VIVA LA MERDA!

Dai diamanti non nasce niente dal letame nascono i fiori. Fabrizio de André

«Che bello, in questo agriturismo ci forniscono prodotti dell’agricoltura biologica!» «Vorresti dire, fatti con la merda?» La mia amica mi guardò male ed io le feci notare che agricoltura biologica vuol dire coltivazione in terreni concimati non con prodotti industriali ma col letame, colla merda appunto. Ci sono anche altri accorgimenti ma la differenza sostanziale sta proprio nell’uso della merda. «Tu hai mai maneggiato la merda?» La mia amica tornò a guardarmi male ed io l’assicurai che non è una cosa assolutamente disdicevole e neanche tanto spiacevole.

Da ragazzo, quando facevo il contadino, mi capitava spesso di pulire le stalle. Con un’apposita scopa si tirava via tutta la merda prodotta dalle mucche assieme alla lettiera di paglia e si portava nella concimaia che era anche il deposito di ogni altro residuo: bucce di frutta; foglie di verdure; piume dei pollastri sacrificati per onorare le feste; cenere. Insomma tutto quanto oggi va sotto la dizione: “rifiuti solidi urbani”. Escluso le bottiglie di vetro che si lavavano e non si buttavano e le bottiglie e i sacchetti di plastica che non esistevano. I rifiuti non erano affatto un problema ma una ricchezza con un doppio vantaggio rispetto ad oggi: si fertilizzava il terreno e non si pagava il tributo.

Il letame si accumulava per tutto l’anno e nel mese di settembre veniva poi, con la zappa, rivoltato, sbriciolato, miscelato, messo sul carro e sparso nel campo ove si seminavano le fave e in cui, l’anno appresso, si sarebbe piantato il grano. Rivoltare la concimaia era un lavoro pesante e si eseguiva nelle prime ore della giornata, meno calde, dall’alba alle otto.

Le merde, invece, che le mucche depositavano nei campi durante il periodo estivo ed essiccate dal sole formavano delle dense “torte” chiamate zotte. Venivano raccolte ed immagazzinate e poi usate come combustibile per cucinare la minestra di fave che rappresentava il pasto principale e si consumava la sera. La cenere residua veniva depositata nella concimaia. Nulla andava perduto e tutto veniva riciclato: ciò faceva bene al corpo ed anche all’anima, come racconta questa versione protestante della parabola evangelica del seminatore.

 

“Intervista al seminatore”

 

I. Senta seminatore il suo non è un bel lavoro: non sa mai se le sementi che ha seminato nella terra daranno anche dei frutti.

S. Si vive di speranza. Noi seminatori e contadini del mondo dobbiamo convivere con il fatto che una parte delle sementi non germinano.

I. Questo lo sapeva già Gesù: alcune sementi cadono lungo la strada e vengono calpestate, altre vengono divorate dagli uccelli, ad altre le erbacce impediscono di crescere.

S. E’ vero! Però, con tutta la stima e la simpatia che ho per Gesù, debbo dire che, nella sua parabola, non ha, purtroppo, considerato il più grande segreto della crescita.

I. Quale sarebbe?

S. Il letame.

I. Come scusi?

S. Il letame! Un buon raccolto non dipende solo da un buon terreno, ma anche dal letame, il concime capisce? Solo il letame dà alle piante la forza per dare buoni frutti. Quello che puzza di più produce la crescita maggiore. Chi ha orecchie per intendere, intenda! Il letame è qualcosa di indispensabile per la crescita. Questo vale anche per le persone, per me, per noi, per tutti.

I. Lei paragona la vita umana ad un campo che cresce meglio se è trattato con il concime?

S. Proprio così. Vede, nella vita di ogni persona, si accumula del letame. Detto in maniera pia: chi è senza peccato? Nel corso del tempo si accumula un vero mucchio di letame. Molte persone cercano di non vederlo. Se invece lo guardassero in faccia e lo prendessero con le mani allora potrebbe loro servire, utilizzarlo per la loro crescita e la loro vita darebbe frutti migliori.

I. La festa del ringraziamento per il raccolto assumerebbe tutt’altro significato?

S. Sì. Continueremo a ringraziare per il raccolto dei campi, ma anche per la crescita della nostra anima e del nostro spirito e, persino, per il letame della vita.

 

Accumuliamo merda fino al collo e perciò camminiamo a testa alta,

a volte usciamo dalla merda e avvertiamo un senso di leggerezza

e così, tra merda, testa alta e leggerezza, scorre la vita.

            Ragusa, 7 giugno 2010                                                      

                                                                                               Ciccio Schembari

Articolo pubblicato sul n. 59/2010 “Pane” della rivista ondine www.operaincerta.it

 

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