LA SEPARAZIONE DEI POTERI

L’articolo 16 della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo stabilisce: “La società in cui non sia assicurata la garanzia dei diritti e neanche sia sancita la separazione dei poteri è priva di Costituzione”.

Il principio della separazione dei poteri fu elaborato in maniera semplificata come armonia dei poteri da Charles Louis de Secondat, barone di Montesquieu (1689 – 1755) ed è divenuto successivamente quasi un dogma delle moderne democrazie; anche se l’idea che la divisione del potere tra più soggetti sia un modo efficace per prevenire derive autoritarie è molto antica nella cultura occidentale: nella riflessione filosofica sulle forme di governo della Grecia classica, il cosiddetto governo misto era visto come antidoto alla possibile degenerazione delle forme di governo “pure”, nelle quali invece tutto il potere è concentrato in un unico soggetto. Platone, ne La Repubblica, parlava di indipendenza del giudice dal potere politico. Aristotele, nella Politica, pensava ad una forma di governo misto, da lui denominata politìa, nella quale confluivano i caratteri delle tre forme semplici da lui teorizzate (monarchia, aristocrazia, democrazia); distingueva, inoltre, tre momenti nell’attività dello stato: deliberativo, esecutivo e giudiziario. Polibio, nelle Storie, indicò nella costituzione di Roma antica un esempio di governo misto, dove il potere era diviso tra istituzioni democratiche (i comizi), aristocratiche (il senato) e monarchiche (i consoli).

La separazione (o divisione) dei poteri è, dunque, uno dei principi fondamentali dello stato di diritto. Nella formulazione tradizionale, consiste nell’individuazione di tre funzioni pubbliche, legislazione, amministrazione e giurisdizione, e nell’attribuzione delle stesse a tre distinti poteri dello stato, intesi come organi o complessi di organi dello stato indipendenti dagli altri poteri: il potere legislativo, il potere esecutivo e il potere giudiziario.

Secondo i vari ordinamenti, sono previsti dei limiti o dei controlli esercitati da un potere sull’altro. Ad esempio, il legislativo può limitare con le sue norme l’operato dell’esecutivo, l’esecutivo può opporre il suo veto alle norme emanate dal legislativo; in altri casi il governo deve ottenere la fiducia del parlamento giacché, laddove la perdesse, si dovrebbe dimettere; d’altra parte, il potere esecutivo ha la possibilità di sciogliere il parlamento. In alcune forme di repubblica presidenziale, il governo deve mantenere la fiducia anche del capo dello stato, che trae la sua legittimazione direttamente dal corpo elettorale; oppure è il governo a trarre direttamente la legittimazione dal corpo elettorale e il parlamento, pur potendo farlo dimettere togliendogli la fiducia, cagiona in tal modo il proprio automatico scioglimento.

Il potere giudiziario: in alcuni paesi i giudici sono per lo più nominati dal governo o, meno frequentemente, dal parlamento. In altri paesi, dove i giudici sono normalmente funzionari di carriera reclutati tramite concorso, il governo, attraverso il dicastero della giustizia, può avere rilevanti competenze in ordine alla loro assegnazione agli uffici, alle questioni disciplinari ecc., quando tali competenze non sono attribuite ad un organo di autogoverno della magistratura come, in Italia, il Consiglio Superiore della Magistratura.

Nella realtà, poi, in nessun ordinamento ogni potere esercita la propria funzione nella sua interezza. Per esempio, per quanto riguarda la funzione normativa, poiché i parlamenti, per loro natura, non sono molto adatti ad emanare norme di dettaglio o in settori che richiedono complesse valutazioni tecniche o, ancora, in tempi stretti per ragioni di urgenza, gli ordinamenti attribuiscono al potere esecutivo la possibilità di emanare norme con atti aventi forza inferiore a quella della legge o, in certi casi, con la stessa forza. E il governo ha in molti ordinamenti la possibilità di proporre le leggi al parlamento e, di fatto, la gran parte delle leggi approvate è proprio d’iniziativa governativa. Un’importante funzione normativa è, infine, quella esercitata dai giudici costituzionali e amministrativi negli ordinamenti dove gli è attribuito il potere di annullare norme.

Nelle moderne democrazie, oltre alla separazione funzionale di cui si è parlato, si parla anche di separazione dei poteri verticale o territoriale, con riferimento alla distribuzione dell’esercizio delle funzioni pubbliche su più livelli territoriali (stato ed altri enti territoriali). La separazione territoriale può coesistere, e nella pratica coesiste, con quella funzionale: così, ad esempio, nell’ordinamento italiano la funzione legislativa, oltre ad essere separata da quella esecutiva e giurisdizionale, è esercitata su due livelli territoriali (statale e regionale). Ma anche nuove forme di poteri sono invalsi nell’uso di recente, le cd. Autority, organi del tutto indipendenti dagli altri poteri, che gestiscono settori particolari della pubblica amministrazione (ad esempio, il garante della privacy, delle comunicazioni, dell’energia).

Il risultato di una tale organizzazione istituzionale è che in una democrazia nessuno, neanche chi ottiene un vastissimo consenso popolare, ha il totale controllo del potere, ma deve in ogni caso sottostare al controllo e ai limiti che vengono dai poteri concorrenti. Per chi ha una mentalità aziendalistica della cosa pubblica, ciò è evidentemente un grave limite. Per chi ha a cuore la libertà della vita politica è un sistema di salvaguardia fondamentale al fine di prevenire l’insorgere di abusi autoritari.

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