È stata inaugurata a Vittoria la nuova area di Osservazione Breve Intensiva (OBI) presso il Pronto Soccorso dell’ospedale “Guzzardi”. L’area è stata intitolata alla memoria di Giuseppe Morana, storico dirigente amministrativo dell’ospedale, alla presenza dei familiari e delle autorità locali. La cerimonia ha visto la partecipazione del Direttore Generale dell’ASP di Ragusa, Giuseppe Drago, della […]
PANI, CIPUDA E COSICAVADU
08 Feb 2017 19:41
Una volta si mangiava pani, cipuda e cosicavadu e se questo era un po’ più forte di sale, era meglio perché rendeva la cipolla più dolce. Nella mano sinistra si teneva un pezzo di pane (tra mignolo e palmo), in mezzo una fetta di caciocavallo (tra anulare, medio e palmo) e tra indice e pollice una foglia di cipolla. Nella mano destra si teneva il coltello da tasca con lama a punta; si incideva in cima la foglia di cipolla e si liberava del velo della parte interna perché particolarmente aspro, quindi si tagliava una fetta di cipolla e un pezzetto di caciocavallo, si infilzavano con la punta del coltello e si portavano alla bocca, si completava il boccone con una fetta di pane.
Oggi a qualcuno può mai venire l’idea di consumare, nella pausa pranzo, pani, cipuda e cosacavadu e quindi rientrare in ufficio? Ammesso che gli affiorasse una tale idea, sarebbero i colleghi a fargliela passare repentinamente. Una volta si parlava di fame, che come si sa è sempre stato il migliore dei condimenti, oggi si parla di appetito che è cosa ben diversa.
Un aneddoto. Ri prima matina ‘un mastru r’ascia (artigiano di mano non fine in grado di svolgere diversi lavori, prevalentemente di falegnameria), cun picciuttiedu, si niu nta tinuta ro Canonicu pi certi sirvizza. A manciata ri matina (poco dopo le 8) sa sittarru pi manciari. Nta tavula c’era pani, na testa ri cosacavadu e na beda cipuda ri Giarratana. U mastru pighia u pani, afferra a testa ro cosacavadu e si ni taglia na beda feda. U picciuttiedu, affruntusu, nu sapi chi fari, talia u mastru e stenni a manu abbota u cosacavadu. U Canonicu, ci pari piccatu tuttu stu cosacavadu ca si manciunu l’uommini, rici: «Quant’è beda a cipuda!». U picciuttiedu, timurusu, allontana a manu ro cosacavadu pi pighiari a cipuda. U mastru ci alliveda nu scuppuluni e ci rici: «Malarucatu, nun lu viri ca a cipuda ci piaci o Canonicu, lassaccilla ar idu, tu manciti u casacavadu».
Traduzione. Di mattina presto un falegname con un giovane apprendista si reca nella fattoria del Canonico per eseguire certi lavori. All’ora della mangiata mattutina (poco dopo le 8) si sedettero per mangiare. Nella tavola c’era pane, una testa di caciocavallo e una bella cipolla di Giarratana. Il falegname prende il pane, afferra la testa del caciocavallo e se ne taglia una bella fetta. Il ragazzetto, timido, non sa cosa fare, guarda il suo capo e stende la mano verso il caciocavallo. Il Canonico, a cui pare sprecato il caciocavallo che si mangiano gli uomini, proclama con enfasi: «Quanto è bella la cipolla!». Il ragazzo, timoroso, allontana la mano dal caciocavallo per prendere la cipolla. Il falegname gli somministra un ceffone e gli dice: «Maleducato, non lo vedi che la cipolla piace al Canonico, lasciagliela, tu mangiati il caciocavallo.»
Ragusa, 8 febbraio 2017
Ciccio Schembari
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