OGGI INVECE SI PARLA DI MERCATI. MA CHI SONO?

Il buon vecchio Marx avrà tanti motivi per rivoltarsi nella tomba. Il più grande, decisivo, è forse quello che riguarda i suoi “mezzi di produzione”, attorno a cui ha costruito una buona parte delle sue teorie.

Com’era il mondo fino a qualche decennio fa? Quando si diceva che l’economia aveva il dominio celato della politica? Era facile da capire: la stanza dei bottoni era occupata dai detentori della proprietà di quei famosi “mezzi”, i capitalisti, le grosse famiglie di industriali, le multinazionali.

Solo in America era successa una strana cosa, all’inizio del secolo: il crollo della borsa newyorkese, capace di radere al suolo un’intera economia, di impoverire in pochi attimi (si fa per dire….) una grossa fetta della società americana. Poi, dopo la ripresa, l’economia industriale si riprende lo scettro e così va avanti fino a – diciamo – gli anni ottanta.

Che sono gli anni del riflusso ideologico e dello yuppismo rampante.

E oggi? Oggi, quando si vuole indicare un’entità che dia sostanza all’idea dei poteri reali che stanno dietro a quelli politici, quando si tenta di definire tale entità si parla di “mercati”. Nozione insieme astratta (chi sono i “mercati”, sono menti che pensano? Hanno un nome, un’anagrafe? Una storia?) e terribilmente concreta (i mercati sono “nervosi”, “hanno paura”…..e così via).

In realtà sappiamo tutti che la stanza dei bottoni non è più nelle mani di qualcuno che detiene la proprietà dei mezzi di produzione, vale a dire di chi produce e dirige la produzione di beni reali. Sappiamo invece che quella stanza è abitata da alcune (ma proprio poche…) banche mondiali, che stanno al lavoro come io sto alla lingua cinese (ve lo assicuro!). Soggetti multipli, dal potere frazionato ma non meno terribile, diretti da una regia corale che decide processi immateriali la cui unica sostanza è quella visibile negli spazi isterici delle borse, durante quelle pantomime che chiamano contrattazioni, con quei signori esagitati che gridano e gesticolano.

Processi immateriali che consistono nel comprare, vendere, muovere, bruciare denaro! Nel trionfo di quello che Umberto Galimberti direbbe dell’equivalenza simbolica, del valore come risultato di una equivalenza e non di un peso.

Che allegria……..!

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