DALLA CRONACA SICILIANA EMERGE IL MALESSERE DELLA NOSTRA SOCIETÀ

I quotidiani regionali e nazionali portano alla ribalta due notizie che, contrapposte, riescono a sintetizzare  l’ingiustizia e la totale mancanza di prospettiva che la Sicilia regala ai suoi giovani. Entrambe hanno sede a Palermo.

Il suicidio del dottorando 27enne, Norman Zarcone, e l’ultimo concorso della Regione Siciliana, destinato ai  4.500 precari che affollano gli uffici regionali. Da un lato la disperazione di un ragazzo, studente modello, laureato con lode in Filosofia della Conoscenza e della Comunicazione, giornalista pubblicista, che nonostante gli ottimi risultati si vedeva precludere ogni possibilità di carriera.

Dall’altro i quesiti ridicoli (ufficializzati dal dipartimento della Funzione pubblica) che regaleranno l’assunzione come dipendente di categoria A presso la regione siciliana, ma non a tutti ovviamente. Prima prova: “Fare fotocopie, ove possibile fronte retro”. Seconda: “Apporre data su un documento utilizzando un datario”. Terza: “Predisporre una busta, mettere indirizzo e timbro dell’ufficio mittente”.

Ed ancora: “Mandare un fax”. Quindi il finale: “Movimentazione documenti (per esempio aprire un faldone, estrarre un singolo fascicolo e richiudere il faldone con gli appositi nastri)”. Come concordato tra Regione e sindacati, il concorso sarà aperto soltanto ai precari. Insomma, chi, soprattutto i giovani, sperava di trovare un posto in Regione dovrà ribussare tra qualche anno. Forse decenni.

Invece di rispettare la legge che impone agli enti pubblici di assumere esclusivamente tramite un concorso aperto a tutti, si sta dando opera all’ennesimo inciucio grazie al quale si assumeranno in un sol colpo migliaia di persone senza selezione.

“Finalmente riusciremo a far assumere i precari che da decenni lavorano per la Regione”, spiega Michele Palazzotto, segretario generale della Cgil Funzione Pubblica per la Sicilia. E racconta: “C’è gente che dal 1986 va avanti con contratti a tempo determinato, che non ha diritti. C’è in ballo il mantenimento di migliaia di famiglie”. È l’altra faccia della Sicilia, quella furba e protetta.

Per Norman non c’era futuro, solamente la consapevolezza che nella terra all’incontrario risulta molto più proficuo aggirare gli ostacoli e affidarsi ai favori che investire sulle proprie capacità e credere nella meritocrazia.  “Norman ha detto, qualche sera prima di uccidersi, di considerarsi un fallito – dichiarano i familiari – stava per completare il dottorato di tre anni ma i docenti gli avevano detto che per lui non c’era futuro all’Università”.

Due lauree, fatica, studio, il dottorato di ricerca in scadenza, ma nessun riconoscimento professionale e quindi sociale. Il suicidio come gesto estremo, sintomo di una depressione che si portava dentro da mesi. La stessa, condivisa in modo latente da tanti coetanei (dentro e fuori l’università) che dopo anni di sacrifici non vedono concreti sbocchi per le proprie passioni e fatiche. Il padre disperato ha definito il suicidio del figlio un “omicidio di Stato”. 

Un’affermazione forte che però dovrebbe fare riflettere tutti coloro i quali hanno contribuito a regalare alle nuove generazioni una società ingiusta, dove chi è furbo o raccomandato riesce a sopravvivere mentre i giovani migliori se ne vanno dall’Italia, emigrano, qualche volta si suicidano come Norman o rinunciano a un progetto per il futuro. Ma dalla politica nessun segnale, tranne la proposta, da parte dell’Assessore regionale all’Istruzione e alla Formazione professionale, Mario Centorrino, di conferire un titolo accademico a Norman Zarcone. Ma sinceramente è meglio non commentarla. 

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