POCHI, FORSE, SANNO CHE…

Dopo l’annuncio delle dimissioni di massa dei parlamentari del PDL, le vicende politiche italiane assumono sempre più i toni della farsa. Tralasciando che le dimissioni si danno e basta, non si minacciano con un deposito del modulo presso il capogruppo di riferimento, aspettando inutilmente, come tanti seguaci del centro destra ormai schifati da stagioni di perenne tentennamento, una esposizione di attributi, invece che le ormai croniche indecisioni, il più delle volte condizionate da interessi particolari che con la politica e l’elettorato hanno avuto sempre meno attinenze, viene fuori anche la ridicolaggine dell’ultima trovata, boutade fatta apposta per sollevare altra polvere, senza nulla di concreto al di là della cortina fumogena.

C’è stato qualcuno, come Marco Sarti su linkiesta.it di venerdì 27 settembre, che ha sì evidenziato la presa di posizione forte e inquietante, che si potrebbe definire, come ha fatto anche il capo dello Stato, ‘inquietante’ per l’inedita reazione che potrebbe avere un enorme valore politico, ma che ha anche sottolineato il valore quasi nullo dal punto di vista istituzionale.

La lettera di dimissioni potrebbe non avere alcuna conseguenza per mesi. La richiesta è stata consegnata ai capigruppo ma per essere prese in considerazione devono essere presentate ai presidenti della Camera di appartenenza.

La procedura è tutt’altro che immediata. Non ci possono essere dimissioni di massa ma solo dimissioni individuali, che devono essere approvate con un voto. In pratica Camera e Senato dovrebbero calendarizzare tante votazioni quanti sarebbero i dimissionari, in sostanza, considerando anche quelli della Lega Nord, si tratterebbe di 117 votazioni alla Camera e 107 al Senato.

Ogni richiesta di dimissioni deve essere motivata davanti all’assemblea dal parlamentare interessato, prima di essere approvata deve essere discussa, senza dire che la prassi istituzionale fa respingere la domanda nella prima votazione, per cui occorrerebbe un numero doppio di votazioni, circa 234 alla Camera e 214 al Senato, votazioni che andrebbero avanti per mesi, almeno 6 nelle previsioni. Senza dire che, trattandosi di scrutinio segreto, le dimissioni potrebbero non essere accolte.

Occorre poi ricordare che, anche in caso di dimissioni accolte, non si bloccherebbe di fatto l’attività parlamentare, in quanto è previsto il subentro del primo dei non letti della lista di colui che ha abbandonato l’aula e non tutti i nuovi arrivati potrebbero essere disponibili a seguire le direttive del partito.

L’uscita di scena di un gruppo parlamentare così numeroso creerebbe, di certo, un caso politico ma non sarebbe automatico il blocco dell’attività.

 

Un modo come un altro, studiato a tavolino, per  fare confusione e allungare i tempi di una uscita di scena che, con il passare del tempo, più che dalla giustizia sarà chiesta dagli stessi elettori, magari con forme meno plateali, ma più convincenti. E sarebbe ora, vista la totale inettitudine delle altre parti politiche.

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