SIAMO ANCORA RELIGIOSI? LE FESTE ORMAI UN BUSINESS

Per fortuna che giovani e anziani, donne e uomini, mantengono viva e vegeta la sentita e rispettata devozione verso i santi e le Madonne. Per fortuna perché, con un crescendo preoccupante negli ultimi anni, le feste religiose – soprattutto quelle legate al culto dei santi patroni cittadini – stanno trasformandosi in feste sempre più rivolte al business.

L’impressione, che è condivisa da tanti amici coi quali si è di recente discusso del fenomeno, è che i comitati organizzatori di feste patronali abbiamo quale priorità anche la buona riuscita dell’evento liturgico, ma anche, se non soprattutto, la partecipazione di devoti e curiosi, di credenti e di fotografi, di gente che prega e gente che compra.

Grandi manifesti murali, compresi gli ormai padroni delle nostre strade, i celebri seipersei, spot televisivi e volantini, per gridare a tutto il mondo che quella domenica alle ore tot ci saranno i festeggiamenti e a seguire la fiera e i giochi pirotecnici.

Vero è che da sempre, almeno dalle nostre parti, la festa del patrono ha coinciso con la fiera allo stesso dedicata. Però e vero anche che un tempo la fiera era una delle due o tre occasioni, in un anno, per poter comprare qualcosa che i negozi cittadini non offrivano (mentre adesso a parte le racchette scaccia zanzare che i cinesi vendono a tre euro, quanto è messo in mostra è mercanzia la gran parte della quale non compriamo per manifesta inutilità quando non scadentissima qualità), oltre che, ma siamo alla notte dei tempi, una delle due o tre occasioni l’anno per poter guardare da vicino, e forse addirittura sfiorare, la ragazza che ci aveva rubato il cuore (ed anche in questo caso, gli approcci dei nostri adolescenti sono adesso affidati a facebook o comunque a mille altre possibili occasioni). Non scandalizza più nulla l’uomo moderno che è preoccupato da mille pensieri (come anche il proprio avo che non dormiva la notte per la siccità e per la troppa pioggia, per le cavallette e per il gelo ad aprile), ma il voler mettere la festa patronale sul piano del competizione in termini di partecipazione, a noi non sembra molto onorevole, soprattutto per il santo. A me piace guardare la lunga processione che segue il Battista patrono della mia città, fatta di uomini e donne sinceramente devoti, col cero in mano, molti ancora scalzi. Mi piace meno, anzi non mi piace affatto, il seipersei con la foto del Santo e sotto, con tanto di logo multicolore, una lunga teoria di sponsor, siano istituzionali o privati cambia poco o affatto. La festa serve a noi e non a San Giovanni. Serve al Vescovo per poter parlare alle migliaia di ragusani riuniti in piazza, una volta tanto in forma di collettività, di comunità con qualcosa in comune che non sia la pizza del sabato sera e l’ultimo modello di cellulare. Che in piazza si sia mille o centomila non credo sia importante. Se i mille sono sinceramente partecipi, valgono diecimila volte i centomila venuti solo a guardare chi c’è e nel caso compare l’arancino. Il fatto che il giorno dopo i quotidiani riferiscano di migliaia e migliaia non è comunque una medaglia. Quantomeno non da esibire.

 

                                                                                                       

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