CARNEADE, CHI ERA COSTUI?

L’incipit dell’VIII capitolo de I Promessi Sposi, letto mentre cercavo un altro brano mi ha fatto tornare a mente gli anni di scuola e la domanda di don Abbondio. Insomma, mi è venuta la curiosità di sapere chi era ‘costui’.

– Carneade! Chi era costui? – ruminava tra sé don Abbondio seduto sul suo seggiolone, in una stanza del piano superiore, con un libricciolo aperto davanti, quando Perpetua entrò a portargli l’imbasciata. – Carneade! questo nome mi par bene di averlo letto o sentito; doveva essere un uomo di studio, un letteratone del tempo antico: è un nome di quelli, ma chi diavolo era costui? – Tanto il pover’uomo era lontano da preveder che burrasca gli si addensasse sul capo!

Carneade di Cirene (Cirene, 213- Atene, 129 a.C) fu un grande filosofo greco di Cirene, della corrente degli stoici, capace oratore, sottile dialettico e maestro eccezionale.  

Durante un viaggio di ambasceria a Roma da parte degli ateniesi (multati per avere saccheggiato Oropo) insieme a Critolao e Diogene di Babilonia, ebbe molto successo affermando che se i Romani avessero voluto essere giusti  avrebbero dovuto restituire i loro possessi ed andarsene, ma in tal caso sarebbero stati stolti. In questo modo concluse che saggezza e giustizia non andavano d’accordo. Cicerone narra l’episodio nel terzo libro di  De re publica che riassume appunto i due famosi discorsi pro e contro la giustizia; riprese e discusse gli argomenti di Carneade in molte delle sue opere filosofiche.

Carneade si impegnò in una critica radicale dei fondamenti dei tre settori cui veniva suddivisa tradizionalmente le filosofia: logica e teoria della conoscenza, fisica e etica. Mostrando che in ciascuno la fallibilità, sostituendo la certezza alla probabilità, quale unico obbiettivo raggiungibile nella ricerca. Rifiutò il concetto di causalità come fato, contraddicendo il concetto di causa antecedente, quello di causa antecedente ‘efficace’, (ossia tutte le cause efficaci sono antecedenti, ma non tutte le cause antecedenti sono efficaci, cioè cause intese in senso stretto). Riguardo l’etica abbiamo visto le considerazioni di Carneade sulla giustizia  e questo è stato ripreso da tutti gli esponenti dello scetticismo moderno e viene considerato un’anticipazione del modero positivismo giuridico. Carneade dimostra infatti che non esiste un diritto naturale  e che le nozioni di giusto e ingiusto sono variabili non solo da città a città, ma addirittura nella stessa città in tempi diversi e infine che fondamento del diritto è la forza.

In altre parole, il filosofo si domandò,  come si può riuscire a conciliare  le esigenze della prassi quotidiana con l’impossibilità di essere certi di qualsiasi cosa. Egli affermò  che è necessaria l’introduzione del cosi detto  “criterio del probabile”. L’uomo può individuare il comportamento da adottare  di volta in volta, in base al grado di probabilità o di rappresentazione persuasiva derivata dall’esperienza. Ecco perché si pose in contrasto con l’impostazione dogmatica stoica. Carneade affermò  che non è dato all’uomo di sapere alcunché di certezza assoluta, tuttavia ammise la necessità dell’azione e, conseguentemente, in un criterio di ragionevolezza o probabilità, in base al quale si può regolarsi.

Figura quindi tutt’altro che secondaria, è diventato proverbiale come persona poco nota, dalla famosa domanda che si pone don Abbondio che, nella sua stanza, sta leggendo un panegirico (presso gli antichi Romani, discorso celebrativo in onore di un personaggio illustre) in onore di san Carlo Borromeo, dove all’interno viene citato il filosofo.

Ne scrive anche sant’Ambrogio che fa dire ad un interlocutore del dialogo Contra Academicos: “Ego, ait, graecus non sum, nescio Carneade iste qui fuerit” (Ho detto, io non sono greco, io non so chi fosse Carneade). Insomma, Carneade, chi era costui?

 

 

 

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