IL TEATRO COME RITO E MAGIA

L’uomo manifesta attraverso il rito, la propria volontà d esprimere sé stesso, sia come individuo sia come essere collettivo: cioè non soltanto di esprimere, ma di comunicare

Oggi si pensa al teatro come un’industria culturale, una attività in cui convergono gli interessi e l’attenzione di impresari e attori, scrittori  e registi, tecnici e spettatori, Esso, in un certo senso, fa parte del sistema di produzione in cui viviamo e invade anche la sfera dei costumi, quando non si limita a vivere in quella dei consumi. Ma in ogni caso si tratta di un’abitudine, di un rito, della comunità di cui facciamo parte,

Se si pensa, allora a quello che deve essere stato il teatro due o tremila anni fa, e possiamo immagina che cosa fosse un “vero” rito: la celebrazione di una fede religiosa, di una concezione morale, di una struttura politica, condivise da tutto il popolo, secondo una visione fermamente unitaria.

Questa stagione remotissima dell’espressione teatrale ci appare come lo specchio di una situazione irripetibile della stessa umanità, E viene spontanea alla mente la serie delle leggende consegnate dalla storia, all’antropologia, leggende riguardanti il paradiso perduto, la comunione con la natura, l’età dell’oro e simili formula immagine, le quali si ripetono – magari con profonde variante- nelle mitologie di tutta l’umanità, a qualsiasi meridiano o parallelo, geografico e linguistico

Certe manifestazioni spettacolari che si svolgono ancora oggi, sia pure in forma mutate e persino distorte ai fini di esibizione folcloristica, hanno caratteristiche rituali e cerimoniali di cui non si può negare l’importanza e, soprattutto non si può sfuggire alla suggestione. Le danze dell’India, i magnifici riti d’iniziazione dell’isola di Bali, le pantomime cinesi, i dialoghi del teatro giapponese scanditi da una musica ricca di allusioni simboliche, appartengono a quell’orizzonte antichissimo de teatro, Ma anche in occasione più lontane da quello che comunemente viene definito “spettacolo” si può ritrovare una simile dimensione evocativa e proporzionale, L’uomo manifesta attraverso i rito, attraverso la cerimonia, la propria volontà d esprimere sé stesso, sia come individuo sia come essere collettivo: cioè non soltanto di esprimere, ma di comunicare. E’ rito la processione, che conduce per le strade e per le piazze i simulacri della divinità e la folla che invoca protezione contro le minacce della natura, E’ rito l’accompagnamento dei morti alla loro ultima dimora, e il canto dei parenti è già il coro, elemento essenziale di ogni teatro primitivo. Quanto poi questo canto  intonato da lamentatrici professionali – le cosidde4tte préfiche – siamo già vicino alla pura formulazione teatrale, con la “finzione” di un sentimento da parte di uno o più capicoro (corifei) e un gruppo di risponditori,

Ma la voce, parlante o cantante, non basta: il rito riempie un luogo, disegna uno spazio, cioè crea una “scena” dinanzi alla quale, o attorno alla quale, la gente fa da spettatore più o meno partecipe. Anche se la partecipazione dei parenti del morto o di coloro che vanno a combattere è ovviamente diversa da quella degli estranei, è chiaro che in una civiltà veramente unitaria un tale rito è occasione per tutti a meditare sul fatto della guerra e della morte, a immedesimarvisi: perciò e perciò si può dire che in un clima autenticamente collettivo non esistono puri spettatori, esiste solo un modo attivo, una integrazione di ciascuno nell’evento generale.

Del resto la parola religio è strettamente connessa al verso religare e pertanto indica il collegarsi di più persone, il motivo che tiene insieme individui e gruppi diversi, che li “rilega” in un fascio solo, In questo senso il teatro, in quanto sociale, è sempre un fatto religioso, qualunque sia il suo assunto.

Ma, prima ancora di un rito sociale, il teatro è stato anche un fatto un fatto religioso in senso stresso, cioè dipendente dalle credenze degli uomini in un Soprannaturale, in un Aldilà, in un Perdono, in una Punizione, in una Origine, in una Causa e via con quanto altre maiuscole la tradizione comporta. In tale prospettiva vanno considerati fenomeni diversi, tutti appartenenti al rito, e cioè non solo quelli che si è già detto – parola- canto, luogo scenico – ma soprattutto quelli visivi del gesto, dell’indumento, del movimento. Chi celebra il rito si veste in un certo modo, si trucca, si maschera, trincia l’aria con le mani e batte il suolo coi piedi, secondo una serie di regole che partono dall’istinto di espressione e poi arrivano a codificarsi come “segni” immutabili, di cui tutti i presenti conoscono il significato, L’officiante del rito è già uno che “agisce” secondo certe norme, si può dunque definirlo un “attore”.

Una tribù africana si riunisce in un cerchio attorno al fuoco, batte le mani in ritmo, si snoda in lunghi cortei; una sessione di macumba afro-brasiliana provoca invece la dispersione dei singoli, ciascuno si isola nella propria religiosità, come posseduto dal suo dio, ma allo stesso tempo esaltandosi di appartenere a una fede comune, di avere intorno dei fratelli. Tutto ciò avviene all’aperto, stabilisce un contatto fra il suole delimitato da segni magici e il cielo da cui si aspettano il sole o pioggia, folgori o benedizioni. Sono altrettanti modi di officiare la cerimonia, di celebrare il rito della presenta stessa dell’uomo sulla terra, con le sue memorie e con le sue speranze.

Vera poesia!

 

Patrizia Zara

 

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