PRIMA DEL FATTORE ECONOMICO È IL BUON SENSO A CHIEDERE DI SEMPLIFICARE

E’ di ieri la notizia che un disegno di legge governativo della nostra regione mira ad accorpare le aree metropolitane delle tre più importanti città siciliane. Il caso che solleva grandi questioni sui territori, l’unico a dire il vero, è quello dell’area messinese. Mentre, infatti, per Palermo e Catania non sono state sollevate obiezioni di sorta (a Palermo perché la Politica ha deciso ed a Catania perché la scelta è confortata da una naturale conformazione del territorio), su Messina si sono subito concentrati gli strali di quanti non vogliono, vorrebbero o non possono dire sì o no al progetto di Rosario. Torniamo ai nostri fatti: Messina è città da 225mila abitanti, né tanti né pochi. Ha un’area metropolitana abbastanza definita che teoricamente potrebbe giungere fino a Giardini Naxos o a Milazzo, se volessimo vederla da un punto di vista tecnico. Che senso ha quindi incorporare solo i comuni fino ad Furci Siculo? E Quali altre proposte potrebbero essere avanzate? L’impianto proposto dal Presidente Crocetta sembra in effetti monco: se si volesse creare una metropoli a vocazione turistica, non si potrebbero lasciare fuori le Eolie e Taormina, oggi non incluse nel progetto di aggregazione, se si volesse seguire un criterio di prossimità territoriale ci si dovrebbe fermare a Scaletta. Perché Furci? Non è dato saperlo. 

Il principio di autodeterminazione è sacrosanto: ognuno di noi ha il diritto di poter fare ciò vuole della propria vita, nel solco della legalità. Ma questa massima può essere estesa alle comunità? Può essere applicata all’ordinamento giuridico ed amministrativo del Paese?

Fin qui l’attualità. In linea di principio invece occorre dare un nuovo assetto territoriale ai nostri enti locali. Ma quale? Già nel 2011, contribuendo al dibattito nazionale con un intervento ospitato sul sito dell’Onorevole Casini, ho ribadito che occorreva eliminare due livelli di amministrazione territoriale: le provincie ed i comuni sotto i 30mila abitanti. Le mansioni oggi attribuite alle Provincie possono essere redistribuite tra regione e comuni secondo lo schema qui riportato, redistribuendo il personale in modo proporzionale ai servizi derogati, mentre nella mia visione del contesto territoriale l’accorpamento dei comuni servirebbe ad un accentramento delle funzioni, ad una riduzione dei costi della macchina amministrativa e ad uno snellimento delle prassi burocratiche. L’ipotesi di scuola potrebbe essere quella dell’accorpamento dei 18 Municipi che componevano la prima Unione dei Comuni delle valli joniche dei Peloritani, un territorio omogeneo (tranne che per Scaletta e Itala che finirebbero con Messina), conosciuto da tutti in modo molto preciso da tutti gli attori in atto e nemmeno troppo ampio da un punto di vista geografico.  I vantaggi, a mio modo di vedere, sarebbero di due tipi: economici e non economici. I vantaggi economici dipenderebbero dall’accorpamento delle funzioni amministrative: su 16 comuni avremmo un unico segretario comunale (con il risparmio di ben 15 incarichi da 40mila euro l’uno circa), soli 5 capi area invece degli 80 attuali, circa 20 consiglieri comunali al posto dei circa 170 attuali, 1 sindaco ed un vicesindaco al posto dei 32 attuali e una giunta di 8 membri al posto degli attuali 60 membri circa. Premesso che le attuali case comunali non verrebbero chiuse, ma resterebbero aperte come Municipi territoriali salvaguardando la presenza sul territorio delle istituzioni, possiamo supporre che nel corso degli anni la riorganizzazione degli uffici porterebbe a risparmi per milioni di euro poiché le figure sovrapposte non verrebbero rimpiazzate con conseguente possibilità di ridurre il carico fiscale per noi contribuenti. Un ulteriore vantaggio deriverebbe dall’avere un’unica stazione appaltante per l’acquisto di beni e servizi a costi decisamente inferiori rispetto a quelli attuali. A far scuola in questo senso vi sono numerosi esempi nel nord Italia, ma soprattutto il caso di una università del centro nord la quale, passando dall’acquisto diretto alle forniture tramite convenzione Consip, è riuscita a risparmiare su alcuni approvvigionamenti ben il 35% del totale. Mica niente!

Allo stesso modo, i vantaggi non economici potrebbero essere ancora più invitanti: pensate alla possibilità di redigere un unico piano regolatore anziché 16, potendo attribuire ad ogni area la propria vocazione primaria coordinandola con le altre, un unico piano regolatore delle spiagge, un unico piano per il commercio, un unico piano per la creazione delle aree artigianali ed industriali. Anche i servizi potrebbero essere più efficienti potendo contare su un bacino di popolazione ottimale (il famoso ATO). La raccolta dei rifiuti, i servizi assistenziali, la polizia municipale, tutti potrebbero essere resi in modo proporzionale alle necessità senza sprechi e senza sovra costi. Inoltre, con la semplificazione amministrativa si ridurrebbe il numero dei “soggetti politici” immischiati nella cosa pubblica, riducendo al contempo il vincolo di relazione tra eletto ed elettore. Pensate oggi cosa dev’essere fare il consigliere comunale in un piccolo comune, dove non puoi scontentare nessuno pena l’impossibilità di essere eletto anche per uno o due voti. Con un bacino di trentamila abitanti invece si potrebbe puntare sulle idee, sul voto d’opinione, sulle capacità senza timore di perdere il voto del compare o della comare di turno. L’accentramento delle funzioni dirigenziali, poi, permetterebbe alle autorità inquirenti di controllare facilmente quanto avviene in un vasto territorio: pensate oggi cosa significhi analizzare 16 giunte, 16 consigli e 16 per 5 aree amministrative distribuite su un territorio diverso. Domani, con responsabilità certe, sarebbe molto più difficile barare. Ne guadagnerebbe anche la legalità, credetemi.

Passiamo infine alle critiche. In molti contestano l’abolizione dei piccoli comuni temendo che la perdita dell’autonomia possa comportare un danno per le comunità locali in termini di mancato sviluppo, ma io mi chiedo: “perdere cosa? Quale sviluppo potrebbe essere negato loro?”. Negli ultimi 20 anni i nostri comuni si sono solo impoveriti. Che cosa stiamo difendendo con lo status quo? Il Declino? Vogliamo davvero credere che un giorno verrà il cavaliere bianco a salvare un piccolo comune montano dallo spopolamento? E cosa potrebbe fare domani in più quel comune rispetto a quanto non ha fatto negli ultimi 20 anni se non cambiano le condizioni? E cosa potrebbe fare in più oggi un borgo inserito in un contesto urbano connesso con il lungomare, con gli alberghi della riviera e con i servizi turistici.

Io non voglio illudere nessuno. Tutto dipenderà da come saranno spesi i soldi, da quali investimenti saranno fatti, dai servizi che saranno creati, ma se i risparmi derivanti dall’accorpamento permetteranno di allargare le strade, fare la rete in fibra ottica, restaurare e valorizzare il patrimonio culturale e abbassare le imposte… beh! Ben venga. Almeno proviamoci.

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