QUANDO IL NUOVO E’ PEGGIORE DEL VECCHIO

Sono trascorsi 15 anni dalla soppressione, in concomitanza con la riforma del Titolo V della Costituzione, delle commissioni tributarie di controllo riguardanti i provvedimenti degli enti locali e quello che sembrava una svolta epocale comportante la soppressione di organismi ritenuti invadenti e per molti versi incidenti sulle scelte democratiche dei rappresentanti del popolo, la moderna ed attuale esperienza  ci viene a dimostrare che quella riforma sarebbe stato molto ma molto meglio non farla.

I provvedimenti amministrativi seppure adottati in assoluta buona fede talora venivano respinti dall’organo di controllo  se ritenuti per come non strettamente in aderenza con le norme legislative  e, in definitiva,  a prevalere era la legalità  che rendeva  conforme alle disposizioni  legislative  l’attività della pubblica amministrazione.  Sopprimere quelle commissioni in buona sostanza non è stata una svolta che abbia generato una migliore efficienza della cosa pubblica.  L’argomento principale posto a base della soppressione era l’elevazione  assiomatica del principio  in ordine al quale  il moltiplicarsi delle esigenze discendenti dallo sviluppo economico  e sociale non poteva raffrenarsi se non velocizzando l’attività della pubblica amministrazione.  Non si prendeva in considerazione, però, e tale anomalia è ancora esistente che il piano operativo della pubblica amministrazione  si pone  ancora in posizione operativa superiore rispetto al diritto del cittadino  che deve poter interloquire con il potere pubblico in condizioni di parità.

Non di rado, infatti, l’azione pubblica può incorrere in un errore posto in essere il più delle volte in assoluta buona fede e attività operativa  dell’operatore  a quell’attività  preposto e il soggetto passivo che poi è il cittadino ,  non ostante che siano state adottate delle norme che  tutelino  il suo status ciò non ostante non riscontro un preciso obbligo della parte pubblica  a rivedere  la procedura adottata.

Dobbiamo pure prendere atto che l’evoluzione  informatica  ha oltremodo diminuito i tempi occorrenti per i rapporti che il cittadino, giorno dopo giorno, intrattiene con la pubblica amministrazione e questa, specie quando  si avvede di aver commesso un errore non deve poter fruire di una discrezionalità operativa che confligge  con l’instaurazione di un rapporto che si è intrapreso  con il soggetto passivo.

Occorre, altresì, rilevare che a fronte di norme che ne consentono la discrezionalità è stata la stessa amministrazione a rilevare ad impartire a propri uffici di non ritenere come un optional la discrezionalità di cui usufruisce.  Queste riforme peraltro per essere attuate non prevedono spese pubbliche ed è da ritenere che tutte le forze politiche non possono non essere di comune accordo. Si eviterebbero controversie e si renderebbe più  vicino e sostanziale il rapporto del cittadino con la pubblica amministrazione in tutti i livelli a mezzo dei quali interloquisce con il cittadino, fermo comunque rimanendo che questo non  ha sempre ragione e la pubblica amministrazione sempre torto.

La riforma della pubblica amministrazione è senza dubbio un’opera complessa e bisognevole di adeguati e approfonditi studi, ma da qualche parte bisognerà del resto iniziare. Si è inteso fare l’esempio delle soppresse commissioni di controllo ed a prescindere di tutte le difficoltà che incontra il resto di questo complesso e difficile problema sarebbe augurabile che si incominciasse da questo. Non ci vogliano previsioni di spese perché la volontà in questo caso ne è esente.

Politicus      

 

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