OSSERVAZIONI ALLA STESURA DEL PIANO TERRITORIALE PAESAGGISTICO IN PROVINCIA

Osservazioni alle norme tecniche di attuazione del Ptp:

  1. All’interno dei Paesaggi Locali (P.L.), bisognerebbe delimitare in maniera più particolareggiata (possibilmente con l’indicazione dei fogli di mappa) le diverse sottozone per sapere quali sono le prescrizioni specifiche per ogni area.
  2. A pag. 34 delle Norme di Attuazione art. 14 – Paesaggio agrario – B) a) paesaggio delle colture erbacee, tra gli interventi da attivare in via prioritaria/preferenziale è  indicato il “ritiro dei seminativi dalla produzione e creazione di aree di rinaturazione”.

L’incentivazione di tali interventi provocherebbe l’abbandono della coltivazione e non è pensabile che pur di mantenere un paesaggio gradevole alla vista si stronchi l’economia locale, visto che l’agricoltura, seppur con tutti i problemi che oggi sta attraversando, è comunque la principale fonte di reddito per il territorio. Sembra che il Piano, anziché favorire lo sviluppo agricolo voglia osteggiarlo, ponendo l’attenzione solo sul concetto di “paesaggio”, tra l’altro interpretandolo poeticamente.

  1. A pag. 36 delle Norme tecniche di attuazione art. 14 – Paesaggio agrario – B) g) paesaggio delle colture in serra, si prescrive: “che gli impianti siano di tipo facilmente smontabile e aventi il carattere di strutture precarie, tali da consentire la riconversione delle aree in colture a pieno campo; si prescrive inoltre l’impiego di forme regolari, il rispetto degli allineamenti con la trama viaria, la creazione sistematica di barriere vegetali in funzione di schermatura degli impianti serricoli. Pur se non strettamente attinente alla disciplina paesaggistica,  assume particolare rilevanza l’attenzione posta allo smaltimento delle coperture nonché al controllo degli apporti in fertilizzanti; con le limitazioni di cui sopra, appare maggiormente compatibile con il mantenimento delle qualità ambientali del territorio lo sviluppo delle pratiche di agricoltura biologica.”

Tali disposizioni indurranno non solo alla regressione dell’agricoltura ma anche all’abbandono delle campagne per l’impossibilità della coltivazione, in quanto le strutture serricole devono avere un orientamento est-ovest dettato dalle esigenze di esposizione delle colture, si deve quindi necessariamente prescindere da come si sviluppa la trama viaria. Si prescrive, inoltre che le serre siano “facilmente smontabili e aventi il carattere di strutture precarie, tali da consentire la riconversione delle aree in colture a pieno campo”, ciò significa che si possono realizzare solo tunnel andando così ad eliminare  un tipo di coltivazione radicato nel territorio e fonte di reddito per l’agricoltore. Infine, le colture biologiche rappresentano una nicchia di mercato e non hanno mai avuto il decollo che si era auspicato negli anni passati; il presunto beneficio per la salute dell’uomo e per l’ambiente non è mai corrisposto un effettivo riscontro di mercato tale da far invertire la rotta delle produzioni verso il biologico, ciò a causa dei costi decisamente più elevati del prodotto biologico sul mercato e comunque il consumatore apprezza il prodotto ottenuto con i metodi di lotta integrata.

  1. A pag. 63 delle Norme di Attuazione art. 23 Costruzioni sparse ad uso rurale e residenziale –turistico si prescrive: “Sui versanti più acclivi, che richiedono cospicue opere di sostegno e sbancamento non sono consentite nuove costruzioni”.

Sarebbe opportuno indicare oltre quale pendenza si consideri “più acclive” un versante.

  1. A pag. 66 delle Norme di Attuazione art. 26 – Definizione, si riporta: “Non sono da considerare interventi di rilevante trasformazione del territorio le opere o i lavori che, pur rientrando nelle categorie su indicate, risultano di modesta entità e tali da non modificare i caratteri costitutivi del contesto paesaggistico-ambientale o della singola risorsa”.

Tale definizione risulta così lasciata alla libera interpretazione di chi la legge e quindi liberamente interpretabile anche al momento dell’applicazione del piano.

  1. Al Paesaggio Locale 7 “Altipiano ibleo”, art. 36 – 36.A “Paesaggio naturale/seminaturale delle cave affluenti dell’Irminio” pag. 100, si prescrive:

o   la conservazione della biodiversità delle specie agricole e della diversità del paesaggio agricolo; le innovazioni della produzione agricola devono essere compatibili con la conservazione del paesaggio agrario e con la tradizione locale;

Innovazione e tradizione sono due concetti contrastanti, ad esempio la coltivazione della brassica carenata potrebbe costituire un’innovazione vantaggiosa per il nostro territorio, che potrebbe sostituire la coltivazione del grano duro, coltura alla quale sono legate diverse problematiche e non più fonte di reddito per l’agricoltore. Essendo la brassica una coltura che non appartiene alla tradizione locale, l’attuale versione del PTP non ne consentirebbe la coltivazione.  Questa prescrizione è ripetuta in quasi tutti i paesaggi agricoli, naturali e seminaturali e, se applicata, renderebbe difficoltosa l’attività agricola in gran parte del territorio provinciale. E’ chiaro, quindi, che non è possibile dare indicazioni e prescrizioni in merito a determinati aspetti in ambito agricolo, mentre è sicuramente corretto dare regole chiare ed oggettive (da concordare con il territorio) per le aree di interesse storico e archeologico, o di particolare interesse naturalistico, ecc., ciò non si può applicare alle colture agrarie in quanto l’agricoltura, per natura in continua evoluzione, si adatta ai cambiamenti del clima e del territorio, così come è stato dai tempi più lontani passando da agricoltura di raccolta fino all’attuale agricoltura industriale.

  1. Al Paesaggio Locale 7 “Altipiano ibleo”, art. 36 – 36.A “Paesaggio naturale/seminaturale delle cave affluenti dell’Irminio” pag. 100, si prescrive inoltre:

o   si dovrà evitare l’eliminazione degli elementi di vegetazione naturale presenti o prossime alle aree coltivate (siepi, filari, fasce ed elementi isolati arborei o arbustivi e elementi geologici rocce, timponi, pareti rocciose e elementi morfologici, scarpate, fossi), in grado di costituire habitat di interesse ai fini della biodiversità;

Tale affermazione non tiene conto delle esigenze delle colture agrarie in quanto la vegetazione spontanea se da un lato consente la conservazione della biodiversità e l’incremento della naturalità, dall’altro ospita specie parassite che possono compromettere le colture agrarie, pertanto per evitare attacchi parassitari alle colture, è indispensabile ripulire i terreni dalla vegetazione spontanea.

  1. Al Paesaggio Locale 1 “Foce Dirillo”, art. 30 – 30.B “Paesaggio agricolo/viticolo della valle meridionale del Dirillo” pag. 75, si prescrive:
  1.  
    • non è consentita l’eliminazione degli elementi di vegetazione naturale presenti o prossime alle aree coltivate (siepi, filari, fasce ed elementi isolati arborei o arbustivi e elementi geologici rocce, timponi, pareti rocciose e morfologici scarpate, fossi), in grado di costituire habitat di interesse ai fini della biodiversità.

Tale area si caratterizza per la presenza di canneti che si insinuano tra le colture agricole. Questo provvedimento non tiene in considerazione il fatto che a volte questa vegetazione può costituire un pericolo in quanto soggetta a incendi, inoltre, in alcuni casi nasce la necessità di eliminare quelle canne che ormai adulte cadono al suolo occupando, a causa della notevole altezza, un’ampia superficie altrimenti utilizzabile per la coltivazione. Si ritiene sicuramente importante conservare la biodiversità garantita da questa vegetazione ma, per quanto detto, non è possibile estendere all’intero paesaggio tale prescrizione.

Anche le prescrizioni indicate ai 7 e 8  si ritrovano in quasi tutti i paesaggi agricoli, naturali e seminaturali e, se applicate, renderebbero impossibile l’attività agricola, fonte primaria di reddito per la nostra provincia.

  1. Al Paesaggio Locale 1 “Macconi”, art. 31 – 31.A “Paesaggio della costa soggetta a processi di degrado e di sfruttamento agricolo intensivo” pag. 78, si prescrive:

o   perseguire gli obiettivi di una razionale gestione energetica della coltivazione in serra con la massimizzazione dell’apporto di energia e la limitazione di perdita di energia;

o   Nella fascia di 300 metri di cui all’art. 142 lett. a del Codice dei Beni Culturali non sono autorizzabili nuove serre;

o   Le serre dismesse non dovranno essere ricostruite;

o   Inserimento fotovoltaico nelle serre esistenti.

Mentre si ritiene corretto recuperare e preservare il paesaggio lungo la fascia costiera di 300 metri privilegiando altre attività più rispettose dell’ambiente, è impensabile che su tutta l’area non sarà possibile ricostruire le serre dismesse, tale provvedimento mortificherà ulteriormente un settore già in crisi e non è concepibile un intervento così radicale senza prevedere un aiuto o un sostegno economico per le aziende localizzate in questo paesaggio locale.

n riferimento all’ “inserimento del fotovoltaico nelle serre esistenti” si fa presente che un impianto fotovoltaico in serra necessita di una struttura sia leggera che particolarmente resistente, appositamente progettata con calcoli del Genio Civile, per di più un impianto fotovoltaico avrebbe una durata media di 40 anni mentre le serre tradizionali hanno una vita media di non più di 20 anni, è quindi impossibile realizzare impianti fotovoltaici in serre esistenti.

 

                                  

 

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