di esportazione come il trasformismo “autonomistico” di Raffaele Lombardo che è una spugna assorbi tutto e di quanti indeboliscono nelle altre regioni del Sud i processi di rinnovamento reale nella legalità e nella trasparenza dei territori della Sicilia, della Calabria e della Campania, etc. Il discorso riguarda la responsabilità di tutti i partiti e della stessa società civile meridionale nella reciproca corresponsabilità e infecondità per mancanza di democrazia, serietà e autorevolezza nello spezzare la logica secolare gattopardesca e ascaristica.
Ci sono in verità in tutti i mondi vitali e nei partiti come associazioni democratiche di mediazione e di elaborazione di proposte di bene comune antichi problemi di fondo, di merito, di contenuti valoriali, di obiettivi strategici e di metodo coerente e compatibili che è opportuni analizzare per rispondere all’appello di Papa Benedetto XVI nella sua visita pastorale a Cagliari nel quale auspicava nel mondo del lavoro, dell’economia e della politica “una nuova generazione di laici cristiani impegnati” e “capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile” (Cagliari, 7 settembre 2008).
Consideriamo ad esempio il caso del Pd ma il discorso vale per tutti: PDL, Terzo Polo, etc.
Anche il Pd si trova nella palude della tattica con una leadership divisa e incerta, debole e inadeguata in mezzo alla crisi della politica nella Società e nelle Istituzioni.
L’incertezza non riguarda più e soltanto la strategia delle alleanze, ma soprattutto quella della laicità sana e positiva che rischia di diventare il nodo interno ed esterno non sciolto come se fosse la vocazione solitaria della corrente cattolica del Partito che recita e partecipa al gioco della laicità come neutralità assoluta che in una società multiculturale ha un valore solo di tolleranza esemplare ma non di prassi intelligente di convivenza e di relazione. La vecchia politica fatta di riti, di silenzi interni e di risse di potere ci ha portato ad uno stato confusionale e ad una piatta imitazione di paradigmi e modelli esterni. Spesso “chi sa non parla e chi parla non sa” come diceva Laotse. Si predica bene ma si razzola male nelle istituzioni. Scorrazza la chiacchiera e con le chiacchiere non si fa politica e non si costruisce il nuovo campanile con la Piazza intorno.
Come dice il proverbio rabbinico: «il sapiente sa quel che dice; lo stupido dice quel che sa». Si sbrodolano analisi e si nascondono gli obiettivi, il confronto è dato per scontato e non è centrato e determinante in ordine alle decisioni democratiche. Saccenteria, presunzione e boria accompagnano molti comportamenti. Non abbiamo bisogno solo di più gambe e di tribù ma di pacificazione interna di un movimento politico di vera democrazia con un aumento delle teste pensanti, di più creativi e di maggiore capacità critiche. Non dobbiamo vincere una partita a scacchi con la morte come nel famoso film di Ingrid Bergman Il settimo sigillo, ma una lotta per una buona vita politica: un Pd pensante, coerente e critico è più importante di un Pd muscolare, arrogante e ignorante. Se il Pd vuole essere forza viva di un movimento democratico popolare deve diventare al suo interno luogo e fattore esemplare di unità democratica costitutiva e permanente, una grande assemblea partecipata di politica di bene comune, una discontinuità del pensare e fare politica, una frequentata e ordinata fucina di rinnovamento programmato della classe dirigente del partito e delle organizzazioni collaterali. Abbiamo in parte importato e omologato il ventre della politica del basso impero anche se non ancora la suburra: il berlusconismo come modello di apparire al posto di essere, di fare al posto di studiare, un leaderismo solitario, demagogico e populista invece di una leadership diffusa e plurale, condivisa, coordinata e virtuosa. La sirena non è stata solo il berlusconismo ma anche il relativismo culturale e pragmatico in politica che ha omologato le differenze tra destra, sinistra e centro con una semplificata politologia affrettata e sbrigativa.
Abbiamo “annerito” i nostri colori e i nostri valori e scolorito le differenze e le virtù politiche, sino al punto che la gente dice: “Sono tutti uguali!”. L’altra sirena che si è diffusa nella nostra realtà meridionale è l’autonomismo del leghismo del Sud, che è l’altra faccia del revisionismo storico dell’unità nazionale con la quale si nega nel Sud lo spirito risorgimentale e il senso del glorioso Statuto siciliano e delle sue antiche tradizioni. Molti dirigenti Pd ci hanno lasciato per approdare nella stiva della nave di Raffaele Lombardo. Dobbiamo fare autocritica come classe dirigente del Partito, soprattutto a partire dall’on. Pippo Di Giacomo e dall’on. Zago, dall’on. Cracolici, ecc. Ormai ci rivolgiamo alla gente (categoria astratta!) ma non ai lavoratori, ai giovani e alle donne, alle persone umane come soggetti e protagonisti della politica. Non contano più i drammi della loro condizione ma i voti. Cerchiamo oggetti per il contenitore elettorale del Partito. Esiste una forma sottile di bullismo ed è quello politico nel Partito e nelle Istituzioni quando non si dialoga e non si favorisce la ricerca del bene “comune”. L’analisi ci costringe a guardare nello specchio i nostri limiti e le nostre facce. Non abbiamo forse favorito due o tre cerchi soffocanti la democrazia interna come i notabili nelle periferie, la riproduzione delle oligarchie al centro nazionale, regionale, provinciale … e lo sfogo giovanilistico del sottovuoto di idee e progetti impedendo un saggio e programmato rinnovamento. In verità il vero errore non è solo il fenomeno ma la causa che lo riproduce: la politica come professione di lungo corso e non come servizio di breve e funzionale mandato in quanto esercizio “a turnazione” di una vocazione politica universale. C’è spazio per la nuova categoria politica di saggi accompagnatori e consulenti con pieno diritto di parola e un influente potere di selezione. Gli avversari interni ed esterni a questo punto assumono lineamenti precisi e chiari nei comportamenti politici prevaricatori o accompagnatori.
Entriamo nel merito della terapia.
Se si prendono lucciole per lanterne, come i luoghi nel partito e nella società ragusana si scambia l’effetto con la causa. Non ci vogliono aree tematiche come vie di partecipazione. Basta l’assemblea democratica aperta e i convegni periodici di elaborazione di specifiche linee politiche. Ci vuole un centro studi di orientamento e formazione di persone preparate e qualificate come luogo di selezione e crescita della classe dirigente, di elaborazione e di proposizione di ipotesi progettuali di bene comune nella Società, nella Scuola, nella Sanità, nell’etica dell’integrazione e della presenza istituzionale. Il laboratorio democratico è in questo senso il tavolo dello sviluppo auto propulsivo del partito e della società come comunità di valori e di interessi collettivi. Fare cultura, fare politica per quale città, per quale società, per quale sviluppo economico e sociale? Con quali centri di ricerca teorica e applicata, attorno a quale Università il distretto auto propulsivo e sinergico del Sud Est Sicilia, potrà riferirsi per produrre lavoro e ricchezza e fare formazione professionale sia per le occupazioni in atto esistenti che per quelle da creare (l’esempio della Camera di Commercio con cui viene avviato un corso di scultura con il Maestro Criscione). Così i nuovi lavori non dimenticano i vacchi e la socializzazione lavorativa si arricchisce anche degli antichi mestieri in via di sparizione.
L’Università della terra-patria “globale” deve poter parlare, comunicare, pregare e seminare in molte lingue e in diverse aree del Mediterraneo e del mondo. Ci si arriva consolidando e radicando l’esistente. Ragusa purtroppo è diventata una “città grigia”. Prima era una città formica, ora è una città sprecona. Scavava e accumulava, pensava in grande, seminava e costruiva. Ora rischia di intristire nel trasformismo e di perdere la sua identità di città buona e accogliente, ordinata e pulita, aperta al futuro, che ama i suoi ragazzi e investe sui valori della fede e della cultura per il suo sviluppo economico e sulle virtù della sana democrazia e il progresso sociale e civile. Non è stata nel passato una città avara ma sobria e parsimoniosa sia in economia che in politica. La moderazione di Ragusa non è mai stata vocazione popolare alla conservazione e al fascismo ma rifiuto di ogni forma di dittatura personale o di tribù ma ha avuto sempre rispetto profondo per i propri benefattori, religiosi e politici, per gli amministratori e per gli intellettuali che si sono impegnati e sacrificati per farla grande in Italia e nel Mondo. Per questo dopo il ventennio fascista è risorta come città più democratica, colta e popolare. Qualcuno dirà: “Non ci vuole filosofia, ci vogliono voti per cambiare Ragusa”. Ma ci vogliono DSS. (Democrazia, Studio e Sacrificio). Il potere senza occhi è cieco e pericoloso come gli occhi senza realismo delle forze in campo servono per sognare di giorno e di notte. I programmi sono utili ma la capacità programmatoria, cioè performativa di incarnazione dei valori caratterizzanti e qualificanti, è decisiva. Senza un giudizio politico, pensato, articolato e fondato si cade nella sommarietà generica e insignificante e non si coglie il valore e il senso delle candidature di responsabilità alternativa. La via del potere non è la quantità ma la qualità della classe dirigente che si verifica nei suoi metodi di consenso e di merito e nei suoi progetti di scopo, nella capacità di dialogo popolare, semplice nel linguaggio ma profondo e convincente nel contenuto. Gli intellettuali non sono i consulenti prezzolati del Principe ma luci vicine del progettare e realizzare insieme. Il partito non è una Spa di nascita, censo e potenza … La discrepanza tra situazione e scopo è andata crescendo come la vita interna che è piena di trattative private, con la partita doppia e il peso dei conti. Che fare? Vedere le luci, delimitare le ombre, determinare meglio in concretezza i progetti realizzabili in quanto sono scopi compatibili e adeguati.
La nostra vicenda non è tanto singolare, quanto paradigmatica a livello etico e non solo politico. Siamo nati da un sogno antico, siamo cresciuti in un progetto utopico ma non avendo sciolto la dimensione strategica né il nodo del metodo politico ci siamo impantanati in uno stallo schizoide riproducendoci come i partiti del passato in una spirale di correnti e di tribù. Nati dalla discontinuità per una fusione ideale e strategica abbiamo invece confuso esperienze culturali e metodi riproducendo il peggio del passato, cioè la continuità delle nomenclature e delle oligarchie, la riduzione della democrazia alla forza dei numeri. Il partito come i vecchi partiti rischia di essere come nel passato l’armata delle anime morte in mano a qualche furbetto di periferia. La logica prevalente e indotta è quella della partecipazione agli organismi per libera scelta senza cooptazioni soffocanti di eserciti che occupano lo spazio delle decisioni e assegnano risultati scontati e programmati alle deliberazioni. Chi introduce una riunione è spesso prolisso e stordisce, non pone questioni da approfondire e risolvere. Gli interventi, spesso già programmati, arrivano tardi quando l’uditorio è stanco e si approssima la fine della riunione. Si gestisce tutto alla carlona. Si concepisce l’organismo decisionale come un vuoto da riempire di volontà di semplice ratifica che non ha propri obiettivi da realizzare e da programmare.
Solo la democrazia come valore spirituale con la pratica della maggioranza qualificata dei 2/3 può favorire l’emergere della meritocrazia nel partito e può costringere moralmente tutti a pervenire alla gestione unitaria finalizzata in un triennio ad un ricambio fisiologico e qualificato della classe dirigente non solo a Ragusa ma in tutto il Partito a livello nazionale.
Il nodo antropologico che è alla base della grande avventura progettuale del Pd è la convivenza dialogica di credenti e non credenti per pervenire ad una sintesi laica ma non laicista né agnostica di prospettive valoriali e di contenuto di bene comune nelle quali ciò che è morale sul piano religioso o razionale è valorizzato e incarnato, testimoniato a livello pubblico e non solo privato ma non imposto in base alla forza dei numeri. Ciò che è peccato non è reato sul piano legale ma per il credente ciò che è reato è sempre oggettivamente peccato e ciò che è peccato sociale (Rubygate) va giudicato anche dall’etica pubblica e non solo dal comune senso del pudore che è storicamente variabile. I cittadini democratici obbediscono ai valori vincolanti e sobri della Costituzione Repubblicana, non sono puritani alla maniera anglosassone ma “eticamente sensibili” ai valori comuni e condivisi della fede e della ragione presenti nella Carta Costituzionale. I cattolici ad esempio sono convinti che se siamo tutti, credenti e non credenti, dotati di fede e ragione e di una comune onestà intellettuale non possiamo avere solo la terra per madre senza avere Dio per padre e questo vale anche per gli atei.
E’ chiaro che con questi termini (terra, Dio padre) si possono intendere contenuti immanenti o trascendenti, solo razionali o religiosi di tipo rivelato (cristiano, mussulmano, ebraico). Nel Pd convive la casa delle due fedi, quella razionale e quella religiosa ma la laicità positiva e piena non si ispira al “no no ma all’et et”. Oggi le due fedi sono separate in casa e incapaci di elaborare da una comune visione antropologica aperta una progettualità politica condivisa, concreta ed efficace. Non basta il compromesso verbale di nuovo conio tra matrici culturali e storiche diverse sia dei cristiani che dei marxisti. Ci può aiutare a riflettere dialetticamente e proficuamente la prospettiva di Edgar Morin di Terra-patria (Cortina, Milano 1994) nella quale si afferma la necessità di una casa comune e la costruzione di essa in un giardino comune con un senso laico di fratellanza che può essere assunta anche dai credenti e superata ma non mortificata sul piano della trascendenza.
In questo senso la democrazia fraterna è l’approdo della solidarietà strutturale e, così come si dice nell’art. 3 della Costituzione Repubblicana, ha una valenza universale e costituisce in particolare l’anima dell’identità democratica, laica e cattolica, del popolo italiano e dovrebbe esserlo di tutti i partiti di ispirazione costituzionale.
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