TERREMOTI E NOTIZIE

Quando accade,  una calamità naturale scala la graduatoria delle priorità giornalistiche e si assesta per qualche tempo al primo posto. Per restarci un tempo variabile ma consistente fino a che non divenga obsoleta.

La prima cosa che bisognerebbe chiedersi è: come possa diventare obsoleta la condizione di bisogno, di incertezza, di provvisorietà degli scampati e come – soprattutto – possa diventare obsoleto il loro dolore per le perdite subite. Questi sono i misteri del “fare notizia”.

Parliamoci chiaro: se uno legge un libro, si annoia o si appassiona al punto da non riuscire più a staccarsene fino alla fine della lettura, traendo da quel libro qualcosa che cambia (poco o molto) la propria visione del mondo; se uno legge un giornale, frulla quello che legge dentro la testa e con un movimento inequivocabile del capo se lo fa scendere nella pancia restando esattamente quello che era, né più né meno. Questo per dire della scala di misura.

Detto questo e dunque rassegnandoci alla natura dell’informazione (stampata o televisiva poco importa, il meccanismo è lo stesso), facciamo due scarne considerazioni.

La prima riguarda l’etica del “fare notizia”, vale a dire la possibilità (la necessità?) di fare questo lavoro ispirandosi a un codice di valori condiviso e coerente. Ad esempio: è giusto indugiare più di tanto sull’immagine di una persona ferita, offesa, mutilata, disperata? Quale può mai essere il suo grado di utilità rispetto all’obiettivo del “far sapere” agli altri?

La seconda riguarda l’”estetica” del fare notizia, vale a dire la necessità (la possibilità?) di trasformare il dolore in spettacolo, ovvero in audience e in share. Ad esempio: quale può essere la differenza fra le lacrime della gente intervistata o anche solo ripresa nel contesto reale del sisma e quelle delle persone che partecipano a un reality della De Filippi?

La logica che governa la comunicazione giornalistica svela sovente la falsa coscienza da cui è mossa nel suo procedere per salti, in un continuo spostarsi da un argomento ad un altro, fuori da ogni narrazione possibile che non sia quella imposta dai meccanismi dell’ideologia dominante:  5 minuti al terremoto in Emilia, poi subito dopo la crisi dei partiti, poi il rituale liturgico dei mercati e delle borse, poi qualche spruzzetto di cronaca e infine l’aggiornamento sul terremoto in Emilia.

E del terremoto a L’Aquila chi ne parla? Mica è finito?

E del fatto che un governo di “tecnici” adotti la soluzione geniale di far pagare i costi del terremoto alla pompa della benzina, che idea ci facciamo?  Si sente mai una parola sulla possibilità che si finanzi l’emergenza in Emilia e poi la ricostruzione prelevando l’uno per cento dai patrimoni di tutti coloro i quali hanno un reddito superiore a 500.000 euro?

Per questo bisogna tornare a leggersi un buon libro!

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