Denise, il racconto di una pm: le stranezze del caso portarono fino a Ragusa. Intercettate due donne

Il caso Denise Pipitone ha un’appendice ragusana. A rivelarlo, è l’ex Pm che si occupò 16 anni fa dell’indagine, Maria Angioni, oggi Giudice del lavoro a Sassari.

“Quell’inchiesta era un terreno minato. Non si riusciva a fare niente. Ovunque mi girassi incontravo difficoltà. Come quando venni interrotta da un esponente delle forze dell’ordine, mentre stavo interrogando una persona che mi stava dando notizie molto interessanti, e distruggendo quella pista. Quella volta mi spaventai davvero. Purtroppo, era la mia ultima attività inquirente, perché all’indomani lasciai la Procura di Marsala per andare al Tribunale di Cagliari”. E questo fatto successe a seguito di intercettazioni a Ragusa.

A rivelarlo, 16 anni dopo l’accaduto, in una intervista esclusiva all’Adnkronos a firma di Elvira Terranova,  è Maria Angioni, la pm che per un periodo, dall’ottobre 2004 al luglio 2005, indagò sulla scomparsa della piccola Denise Pipitone, sparita nel nulla il primo settembre del 2004 da Mazara del Vallo.

Pur non essendo più titolare delle indagini sul caso Denise, la Angioni rivela all’Adnkronos fatti sconcertanti. Certamente, la lunga ispezione della palazzina di via Pirandello 55, che per molti anni era stata abitata da Anna Corona, la ex moglie del padre biologico di Denise, Piero Pulizzi, avvenuta ieri pomeriggio, ha riaperto un vaso di pandora sull’argomento. E oggi, per la prima volta, emerge un collegamento anche su Ragusa.

Anna Corona è la  madre di Jessica Pulizzi, la ragazza che era stata processata per sequestro di persona e assolta nei tre gradi di giudizio. Piera Maggio, la madre di Denise, ha sempre puntato il dito su Anna Corona e i suoi familiari.

“Abbiamo fatto ricerche sui pedofili, sugli esoterismi. Perché ricordo che Mazara del Vallo è una zona dove si fanno messe nere”, racconta. Insomma, per il caso Denise sarebbero state battute tutte le piste possibili e immaginabili.

“Quando l’assegnatario è andato via, cioè il collega Luigi Boccia, sono diventata la principale titolare dell’inchiesta, con due pm, ancora giovanissimi, cioè Antonella Avila e Marco Imperato, che lavoravano con me e che sono rimasti dopo il mio trasferimento a Cagliari”. Ma Angioni ha potuto seguire l’inchiesta solo per meno di un anno.

A fine luglio del 2005 è arrivato il trasferimento in Sardegna. La Angioni ricorda la perquisizione in quella casa, anche dichiara che la botola nel garage non c’era. Ricorda le strane risposte del fratello di Anna Corona, Claudio.

E poi rivela, per la prima volta, quanto accadde un giorno a Ragusa: “Gli ultimi giorni, prima di andare via dalla Procura di Marsala per trasferirmi a Cagliari decisi di andare a fare una attività a Ragusa. Dovevamo farla solo con la Sezione di Pg di cui mi fidavo e che ubbidivano alle mie direttive. Ma, invece, all’improvviso, dopo essere partiti con la solita squadretta, scoprii che sono venuti tutti con noi, a partire dagli uomini del Commissariato di Mazara fino al Comando dei Carabinieri, che non avevo chiesto. Eravamo una cinquantina di persone in tutto, dalle iniziali cinque”. Ma perché si aggiunsero tutti questi poliziotti e carabinieri? “Perché quando abbiamo avvisato i colleghi di Ragusa che saremmo andati, allora lo hanno fatto sapere ai comandi di Carabinieri e Polizia e anche loro volevano essere con noi. E lì mi successe una cosa stranissima che mi ha molto inquietato.

Ecco la rivelazione: “Ci sono stati degli elementi di disturbo in una importante attività di indagine”. E specifica: “Avevamo sentito una intercettazione, che ritenevamo molto importante davvero inquietante- spiega – Così andammo a Ragusa a sentire alcune persone”. Era il 22 luglio del 2005.

Il giorno prima dell’addio di Maria Angioni alla Procura di Marsala. “Una intera famiglia era stata sottoposta a una intercettazione, in particolare due donne – dice sempre all’Adnkronos – Ma ecco che mentre stavo sentendo a sommarie informazioni una persona, arriva – in maniera inopportuna – un esponente delle forze dell’ordine, diverso dalla mia squadra di Polizia Giudiziaria, che mi interruppe e dicendo delle cose che avrebbe dovuto dire in separata sede, e così ha bloccato di fatto anche il flusso di informazioni che stava provenendo dalla persona interrogata. E quell’attività è morta lì. Ero incavolata nera”.

Maria Angioni non vuole dire di più su quella attività “morta lì, quel giorno”. Però, studiando le carte dell’inchiesta e cercando tra i numerosi verbali, l’Adnkronos risale a un verbale di sommarie informazioni del 22 luglio del 2005, proprio a Ragusa. Da lì emerge che la Procura aveva fatto intercettare un numero a Ragusa e fatto degli accertamenti “per vedere chi era quel soggetto”. In quella occasione, i magistrati andarono a Ragusa per sentire alcune persone, appartenenti a un nucleo familiare. Dall’intercettazione si sentì parlare di un omicidio. Le cimici ascoltano: ‘purtroppo è morta, è morta’. Ma, all’improvviso, come si evince dal verbale, quella frase “è morta” si riferiva a una pianta grassa. Proprio una pianta. Insomma, l’ennesima stranezza di questa inchiesta piena di misteri. “Io ho fatto il massimo, fino all’ultimo giorno. Non potevo fare di più, all’indomani sarei andata a Cagliari”, dice.

Ma ha lasciato una traccia di quanto avvenuto a Ragusa? “Non ho fatto una relazione – racconta -ma ho informato i colleghi della Dda”.

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