Le disuguaglianze socio-sanitarie, tra approccio epidemiologico e programmazione delle politiche. Articolo di Giuseppina Pavone

Le disuguaglianze socio-sanitarie, tra approccio epidemiologico e programmazione delle politiche

Riflessioni in premessa

di Giuseppina Pavone
Specialista di Politiche Sociali

La complessa, impegnativa e drammatica situazione prodotta dal CORONAVIRUS solleva perplessità non di poco conto sulla sua possibile evoluzione, oltre che legittime preoccupazioni per le mal definite prospettive di una soddisfacente risoluzione dei problemi correlati. Il rilievo di questi aspetti risulta amplificato dalla percezione di una precarietà generalizzata che riguarda tutti i settori della vita del Paese, da quello politico a quello economico, sociale, organizzativo e delle risorse disponibili. In atto, stiamo sperimentando i ‘limiti’ della capacità di risposta alle esigenze che risaltano da questo evento traumatico inedito. Ancora una volta ci si ritrova ad intervenire ‘sull’emergenza’, con una sistematicità impressionante e sembra che gli eventi passati non insegnino nulla,  si è sempre impreparati.

Certamente ci si attiva in caso di ‘emergenza’, ma si può solo tentare di intervenire sul danno evidente, si fa di tutto per mettere una ‘toppa’, per dimostrare che si è competenti ed efficaci, ma si tratta di tentativi illusori e i problemi di fondo vengono solo marginalmente sfiorati, quindi meno che mai risolti: “l’attivismo frenetico dell’emergenza” finisce con l’essere un alibi per il disimpegno e la superficialità precedenti!

Ma questa grave emergenza sanitaria, se da una parte sottolinea, ridefinendola, la dialettica uguaglianza-disuguaglianza (il virus si comporta come una sorta di ‘livella’, non discrimina e non va per privilegi), nello stesso tempo richiama l’attenzione su una indiscutibile realtà: l’«uguaglianza esistenziale» che ne deriva s’innesta su condizioni di marcate precarietà socio-economiche per determinate fasce di popolazione e in determinate aree, amplificandone la portata ed evocando, in chi ha memoria storica, esperienze e vissuti che riportano indietro di decenni!

Nascono spontanee alcune considerazioni.

La cultura della prevenzione stenta ancora ad attecchire come modello di pensiero condiviso, specialmente nella mentalità di chi amministra: crollano i ponti, deragliano i treni, franano i terreni, le ricostruzioni post-terremoto diventano storie pressoché secolari (il Belice docet…), il degrado sociale e le associate condizioni di povertà si cristallizzano sempre più. Risale al 1952 il primo rapporto della Commissione ministeriale ad hoc istituita per lo studio della povertà in Italia e oggi siamo ancora qui a parlarne, ad osservarne le conseguenze e, in non rare situazioni, a viverle!

Quello della povertà (ma anche delle correlate disuguaglianze sociali) è problema annoso e mai seriamente affrontato. Emergono nuovi bisogni, nuove povertà, ma vi si fa fronte con vecchie soluzioni da tempo non più adeguate, di stampo pur sempre ‘assistenzialistico’, retaggio di un Welfare lacunoso e, per certi versi, lesivo della dignità della persona.

Non è estraneo a tale realtà la complessità delle condizioni prodotte dagli inevitabili processi che la globalizzazione ha attivato e che alimenta, con ritmi evolutivi pressoché inarrestabili.

II progresso, soprattutto scientifico e tecnologico, è stato (ed è) il volàno di una crescita vertiginosa di livello mondiale; la conseguente globalizzazione della comunicazione (di informazioni, di persone, di merci, di idee, di modelli di pensiero, ma soprattutto di … potere), agìta in maniera non sempre razionale, a volte sconsiderata anche sul piano delle scelte politiche, ha prodotto non pochi guasti a carico degli equilibri non solo economici, ma anche, conseguentemente, nella fruizione di parti delle attività produttive, che, parcellizzate e delocalizzate, ridisegnano la mappa della distribuzione delle risorse, nell’illusoria prospettiva del miglioramento delle condizioni di vita.

Nella realtà, le ricadute non sono state delle migliori, perché (paradosso della globalizzazione!) al crescere dell’economia mondiale non diventano protagonisti “i piccoli” (come si ipotizzava dovesse avvenire), ma questi piuttosto si sono viste ridotte all’osso proprio quelle risorse che in passato rappresentavano la struttura portante dell’economia stessa: le competenze tradizionali e il know how fatto di ingegno creativo e di industriosità. Il risultato è che oggi i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri; la corsa al potere (politico, economico, sociale …), ormai senza freni, fa perdere di vista la dimensione etica della persona, sostituita dalla dimensione del dominio e del controllo ‘tout court’ da parte di chi ritiene di avere in mano le redini del mondo intero.

E l’umanità si scopre inerme, indifesa e fragile!

Abbiamo costruito un gigante dai piedi di argilla, però, se un quasi invisibile virus, un  microscopico aggregato di materiale biologico, nemmeno in grado di trasformare il cibo attraverso il metabolismo o riprodursi da solo, sulla cui inclusione tra i veri viventi c’è molta incertezza tra gli stessi studiosi, si è dimostrato capace di  rivoltare il mondo come un calzino.

Tutto ciò ci dovrebbe far riflettere e non poco! Ma soprattutto dovrebbe fare riflettere gli Amministratori: la “programmazione” va fatta a monte e in tempo utile, non … sul latte versato!

“Programmare” non significa fare una ‘scaletta’ delle cose da fare: comprende un insieme di attività di scoperta, di ricerca, di verifica e di controllo, con cui l’organizzazione determina le finalità e guida il processo decisionale per la individuazione di interventi razionali e per il controllo dei risultati, orientando e coordinando il sistema alla realizzazione dello scopo.

La complessità di tale impegno, oltre che competenza professionale, richiede l’assunzione di una mentalità di tipo epidemiologico che consente di rilevare eventi significativi connessi allo stato di salute della popolazione (salute, nel senso ampio del termine), evidenzia le correlazioni tra le determinanti  di ordine soggettivo, oggettivo e ambientale, fornendo chiavi di lettura utili per l’interpretazione e  la contestualizzazione, in una visione globale e integrata del concetto stesso di salute.

In tale ottica, nessun programma che voglia porsi in questa direzione può riguardare separatamente l’ambito sanitario e l’ambito sociale, essendo questi tra loro integrati, pur nella loro complessa articolazione di elementi, come molteplici nodi di una stessa tela (cfr immagine).
(segue)
©Giuseppina Pavone

 

© Riproduzione riservata

Invia le tue segnalazioni a info@ragusaoggi.it