È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
LOTTA POLITICA O OPERA DEI PUPI
28 Apr 2017 18:30
Il presente articolo è una mia riduzione e reintitolazione dell’articolo pubblicato sull’opuscolo edito dagli organizzatori del 3° MOTORADUNO NAZIONALE ‘MONTI IBLEI’ del 1988 col titolo I DISORDINI DI RAGUSA DEL 4 SETTEMBRE 1922 di Giovanni Schembari, cancelliere al tribunale di Ragusa ed appassionato di storia locale, nonché mio parente.
I fatti che racconto sono veri, non i nomi di coloro che vi presero parte, dei quali do indicazioni convenzionali per evitare che i protagonisti, se qualcuno sia ancora in vita, o i loro discendenti si possano identificare.
Ragusa, nel 1922, è in mano alle due fazioni politiche, socialista e fascista, in conflitto fra di loro e la prevalenza dell’una sull’altra significa violenza contro le persone e le cose.
La sera di domenica 3 settembre 1922 quattro giovani socialisti, Razio Pagnuzza, di anni 25, Mario Pinti, di anni 22, Angelo Defano, di anni 19, e Peppe Buccalieri, pure di anni 19, tutti picconieri, si trovano in via Santa Maura e, “per come è costumanza” (espressione dell’epoca), suonano e cantano. Sono sotto la casa di Ciccio Toglieri, di anni 33, socialista, già impiegato alla miniere della Soc. A.B.C.D., da cui è stato licenziato e questi, dal balcone, si gode la serenata dei compagni. Nel frattempo perviene Ciccio Promesso, di anni 19, invalido di guerra, decorato al valore, fascista, cameriere. Sta per rincasare, infatti abita al piano di sotto del Toglieri. Alla vista dell’avversario e su stimolo del Toglieri, i suonatori intonano “Bandiera rossa”. Promesso si sente provocato e, da fascista giovane, forte e gagliardo quale è, intima ai quattro di cessare quella musica e rivolto al Pagnuzza: «Il cappello e il vestito te li ha fatti Maruzza Lestra» (costei era una nota prostituta). E l’altro: «E a te ti mantiene il fascio». Così dalla musica si passa alle parole e da queste ai fatti. Nella colluttazione Buccalieri e Promesso si portano presso un bastione alto circa due metri da cui Promesso cade e ne rimane quasi tramortito. I socialisti si dileguano. Il Promesso, riavutosi, si precipita al caffè “Orientale”, covo dei fascisti, e racconta l’accaduto ai camerati, quindi si fa visitare dal Dr. Giovanni Tumino che giudica le lesioni guaribili in quindici giorni.
Il giorno dopo, alle ore 9,40, si presentano nell’ufficio di P.S. il cav. Pietro Felini, ras fascista, accompagnato da un manipolo di camerati e denunzia quanto era accaduto al Promesso. Il vice commissario Salvatore D’Agata assicura che giustizia sarà fatta, invita alla calma e ad avere fiducia piena e completa nell’azione dell’autorità.
Sull’altro fronte si prepara la difesa. La roccaforte dei socialisti è nell’abitazione dei fratelli Orsis, in via Vittorio Veneto. E qui, infatti, si rifugiano, in cerca di scampo, il Toglieri e compagni. E, proprio attorno alla casa madre dei socialisti, si agglomerano, pronti a dare battaglia, due folti gruppi di fascisti, uno guidato dal cav. Pietro Felini e l’altro, la squadra delle camice nere di Ragusa Ibla al completo, guidato e diretto da Vanni Gratassi. Ed è anche qui che si asserraglia la forza pubblica, al fine di impedire la fuga degli autori delle lesioni al Promesso e di tutelare l’abitazione degli Ortis da eventuali rappresaglie.
I fascisti allora cambiano tattica, ed, eludendo l’attenzione delle forze dell’ordine, “scoccano” (espressione usata negli scritti dell’epoca) in piazza Umberto I, oggi piazza San Giovanni, ed, entrati nei sodalizi della Camera del lavoro, della Lega dei picconieri e della Lega operai, rapidamente vi sottraggono alcune sedie, qualche quadro e qualche tavolo e li ammucchiano sulla piazza. Angelo Meccia li cosparge di petrolio e vi appicca il fuoco. Sopraggiungono con celerità le forze dell’ordine comandate dal D’Agata e, con altrettanta celerità, fascisti, simpatizzanti e curiosi si dileguano. Alcuni però vengono individuati, tra cui il cav. Felini e il Meccia.
Il fronte dei fascisti, ripiegato dalla piazza, non demorde e si porta in via Sant’Anna dove assalta e danneggia la sede della Lega dei contadini. I devastatori vengono colti con le mani nel sacco, bloccati, arrestati e denunziati “quali autori e complici di danneggiamento ai sensi dell’art. 424 del codice penale (di allora) con l’aggravante dell’art. 425 per il numero delle persone”. Sono, in tutto, diciassette e fra questi il Gratassi.
Non si possono fare due pesi e due misure, bisogna anche procedere al fermo degli aggressori del Promesso. Viene incaricato il maresciallo Colletta che recatosi in casa degli Orsis trova il Toglieri che viene tradotto in caserma, gli altri aggressori si sono dati alla latitanza. I fratelli Nino e Pino Orsis vengono denunciati per favoreggiamento. Fatte le registrazioni di rito vengono tutti rilasciati tranne il socialista Toglieri e il fascista Gratassi.
Perché proprio loro e soltanto loro due? Forse, per capirlo, è il caso di guardare non tanto al loro ruolo nella dinamica dei fatti quanto alla loro vita.
Il Toglieri, seppur ne ha dato la stura, non ha partecipato materialmente all’aggressione del Promesso ma è un tipo alquanto bizzarro, stravagante e fanatico. Di statura media, magrolino e con le spalle curve, suole andare in giro con cravatta nodo a fiocco e svolazzante e con un robusto bastone e non certo per sostegno. Ha parecchi precedenti penali e in cella è di casa.
Il Gratassi, anche lui di 33 anni, diplomato, ha servito la patria in guerra anche se non con onore avendo “abbandonato il posto in faccia al nemico” e, per ciò, condannato dal tribunale militare di guerra, l’11 marzo 1917, per i reati di codardia e porto abusivo di distintivi, alla pena di mesi dieci di carcere militare.
Il Toglieri scrive al procuratore del re, invocando la libertà affinché con “un atto di giustizia lo restituisca ai suoi tre bambini che da lui aspettano il pane e l’amore”. Dice di non capire e di non sapere perché è tenuto in carcere. “Forse sono reo di essere socialista? Non nego di essere socialista ma proprio il socialismo mi trasse dal fango in cui vissi la mia gioventù e mi restituì al rispetto e all’amore”. Viene scagionato da Ciccio Promesso che, in data 22 settembre, si querela invece contro Razio Pagnuzza, Mario Pinti, Angelo Decano e Peppe Buccalieri per le lesioni subite. E, nonostante ciò, la libertà gli arriva dopo oltre un mese e precisamente il 24 ottobre.
Il Gratassi chiede la libertà provvisoria che gli verrà concessa il 12 dicembre 1922.
In mezzo a questi frangenti: provocazioni, lesioni, danneggiamenti, incendi e arresti emerge un episodio tragicomico che merita d’essere riferito. L’arma dei carabinieri, probabilmente per assumere informazioni da riferire a qualche pubblica amministrazione, va in casa del giovane Vincenzo Furnò. Il giovane non è in casa. I familiari si allarmano. Vincenzo, messo al corrente, non si sente tranquillo e si rifugia presso la “la casa madre” ovvero l’abitazione degli Orsis. Vi pernotta la sera del 5 settembre e l’indomani, di buon mattino, fugge e si rifugia, in compagnia di certo Vannuzzu Di Natale, in una grotta in contrada Cuttulidu. Qui vengono sorpresi dai carabinieri i quali, senza mezzi termini, li ammanettano e li conducono in caserma. Poiché totalmente estranei ai fatti verificatesi in quei giorni e, non avendo alcuna pendenza penale, vengono rilasciati. Restano tuttavia assicurati alle patrie galere per qualche giorno, in attesa dell’esplicazione degli opportuni accertamenti.
Nel frattempo c’è la marcia su Roma e Mussolini, chiamato dal re, assume, il 30 ottobre del 1922 l’incarico di Capo del governo italiano.
Il processo per i fatti di Ragusa del 3 e 4 settembre viene formalmente istruito ed il giudice istruttore del tribunale di Modica, il 28 febbraio 1923, su conforme richiesta del pubblico ministero: a) ordina il rinvio a giudizio di Razio Pagnuzza, Mario Pinti, Angelo Decano e Peppe Buccalieri per rispondere del delitto di lesioni gravi in danno di Ciccio Promesso; b) dichiara di non doversi procedere, per insufficienza di prove, a carico di Ciccio Toglieri per il reato di lesioni e di Pino e Nino Orsis per il reato di favoreggiamento; c) dichiara di non doversi procedere contro tutti i fascisti per i delitti di danneggiamento, incendio e minaccia essendo coperti da amnistia concessa con regio decreto del 22 dicembre 1922, poiché è manifesto che i “fatti costituirono episodi ed esplicazioni della lotta politica a fine schiettamente nazionale, mossa e mantenuta sempre viva dal partito fascista contro gli elementi sovversivi”.
Il processo dibattimentale a carico dei quattro socialisti tuttavia non si celebrerà in quanto questi possono beneficiare di altra amnistia emessa con decreto in data 31 ottobre 1923 per cui, il 7 novembre 1923, il tribunale di Modica assolve i quattro suonatori di via Santa Maura dal reato di lesioni personali in danno di Ciccio Promesso perché estinto per amnistia.
Ma la storia non termina qui, avrà ancora un seguito.
Come sappiamo c’è la seconda guerra mondiale e il fascismo non sopravvive ad essa.
Il 27 luglio 1944 Umberto di Savoia – che ha avuto affidata dal padre, il re Vittorio Emanuele III, la luogotenenza generale del regno – emette un decreto col quale revoca le amnistie concesse dal proprio genitore negli anni 1922 e 1923, limitatamente ai delitti commessi per motivi fascisti. In virtù di tale provvedimento il tribunale di Modica revoca l’amnistia concessa sia ai fascisti che ai socialisti della nostra storia. Per questi ultimi trattasi di svista – il loro non era un delitto per motivi fascisti – subito corretta con una revoca della revoca.
I fascisti, quelli ancora vivi e presenti, vengono invece processati. Il dibattimento, celebratosi il 6 luglio 1945, vede un grande afflusso di persone, in buona parte antifascisti e curiosi. Gli imputati si dichiarano innocenti, i testimoni, compreso il D’Agata, nel frattempo passato da vice a commissario, non ricordano bene i fatti a causa del tempo trascorso. Il tribunale esclude il reato di incendio in quanto di entità esigua e tale da non costituire pericolo per la incolumità pubblica, omette lo scasso e prende in considerazione soltanto il danneggiamento che, non prevedendo pene superiori a tre anni, è prescritto e pertanto assolve gli imputati. Il Pubblico ministero si appella.
Nel frattempo, col referendum del 2 giugno 1946: 12.718.641 italiani votano per la repubblica e 10.718.502 per la monarchia, il re va in esilio e l’on. Enrico De Nicola assume l’incarico di capo provvisorio dello Stato repubblicano. In questo contesto matura l’idea di una pacificazione del popolo italiano e, il 22 giugno 1946, viene emanato un decreto presidenziale che concede l’amnistia per tutti i delitti commessi per motivi politici. In virtù di tale provvedimento la Corte di appello di Catania dichiara di non doversi procedere contro i fascisti della nostra storia per essere il reato loro ascritto estinto definitivamente per amnistia.
Così questa lunga vicenda conflittuale tra le due fazioni politiche, socialista e fascista, ragusane termina senza vincitori e senza vinti.
Ragusa, 6 dicembre 2008
Ciccio Schembari
Pubblicato sul numero 41 / 2008 “Le mie prigioni” della rivista on line www.operaincerta.it
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