CHI HA, DIA! UN TETTO, UN PO’ DI AFFETTO

Mettendo insieme i dati sulle povertà raccolti nel 2014 dalla Caritas diocesana di Noto attraverso i Centri di aiuto, i Centri di ascolto e la rete della pronta accoglienza emergono interessanti elementi per una riflessione sociale. La percentuale della povertà grave, se si considerano coloro che si rivolgono alle parrocchie, sembrerebbe attestarsi sul 5% della popolazione, con percentuali più basse rispetto alle statistiche ufficiali. Questa differenza si può spiegare in diversi modi: perché questi sono solo i poveri che interpellano le parrocchie, perché siamo comunque in zone che (nel passato soprattutto) hanno conosciuto un vivace sviluppo economico, perché molte povertà restano sommerse. Alcuni disagi, infatti, non emergono immediatamente, ma sono presenti e incidono progressivamente sulla vita personale e sul tessuto sociale come, ad esempio, la frammentarietà sociale che accentua paure e individualismo, le tensioni familiari che impediscono una crescita armonica per i bambini, il disagio giovanile, la difficile integrazione degli immigrati ma anche dei detenuti, la solitudine crescente, l’impoverimento degli anziani sul versante degli affetti e dei diritti (essendo però, per altri versi, ottimi ‘integratori sociali’ per le famiglie).

Per rispondere con efficacia alle vecchie e nuove povertà la diocesi ha maturato in questi anni una rete di aiuto con diversi livelli, così da accompagnare l’aiuto immediato (senz’altro necessario) con la progettazione dell’intervento e la sensibilizzazione della comunità. Solo così le situazioni di disagio possono evolversi e diventare appello alla comune responsabilità iscritta nella nostra Costituzione repubblicana (cf. artt. 2 e 3). La tensione progettuale, con al centro la relazione e la presa in carico, diventa allora lo snodo più importante perché la povertà non diventi un destino, una condanna per i più deboli, un dato accettato passivamente.

Emerge, altresì, dalla lettura dei dati l’esigenza di un ampio coinvolgimento senza il quale non si potrà rispondere ai bisogni e non si potranno tentare ‘ripartenze’. Si chiedono per questo concreti passi di solidarietà in modo particolare su due versanti: la casa, un po’ di affetto. Se si riuscisse, infatti, ad assicurare a tutti un tetto dignitoso, questo già permetterebbe di riappropriarsi di uno spazio in cui riconoscersi. Occorrono la disponibilità ad affitti equi ed anche – soprattutto da parte dei cristiani – la generosa offerta di ciò che si possiede in più rispetto al necessario. Peraltro adesso si può assicurare che, con percorsi di accompagnamento, si riesce ad evitare che ci si appropri con prepotenza della casa data in affitto o come pronta accoglienza. Certo, la casa non basta, ci vuole anche una presenza amica. Anche in questo caso l’esperienza sta dimostrando che basterebbe un po’ di calore in più, un po’ di coinvolgimento in più! Da qui l’invito ad entrare nella rete dell’aiuto con disponibilità concrete a gemellaggi con le famiglie in difficoltà.

Andando, come ogni sabato pomeriggio, a far visita agli anziani del Boccone del Povero, anzi andando (come sta accadendo da qualche sabato) con alcuni studenti che stanno comprendendo – come ha detto uno di loro – che «la vita non è un gioco ma un “mettersi in gioco”», ci ha colpito un antico detto ricordato da una delle anziani ospiti: «Truoppu paroli fannu acqua, u core ca ama fa risuscitari i muotti». Troppe parole diventano acqua – è la traduzione della prima parte. Diventa un invito a dire meno parole, a passare ai fatti. Viene in mente don Puglisi: «Se ognuno di noi fa qualcosa, allora si può fare molto». E la seconda parte del detto dice di più. Non solo il fare, ma la passione: un cuore che ama può risuscitare i morti! E i nostri poveri rischiano di essere come morti, messi ai margini, ma anche noi rischiamo – senza un amore appassionato – di non essere vivi. Ecco che la sfida diventa alta: vivere veramente! ritrovarci umani! Il Vangelo chiarisce che solo chi ama vive; la comune coscienza umana, se si risveglia, lo comprende. Da qui la consegna di questo report, non per una semplice informazione, ma come invito a mettersi tutti in cammino. Come i pastori che a Betlemme vanno dal Bambino a dare i loro poveri doni (c’è chiesto di condividere quel che possiamo …) e si ritrovano con una grande gioia dentro: sarà il dono a darci una vera felicità, una felicità capace di rigenerare tessuti umani. Allora la luce vera brillerà, più che nelle luminarie, nella vita degli uomini e le città avranno un futuro vero, soprattutto a vantaggio delle nuove generazioni. Ai giovani potremo donare un senso per la vita e una maggiore attenzione ai problemi della società, che ci permetterà di affrontare i problemi senza quella rassegnazione che paralizza, ma con la speranza che ci fa lottare insieme per la giustizia e la fraternità.

 

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