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Tutti esaltati per la vetrina di Alberto Angela, ma il turismo in provincia di Ragusa resta senza strategia
21 Feb 2025 07:15
Ancora una volta, in questi giorni dopo la puntata di Alberto Angela dedicata ai luoghi di Montalbano abbiamo assistito all’ennesima esaltazione collettiva per un documentario che ha messo in vetrina la Sicilia, i suoi paesaggi, il suo patrimonio storico e culturale. Il programma di Alberto Angela, con i suoi 4 milioni di spettatori, ha portato nuovamente sul piccolo schermo i luoghi iconici di Montalbano, la provincia di Ragusa e il sud-est dell’isola. E tutti giù ad applaudire. A esultare. A celebrare il “grande successo”.
E poi? Poi, come sempre, il nulla. Il solito nulla che segue ogni exploit mediatico legato alla nostra terra. La solita soddisfazione passeggera di vedere scorci familiari in TV, senza che, a parte la grandissima promozione della nostra terra per la quale dobbiamo ringraziare sempre mamma Rai, questo si traduca in azione concreta da parte del nostro territorio che rimane senza una strategia capace di capitalizzare l’attenzione che, ancora una volta, ci è stata regalata da fuori.
Perché questa è la verità: aspettiamo sempre che qualcuno ci racconti, ci valorizzi, ci porti visitatori. Ma quando questi visitatori arrivano, cosa trovano? Case vacanza che, a parte moltissimi per fortuna esempi di ospitalità di alto livello, sono arredate con mobili di recupero, senza cura, senza un’idea di ospitalità moderna, ma con affitti da capogiro e, nell’era dei pagamenti digitali, con richieste di pagamento in nero per cercare di aggirare il fisco, magari dopo avere pubblicizzato l’immobile in tutte le piattaforme online e, quindi, lasciandone ampia tracciabilità. Un’offerta ristorativa che si distingue non per qualità eccelsa, (i pochi casi costretti a chiudere i battenti o a dover affrontare difficoltà di gestione rilevanti) ma per prezzi più alti rispetto al resto della Sicilia. Pranzare o cenare in un ristorante di medio livello in provincia di Ragusa, costa almeno il doppio di qualsiasi altra realtà dell’isola. E soprattutto, una totale incapacità di fare rete, di costruire un turismo strutturato, destagionalizzato, che non si limiti ai mesi di luglio e agosto ma che si estenda da aprile a ottobre.
Ma siamo incapaci di pianificare. I comuni si fanno la guerra tra loro invece di collaborare per creare un’offerta turistica coerente e integrata. Ogni sindaco, ogni assessore vuole il suo evento, il suo festival, il suo piccolo feudo di consensi, invece di sedersi attorno a un tavolo e ragionare su un piano condiviso per tutto il sud-est siciliano. Così facendo, vinciamo forse piccole battaglie d’immagine, ma perdiamo la guerra dello sviluppo economico.
E poi, c’è il grande tema delle infrastrutture. Perché per arrivare in provincia di Ragusa serve un pellegrinaggio. Collegamenti carenti, strade che sono più un percorso a ostacoli che una rete viaria efficiente, un’autostrada che per la parte che può essere definita tale, è un eterno cantiere. E chi arriva, se non ha la possibilità di noleggiare un’auto, semplicemente non ha alternative. Siamo fuori dalle principali rotte ferroviarie, abbiamo trasporti pubblici inadeguati, e così ci tagliamo fuori da un turismo più accessibile, lasciandoci solo i visitatori più temerari o quelli disposti a spendere di più per superare queste barriere.
Eppure, non impariamo. Non impariamo dai luoghi che hanno saputo trasformare la loro bellezza in ricchezza diffusa. Non impariamo da chi ha capito che il turismo non è solo “vendere camere e pasti”, ma costruire esperienze di qualità, curate nei minimi dettagli. Non impariamo a valorizzare il nostro artigianato, a dare spazio a botteghe e maestranze che potrebbero rendere vivi i centri storici, invece di trasformarli in vetrine di street food senza identità.
Ma va bene così. Perché intanto possiamo dire che abbiamo fatto 4 milioni di spettatori. Possiamo riempire i social di commenti entusiasti. Possiamo inebriarci di questa effimera notorietà televisiva, senza mai chiederci come tradurla in crescita concreta.E allora, di cosa stiamo parlando? Ancora una volta, siamo qui a cullarci nell’illusione che la vetrina di Montalbano possa salvarci. Ma senza visione, senza infrastrutture, senza una strategia di turismo di qualità, non ci salverà nessuno.
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