IL CASINO E IL SANTUARIO

 

Lungo la strada che va verso il mare, seduto nella cabina dell’autocarro, ascoltavo don Carmenu spacciacasi, svuota case, così chiamato perché per mestiere si occupa di traslocare i mobili da una casa all’altra. Narratore nato don Carmenu, analfabeta, ha sempre una storia da raccontare che tira fuori dall’enorme magazzino della sua lucidissima memoria. Sulla sinistra vediamo il piccolo santuario a forma di grotta con la statua della Madonna dentro. «Lo sa come fu che c’è questa casa con la grotta e la Madonna? Se la ricorda la za Marietta?». «A za Marietta, chi?». «Il casino della za Marietta». «Personalmente no, all’epoca non avevo l’età, ma ne ho sentito parlare». «Era alla cava, la costruzione esiste ancora, là, vicino al tribunale, dove hanno sdirrubbato tutte le case che devono fare un parcheggio». E attacca il suo racconto don Carmenu.

Ragazzino abitavo là accanto. Propriamente a lei, al casino della za Marietta, all’epoca, non me lo ricordo, ci andai poi dopo, quando ero giovanotto. Piccolino mi ricordo invece di Linda che ci aveva il casino anche lei là accanto. Era grossa Linda, di mattina stava sul pianerottolo davanti alla porta. Noi ragazzini giocavamo nella strada. Linda mi aveva preso a simpatia. Io ero sempre pulitino ché mia madre ogni mattina mi lavava. Non tutte le mamme avevano questa cura, specie chi aveva tanti figli. E Linda mi chiamava, mi abbracciava e mi dava dei morsi nelle braccia, non che mi facesse male, ma non mi faceva piacere, però ci andavo perché mi dava le caramelle.

«Che epoca era?»

Io sono del ’36, perciò verso la fine della guerra. Poi andammo ad abitare a Santa Maria delle Scale e non mi ricordo più di Linda. Dopo, invece, quando cominciai a capire mi ricordo del casino della za Marietta. Quello di Linda non c’era più.

«Quanti casini c’erano a Ragusa?»

C’era Susanna, proprio sotto il macello, quello dove ora ci fanno riunioni. . .

«. . . il Centro Servizi Culturale del Comune»

. . .più sotto nella stessa strada, c’era il Ragno d’oro e poi c’era quello della za Marietta. Erano frequentati assai ma soprattutto il sabato e la domenica sera c’era un sacco di gente che faceva la fila in mezzo alla strada. La tariffa prima era 250 lire poi la portarono a 300 lire. C’era un quadretto appeso al muro con la scritta: signoria 150; tenutaria 100; marchetta 40; igiene e profilassi 10. C’era il cosiddetto salotto, per le persone di riguardo: quando qualcuno chiedeva il salotto, chiudevano le porte e lo facevano accomodare di là, con riservatezza, aveva la precedenza e pagava 50 lire di più. Ogni quindici giorni cambiavano le signorine, arrivava la “quindicina” nuova e Turidu parabadi, u ‘gnuri (il cocchiere), con la carrozzella le portava dalla stazione al casino passando da via Roma e tutti dai bar si affacciavano e ammiccavano.

La za Marietta da giovane era venuta a fare il mestiere a Ragusa da Caltanisetta assieme ad una sua sorella che si chiamava Peppina. S’erano fatti dei soldi e così aprirono il casino. Poi la sorella morì e restò lei.

«Come era?»

Quando cominciai a frequentare il casino lei non esercitava più ma si manteneva ancora bene, si vedeva che era stata una bella donna. Teneva a Minuzzu u signuruzzu, più giovane di lei. A Minuzzu non ci piaceva il lavoro e così, con la za Marietta, faceva il signore. C’era anche Papè, Papè ra za Marietta, così lo chiamavamo, che sbrigava le faccende di casa e stava alla porta. Era virrighiusu Papè, si incazzava facilmente. Certo noi lo trattavamo anche male. Ci chiedeva la carta di identità, noi non avevamo diciotto anni e allora entravamo a gruppo, davanti uno con l’età che tirava fuori il documento, gli altri facevamo turilla, spingevamo, lo insultavamo. . . insomma trovavamo il modo di entrare. Altre volte, di giorno, capitava, quando non avevamo nulla da fare, che gli facevamo degli scherzi. Una volta, mi ricordo, avevamo un cespo di cavolfiore, senza il cavolo, che è a forma di casco, eravamo in quattro o cinque, bussammo al casino, Papè aprì, lo tirammo fuori, lo incoronammo col cespo e lo portammo in trionfo per un po’. Poveretto gridava, si agitava.

«Ma che c’entra tutta questa storia di casini col santuario?»

C’entra, perché lei deve sapere che la za Marietta aveva una figlia che teneva in collegio dalle suore e la fece crescere lontano dalla sua attività. La za Marietta amministrava bene i suoi soldi e così aveva comprato delle proprietà compreso un terreno proprio dove abbiamo visto la casa delle suore col santuario. Alla morte della za Marietta, fu dopo che avevano chiuso i casini nel 1958 con la legge Merlin, la figlia, che nel frattempo aveva saputo dell’attività della madre e aveva deciso di farsi suora, rinunziò all’eredità. Voleva rinunciare a tutta l’eredità ma la Madre superiora la convinse ad accettare almeno quel poco di terreno per costruirci una casa di vacanza e il santuario. Ecco cosa c’entra il casino col santuario.

Ragusa, 9 ottobre 2008

                                                                                               Ciccio Schembari

 

Pubblicato sul n. 39/2008 “Vite in vendita” della rivista ondine www.operaincerta.it

 

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