Soldi, mafia e pesce: sequestro da 50 milioni, indagine arriva anche a Ragusa

Un impero economico costruito sulla forza dell’intimidazione mafiosa e sulle protezioni del clan Rinzivillo. La Guardia di Finanza di Caltanissetta ha eseguito un maxi sequestro da 50 milioni di euro nei confronti dell’imprenditore gelese Emanuele Catania, detto Antonino, considerato dalla Direzione Distrettuale Antimafia “il punto di riferimento economico” della cosca mafiosa gelese. Gli indagati di questa indagine, complessivamente, ammontano a 45 persone. L’indagine si estende anche ai territori di Trapani, Ragusa, Agrigento, Salerno, Pescara e in Paesi dell’Africa settentrionale.

Il provvedimento, emesso dal Tribunale di Caltanissetta – Sezione Misure di Prevenzione, è il risultato di anni di indagini patrimoniali e inchieste giudiziarie che hanno dimostrato, secondo quanto riportato dall’indagine condotta dalla GdF,  come Catania, attivo da decenni nel settore della pesca e del commercio ittico internazionale, abbia prosperato grazie all’appoggio e alla protezione del clan mafioso dei Rinzivillo, articolazione locale di Cosa Nostra.

Pescherecci, immobili e società tra Sicilia e Marocco

A finire sotto sequestro sono stati oltre 40 immobili, conti bancari, società, quote aziendali, natanti da pesca e da diporto, con ramificazioni operative in Italia e in Marocco, dove Catania aveva assunto il controllo della società “Gastronomia Napoletana”, usata – secondo l’accusa – come strumento di riciclaggio su scala internazionale.

Il sequestro, operazione “Terra Nuova 2”, è stato condotto dai militari del G.I.C.O. di Caltanissetta con il supporto del Reparto Operativo Aeronavale della Guardia di Finanza di Palermo, ed è il culmine di una complessa attività d’indagine che ha coinvolto 45 soggetti tra persone fisiche e giuridiche. Gli accertamenti hanno rivelato una sperequazione gravissima tra i redditi dichiarati e l’enorme incremento patrimoniale avvenuto tra il 1985 e il 2022.

L’uomo dei Rinzivillo

Emanuele Catania è stato condannato in via definitiva per associazione mafiosa: una carriera imprenditoriale iniziata sotto il segno della complicità con i vertici del clan, in particolare con Salvatore Rinzivillo, boss riconosciuto e reggente della cosca. La Corte di Cassazione, nel febbraio 2024, ha confermato la condanna inflitta in Appello: 6 anni e 8 mesi di reclusione per aver favorito l’infiltrazione della mafia nell’economia legale.

Secondo la ricostruzione giudiziaria, Catania ha offerto copertura, mezzi e competenze commerciali per garantire al clan canali privilegiati nel settore ittico, imponendo forniture, eludendo la concorrenza e reimpiegando capitali di provenienza illecita in attività imprenditoriali fittiziamente lecite.

Protezione, affari e legami familiari

Il fratello, Antonino “Nino” Catania, formalmente intestatario di molte società e beni sequestrati, non risulta condannato, ma è coinvolto nell’operazione in qualità di “terzo interessato”. Secondo la Guardia di Finanza, si tratta di intestazioni fittizie finalizzate a schermare i reali beneficiari e rendere più difficile il sequestro dei beni.

Fondamentali per la ricostruzione investigativa sono state le dichiarazioni convergenti di numerosi collaboratori di giustizia, che dagli anni ’80 hanno documentato rapporti illeciti di natura economica e personale tra i Catania e i Rinzivillo. Alcuni pentiti hanno anche riferito di investimenti diretti del clan nelle attività dei fratelli Catania, in particolare con capitali derivanti dal traffico internazionale di stupefacenti.

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